Pena di morte: cinque miti

La presentazione e il sommario del bollettino 213 del Comitato Paul Rougeau; a seguire, la traduzione di «Sfatati 5 miti sulla pena di morte»

Ecco il numero 213 del nostro Foglio di Collegamento, il cui sommario e’ riportato qui sotto. Notate all’inizio l’avvertenza “importante”: la nostra assemblea dei soci si svolgera’ a Firenze il 1° giugno.
Non trovate in questo numero aggiornamenti sulle vicende di Larry Swearingen, il condannato morte del Texas che cerchiamo di aiutare. Vi possiamo comunque dire che non e’ stata fissata la data di esecuzione (l’accusa l’aveva chiesta per ieri 24 aprile) e che il suo caso e’ di nuovo davanti all’onesto e competente giudice di contea Kelly Case. Continuiamo percio’ a sperare che egli venga prosciolto.
Riportando i dati ricavati dal Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel 2013 cerchiamo di dare una misura del lento ma inesorabile declino della pena di morte nel mondo. Un ostacolo particolarmente ostico da superare e’ la situazione dell’Iran, Paese dove avvengono in grande quantita’, anche in pubblico, impiccagioni orripilanti.
Torniamo a parlare ancora una volta del diffusissimo possesso e uso delle armi personali nel Paese in cui la cultura del Far West si integra perfettamente con quella della pena di morte.
In Egitto con un processo lampo, senza alcuna garanzia per gli imputati, sono stati condannati a morte ben 529 oppositori del governo autoritario, sostenuto dai militari, che si e’ instaurato meno di un anno fa.
Abbiamo appreso da pochi giorni, dopo la chiusura di questo numero, che purtroppo il Senato del New Hampshire ha fermato, votando 12 contro 12, la legge abolizionista che la Camera aveva approvato a larga maggioranza.
Prima di chiudere ringraziamo tutti coloro che hanno aiutato Susanna Bellanti a riallacciare la corrispondenza con il suo pen pal nel braccio della morte del Texas.
Cordiali saluti
Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau
PS: I numeri arretrati del Foglio di Collegamento, cui fanno riferimento i nuovi articoli, si trovano nel nostro sito www.paulrougeau.org

Numero 213 – Marzo 2014
Sommario:
1 ) Sfatati 5 miti riguardanti la pena di morte
2 ) Amnesty sulla pena di morte nel mondo nel 2013
3 ) Impressionanti dati sulle esecuzioni capitali in Iran
4 ) Pareri inconciliabili riguardo ai diritti umani in Iran
5 ) Corte Suprema: favorevole esito dell’udienza sul caso Hall
6 ) Egitto: condannate a morte 529 persone in un processo lampo
7 ) Ohio: negata a Ronald Phillips la possibilita’ di salvare una vita
8 ) Dopo 30 anni esce dal braccio della morte, un po’ risentito
9 ) L’isolamento in carcere produce gli stessi danni della tortura
10) Presidia il tuo suolo e spara con le armi liberamente detenute
11) Notiziario: Arabia Saudita, California, Florida, Georgia, Iran

SFATATI 5 MITI SULLA PENA DI MORTE
di Amnesty International (Nostra traduzione da: HYPERLINK http://www.amnesty.org/en/news/five-death-penalty-myths-debunked-2014-03-26)

Alcune persone, influenzate da cinque miti molto diffusi, credono erroneamente che la pena di morte renda la società più sicura.
MITO: La pena di morte scoraggia il crimine violento e rende il mondo più sicuro.
In REALTÀ: Non c’è alcuna prova convincente che la pena di morte abbia uno speciale effetto deterrente. A più di 3 decenni dall’abolizione della pena di morte, il tasso di omicidi in Canada rimane inferiore di oltre un terzo rispetto a com’era nel 1976. Uno studio condotto per 35 anni ha confrontato i tassi di omicidio di Hong Kong, dove non c’è la pena di morte, con quelli di Singapore, che ha un numero di abitanti analogo e compie esecuzioni con regolarità. La pena di morte ha avuto scarso impatto sul tasso di crimini commessi.

MITO: La minaccia dell’esecuzione è una strategia efficace per prevenire attacchi terroristici
In REALTÀ: E’ improbabile che la prospettiva di essere giustiziati funga da deterrente per persone preparate a uccidere e a ferire in conseguenza di un’ideologia politica o di altro genere. Anzi, alcuni funzionari dell’antiterrorismo hanno più volte sottolineato che le persone che vengono giustiziate possono essere viste come martiri, la cui memoria diventa un catalizzatore per la loro ideologia o per le loro organizzazioni. Gruppi armati dell’opposizione hanno considerato l’uso della pena di morte una giustificazione per compiere rappresaglie, alimentando in tal modo il ciclo di violenza.

MITO: La pena di morte va bene fino a quando la maggioranza delle persone è ad essa favorevole.
In REALTÀ: La storia è macchiata da violazioni dei diritti umani, all’epoca approvate dalla maggioranza delle persone, ma che, a posteriori, vengono guardate con orrore. La schiavitù, la segregazione razziale e il linciaggio ebbero il sostegno delle società in cui si verificarono, eppure costituiscono grossolane violazioni dei diritti umani. In definitiva, il dovere dei governanti è proteggere i diritti di tutti gli individui, anche se ciò a volte significa agire contro l’opinione della maggioranza. Inoltre l’opinione pubblica spesso cambia a seconda della leadership politica e quando vengono fornite al pubblico informazioni oggettive sulla pena di morte.

MITO: Tutte le persone giustiziate sono colpevoli di gravissimi crimini.
In REALTÀ: Nel mondo centinaia di prigionieri vengono giustiziati dopo processi grossolanamente ingiusti. Può trattarsi di “confessioni” estorte con la tortura, di negazione dell’accesso agli avvocati e di difesa legale inadeguata. I Paesi con il maggior numero di esecuzioni sono anche quelli verso i quali si nutre la maggiore preoccupazione riguardo all’equità del sistema giudiziario, come la Cina, l’Iran e l’Iraq. I 144 annullamenti di condanne a morte registrati negli USA dal 1973 dimostrano che, per quante salvaguardie legali vengano attuate, non esistono sistemi giudiziari esenti dalla possibilità di commettere errori. Fino a quando la giustizia umana sarà fallibile non sarà possibile eliminare il rischio di giustiziare degli innocenti.

MITO: I familiari delle vittime dei crimini vogliono la pena di morte.
In REALTÀ: Il movimento abolizionista mondiale comprende molte persone che hanno perso familiari, o che sono state vittime, in conseguenza di crimini violenti. Queste persone però, per ragioni etiche o religiose, non vogliono che la pena di morte venga inflitta “in loro nome”. Negli Usa organizzazioni come Murder Victims Families for Human Rights (Familiari delle Vittime di Crimine, per i Diritti Umani) sono alla testa del movimento abolizionista, come avviene ora nel New Hampshire.

ISTRUZIONI PER ISCRIVERSI AL COMITATO PAUL ROUGEAU
Per aderire al Comitato Paul Rougeau scrivi una lettera (o invia un messaggio e-mail a prougeau@tiscali.it) con una breve auto-presentazione e con i tuoi dati. Appena puoi paga la quota associativa sul conto corrente postale. Le quote associative annuali sono le seguenti: 30 euro il socio ordinario, 60 il socio sostenitore e 18 socio giovane (fino a 18 anni o a 26 anni se studente).

Giuseppe Lodoli
Ex insegnante di fisica (senza educazione). Presidente del Comitato Paul Rougeau per il sostegno dei condannati a morte degli Stati Uniti.
Lavora in una scuola di Italiano per stranieri di Sabaudia (LT) (piu' che altro come bidello).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *