Pena di morte e leggi speciali: Guantanamo e Filippine

articoli ripresi dal «Foglio di collegamento» del Comitato Paul Rougeau. A seguire la presentazione e il sommario del numero 275.

PRIGIONIERI A GUANTÁNAMO SENZA DIRITTO A UN PROCESSO REGOLARE

La giudice ultraconservatrice degli Stati Uniti Neomi Rao, amica ed ex collaboratrice del presidente Donald Trump, ha redatto una sentenza che potrebbe impedire a tutti i prigionieri di Guantánamo di avere un processo regolare.

A fine agosto un panel di tre giudici della Corte Federale d’Appello degli Stati Uniti del Distretto di Columbia ha sentenziato che un prigioniero detenuto nelle base USA di Guantánamo nell’isola di Cuba non ha diritto ad un processo regolare.

Questa sentenza potrebbe avere conseguenze negative per tutti prigionieri di Guantánamo accusati dell’attentato dell’11 settembre 2001.

La decisione, presa all’unanimità da tutti e tre i giudici del panel, è stata redatta dalla giudice Neomi Rao, amica ed ex collaboratrice di Donald Trump, la più conservatrice tra i giudici della massima corte. La decisione riguarda il caso del 52-enne yemenita Abdulsalam Al Hela, i cui avvocati avevano chiesto la liberazione sostenendo che la sua implicazione nell’attentato conseguiva solo da dicerie anonime e che egli non aveva mai fatto parte o sostenuto Al Qaeda o alcun altro gruppo terroristico.

Secondo una corte distrettuale, invece, Al Hela era da decenni un membro fidato della comunità jihadista e aveva aiutato i terroristi a viaggiare fornendo loro fase identità.

La giudice Rao ha scritto nella sua sentenza: “La clausola del diritto a un processo regolare non può essere invocata da esterni che non abbiano una proprietà o siano presenti nel territorio sovrano degli Stati Uniti”. Quindi, essendo i prigionieri detenuti a Guantánamo, gli Stati Uniti con l’attuale sentenza si arrogano il diritto di trattenere queste persone per sempre in una sorta di limbo, senza processarle.

Come deciso nel 2008 dalla Corte Suprema USA, l’unico diritto dei detenuti è quello di far ricorso contro la possibile illegalità della loro detenzione presso la corte federale stessa, tramite la presentazione di habeas corpus. Dal 2008 però la Corte Suprema non ha più preso in esame alcun caso dei prigionieri di Guantanamo e le corti inferiori hanno solo occasionalmente analizzato qualche caso individuale senza giungere ad alcuna conclusione.

Il Congresso aveva garantito qualche protezione per i prigionieri quando aveva istituito il tribunale di guerra in risposta agli attacchi dell’11 settembre. Per esempio, è proibito usare le confessioni di auto-accusa ottenute con mezzi di punizione crudeli e inusuali, come la tortura. In compenso però, è consentito usare le dichiarazioni di un altro detenuto contro l’imputato, anche se ottenute con la coercizione.

Gli avvocati dei prigionieri stanno da anni chiedendo ai giudici militari di applicare anche altre tutele costituzionali, come i diritti Miranda e l’accesso ad un avvocato prima di essere formalmente accusati.

L’attuale sentenza significa che i giudici non sono obbligati a rispettare tali diritti costituzionali per i prigionieri di Guantánamo.

Gli avvocati di Al Hela lo descrivono come un residente da sempre in Yemen, che fu catturato dalla CIA mentre era al Cairo per un incontro d’affari nel settembre 2002. Al Hela fu torturato in segreto e portato a Guantánamo poco meno di due anni dopo. Egli è classificato come prigioniero di guerra troppo pericoloso per essere rilasciato, senza la formalizzazione di accuse specifiche. È quindi un detenuto a scadenza indefinita, o, più propriamente, senza scadenza.

IL PRESIDENTE DELLE FILIPPINE ORDINA ESECUZIONI EXTRAGIUDIZIARIE

Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, mentre si adopera per ripristinare la pena capitale nel suo paese, ordina un gran numero di esecuzioni extragiudiziali di trafficanti di droga.

Durante i commenti televisivi che hanno fatto seguito a una riunione di gabinetto sulla pandemia di coronavirus, tenutasi all’inizio di settembre, il presidente filippino Rodrigo Duterte ha invitato pubblicamente il capo delle dogane delle Filippine a uccidere i trafficanti di droga.

Non è la prima volta che Duterte sostiene le esecuzioni extragiudiziali. E che chiede al governo di reintrodurre la pena di morte specialmente per punire i trafficanti di droga.

Migliaia di persone sono state uccise nella guerra alla droga durante i quattro anni della sua amministrazione.

La guerra alla droga del presidente Duterte infuria. Ogni giorno si hanno notizie di uccisioni da parte della polizia e di collaboratori della polizia non ben identificati. “Ma invece di indagare sui crimini e portare i responsabili alla giustizia, l’amministrazione attacca e imprigiona i critici e incoraggia pubblicamente ulteriori uccisioni”, ha scritto a giugno Human Rights Watch chiedendo alle Nazioni Unite di avviare un’indagine sulle uccisioni.

Secondo un rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani circa 1.800.000 filippini sono consumatori di droghe illegali. “Le sfide poste dalle droghe illegali hanno un impatto di vasta portata sui diritti umani e il Governo ha adottato una strategia contro di esse”, afferma il rapporto. “Ma le amministrazioni successive hanno soprattutto utilizzato misure di rafforzamento della legge sempre più violente, e una retorica inquietante nella campagna contro le droghe illegali e i crimini correlati, anche se alti funzionari del governo e della polizia hanno messo in dubbio l’impatto e l’efficacia di queste politiche”.

Questa tendenza si è accentuata durante la campagna elettorale presidenziale del 2016, quando l’attuale presidente, Rodrigo Duterte, si è impegnato ad uccidere i criminali e ad eliminare la corruzione e la droga nell’arco di 3-6 mesi.

Duterte intende prendere i trafficanti di droga e ‘impiccarli in un luogo buio’. Ha detto che non vuole sprecare proiettili per i criminali di droga, dicendo che le munizioni sono necessarie per combattere altri nemici dello stato.

Ha lanciato l’ultima minaccia dopo aver espresso sgomento per il traffico illegale di droga, che avviene anche all’interno del sistema carcerario: “Che cosa c’è di realmente spaventoso? Non posso dare ad intendere di non capire perché le associazioni per la droga in quasi tutto il mondo sono comandate da persone detenute, dalla mafia”.

Rodrigo Duterte nel suo recente discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha difeso la sua campagna anti-droga dalle critiche dei difensori dei diritti umani. Ha detto che alcuni gruppi di interesse hanno strumentalizzato i diritti umani per screditare il suo governo. Inoltre ha affermato che le Filippine avrebbero continuato a proteggere i diritti umani della gente, specialmente dal flagello delle droghe illegali, della criminalità e del terrorismo, e di essere aperto a un “impegno costruttivo” con le Nazioni Unite, ma solo qualora ci sia “obiettività, non interferenza, non selettività e dialogo sincero”.

La guerra alla droga del governo filippino ha causato più di 5.000 morti sospette da quando è iniziata nel 2016. Molti sostenitori dei diritti umani hanno espresso preoccupazione per le uccisioni extragiudiziali e gli altri abusi nella campagna antidroga di Duterte.

Lo scorso luglio, nel suo Discorso alla Nazione, il presidente Rodrigo Duterte ha chiesto al Congresso della Filippine di approvare un disegno di legge che preveda la pena di morte tramite iniezione letale per crimini di droga. Ha anche detto che la pena capitale aiuterebbe a scoraggiare il traffico illegale di droga, asserendo che le attività dei cartelli della droga vengono “svolte all’interno delle carceri nazionali”.

 

PRESENTAZIONE E SOMMARIO DEL NUMERO 275

È un numero molto ampio. Per ragioni di spazio abbiamo dovuto ridurre all’essenziale alcuni articoli, come quello sull’esecuzione del lottatore iraniano Navid Afkari che ha suscitato scalpore in tutto il mondo.

Il 3 ottobre, dopo la chiusura di questo numero, è stata pubblicata la lettera enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti” nella quale si ribadisce con forza la contrarietà della Chiesa cattolica alla pena di morte (e all’ergastolo).

Dopo la chiusura di questo numero si è saputo anche che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è stato colpito da coronavirus. Ciò influirà sulla campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre e anche sulla pena di morte a livello federale di cui Trump è un accanito sostenitore.

Per un nostro commento a questi fatti, molto importanti per noi, vi rimandiamo al prossimo numero.

Vi ricordo che gli articoli comparsi nei numeri precedenti del Foglio di Collegamento, ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero, si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org

                       Giuseppe Lodoli  per il Comitato Paul Rougeau

 

FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU: numero 275 settembre 2020

S O M M A R I O

Sesta esecuzione federale negli Stati Uniti: ucciso William LeCroy

Settima esecuzione federale negli USA: ucciso Christopher Vialva

William Barr indegno del premio Chistifideles Laici Award

Negli Stati Uniti la Chiesa si oppone fermamente alla pena capitale

È morta Ruth Bader Ginsburg giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti

Prigionieri a Guantánamo senza diritto a un processo regolare 7

Il presidente delle Filippine ordina esecuzioni extragiudiziarie

Suicida in Iran il padre del condannato a morte Amir Hossein Moradi 9

Terribili violazioni dei diritti umani compiute in Iran

Ucciso in segreto il campione di wrestling iraniano Navid Afkari

Inammissibili violenze del potere in Bielorussia

Un altro cristiano condannato a morte per blasfemia in Pakistan

Sondaggio sul favore per la pena di morte in Francia

Riesumazione dei corpi di condannati a morte in scozia 18

Notiziario: Kazakistan, Ohio 20

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 settembre 2020

I numeri arretrati del Foglio di Collegamento, ai quali si riferiscono le note in calce agli articoli di questo numero, si trovano nel sito: www.comitatopaulrougeau.org/fogli-di-collegamento-precedenti

 

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Giuseppe Lodoli
Ex insegnante di fisica (senza educazione). Presidente del Comitato Paul Rougeau per il sostegno dei condannati a morte degli Stati Uniti.
Lavora in una scuola di Italiano per stranieri di Sabaudia (LT) (piu' che altro come bidello).

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