Pena di morte: Melissa morirà il 27 aprile?

Un appello da sottoscrivere. A seguire notizie dal Comitato Paul Rougeau: con una storia (ambigua) dalla California e l’escalation del boia in Iran e con presentazione e indice del nuovo «Foglio di collegamento».

PROGRAMMATA IN TEXAS L’ESECUZIONE DI MELISSA LUCIO

Lo stato del Texas ha programmato per il 27 aprile l’esecuzione di Melissa Lucio, madre di 14 figli. La Lucio è accusata di aver ucciso la figlioletta Mariah di 2 anni nel 2007. Una grande e crescente mobilitazione in favore della condannata riuscirà a salvare Melissa dall’iniezione letale?

Lo stato del Texas ha emesso l’ordine di esecuzione per Melissa Lucio, una donna maltrattata, condannata a morte per quella che potrebbe essere stata una caduta accidentale che uccise la figlia Mariah di due anni nel 2007. L’esecuzione è stata fissata per il 27 aprile. Abbiamo già parlato di lei in ottobre quando la Corte Suprema si rifiutò di riesaminare il suo caso. (1).

Un grande mobilitazione è sorta in favore di Melissa Lucio: abbiamo notato l’intensificarsi degli interventi dei media sul suo caso man mano che si avvicina la data dell’esecuzione.

In un’intervista rilasciata al Texas Observer, Tivon Schardl, un avvocato difensore della Lucio, ha dichiarato: “Melissa, una donna innocente, rischia l’esecuzione perché un accusatore corrotto si è basato su una dichiarazione ottenuta da un Texas Ranger troppo zelante, che ha tormentato una donna traumatizzata estorcendole una falsa confessione”.

L’accusatore distrettuale che perseguì il Melissa Lucio, Armando Villalobos, sta attualmente scontando una condanna a 13 anni di reclusione inflittagli nel 2014 per corruzione ed estorsione. Dal 2006 al 2012, compreso il periodo in cui perseguì la Lucio, Villalobos intascò più di 100.000 dollari in tangenti. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, lui e altri sono stati coinvolti in un “progetto per generare illegalmente reddito per sé stessi e per altri attraverso corruzione ed estorsioni, favoritismo, influenza impropria, auto-arricchimento personale, occultamento e conflitto di interessi.”

Un altro difensore della Lucio, l’avvocato A. Richard Ellis, ha affermato che “Melissa Lucio è una donna maltrattata che è stata ingiustamente condannata alla pena capitale per la morte accidentale della figlia, caduta per le scale di casa … Combatteremo non solo per impedire l’esecuzione di Melissa, ma anche per ottenere il suo proscioglimento.”

Lo stesso giorno in cui il corpo di Mariah fu trovato nell’appartamento della Lucio, gli investigatori interrogarono per sette ore Melissa Lucio. Lei ammise di aver sculacciato Mariah ma negò di aver abusato della piccola. A tarda notte, dopo ore di continui interrogatori, il Texas Ranger Victor Escalon fece pressioni perché dicesse di più. Lei rispose: “Non so cosa vuoi che dica. Ne sono responsabile”. Quando in seguito Escalon le chiese di lividi sul corpo di sua figlia, la Lucio disse: “Credo di averlo fatto. Immagino di averlo fatto”. Una videocassetta mostrata alla giuria faceva vedere Escalon che chiedeva alla Lucio di mostrare come aveva “sculacciato” Mariah dopo averle dato una bambola, e quando sembrò che la donna non lo facesse abbastanza forte, lui stesso sculacciò la bambola.

Da notare che gli 11 figli più grandi hanno ripetutamente affermato che Melissa non ha mai malmenato né loro né Mariah (2).

L’accusa presentò l’interrogatorio della Lucio come una prova che la donna aveva abusato di sua figlia, e quindi doveva averla uccisa. I suoi difensori cercarono di presentare la testimonianza di uno psicologo, il dottor John Pinkerman, per spiegare l’effetto coercitivo dell’interrogatorio della polizia. Questi descrisse Melissa come una “donna maltrattata” che “si prende la colpa di tutto ciò che accade in famiglia” ma il giudice impedì a Pinkerman di testimoniare durante la prima fase del processo della Lucio, affermando che la sua testimonianza era irrilevante. Nel corso della prima fase del processo vietò anche la testimonianza dell’assistente sociale Norma Villanueva. Sia lo psicologo che l’assistente sociale furono autorizzati a testimoniare solo nella fase di inflizione della pena, dopo che Melissa era già stata giudicata colpevole.

John Pinkerman e Norma Villanueva avevano esaminato la Lucio e avevano detto che la sua storia di abusi e malattie mentali per tutta la vita spiegava lo stato emotivo “insensibile” e “impassibile” che la polizia e i pubblici ministeri interpretarono come ulteriore prova della sua colpevolezza. Non conoscendo il parere degli esperti, la giuria fu propensa a concludere – come lo Stato chiaramente sperava che accadesse – che la sua mancanza di emozioni visibili fosse un segno di una fredda indifferenza per la morte di sua figlia.

Un documento presentato dalle associazioni Innocence Project e Innocence Network spiega come nell’interrogatorio della polizia alla Lucio siano state utilizzate “tattiche fortemente minacciose” che hanno aumentato la probabilità di una falsa confessione. Sostenendo l’importanza degli esperti della difesa, il documento afferma: “Gli esperti aiutano le giurie a comprendere il fenomeno delle false confessioni e, quindi, possono aiutare a salvaguardare dagli errori giudiziari”. “Una notevole percentuale di donne ingiustamente condannate per aver ucciso un bambino fu costretta a confessare il falso”. Quando una donna maltrattata viene accusata di aver ucciso suo figlio, hanno affermato, “la necessità di una testimonianza di esperti per spiegare questi rischi alle giurie è importante” ed è fondamentale per valutare l’affidabilità della presunta confessione.

(1) Vedi numero 287

(2) Melissa Lucio ha avuto 14 figli. Due gemelli nacquero quando lei era già in carcere.

ATTENZIONE

La mobilitazione in favore di Melissa Lucio è straordinaria.

Chi vuole sottoscrivere la petizione (già firmata da oltre 35.000 persone) vada qui: Melissa Lucio: Innocent Woman on Death Row in Texas – Action Network

 

Il carcere di San Quentin con il braccio della morte. Si trova su una lingua di terra che sporge nella Baia di San Francisco.

LA STORIA DELLA PENA DI MORTE IN CALIFORNIA

In California è ancora prevista la pena capitale anche se negli ultimi 16 anni nessuno è stato messo a morte e il governatore Gavin Newsom si è impegnato a non firmare ordini di esecuzione. Ora lo storico e famigerato braccio della morte di San Quentin sta per essere smantellato. I 737 condannati a morte saranno trasferiti in altre carceri.

A distanza di tre anni da quando il governatore Gavin Newsom fermò le esecuzioni in California (comunque nessuno è stato più ‘giustiziato’ negli ultimi 16 anni), il braccio della morte della California viene lentamente smantellato.

I 737 condannati alla pena capitale (tra i quali vi sono 21 donne) – tutti ancora ‘giustiziabili’ – vengono lentamente portati via da San Quentin, un luogo in cui la California, con tre metodi di esecuzione successivi (il cappio, il gas e l’ago) ha messo uomini e donne a morte dal 1893.

Questi sgomberi sono la conseguenza di ciò che gli elettori approvarono nel 2016 quando chiesero allo Stato di accelerare le esecuzioni e contemporaneamente accettarono di trasferire i condannati in altre carceri, svuotando la sezione più famigerata di una delle più famigerate prigioni dello stato. Non fecero questa seconda scelta per amore dei condannati ma perché, in altre carceri opportunamente strutturate allo scopo (dove già si trovavano i condannati all’ergastolo), essi potessero lavorare e così versare il 70% dei loro guadagni ai familiari delle vittime.

L’abolizione totale della pena di morte in California è ancora lontana e controversa. Ogni volta che un politico tenta un passo in tale direzione, si scontra con il potere dei conservatori e perde il consenso della popolazione.

Il braccio della morte di San Quentin è stato già svuotato in passato. Per due volte negli anni ’70 le corti supreme della California e degli Stati Uniti abolirono la pena di morte in quanto punizione crudele e inusuale e i condannati ricevettero nuove sentenze e nuove collocazioni.

Gli intervalli tra le esecuzioni si sono sempre più allungati. Nell’aprile del 1967, Aaron Mitchell si tagliò l’avambraccio con un pezzo di metallo e proclamò: “Io sono la seconda venuta di Gesù!” Quindi, subito prima della sua esecuzione, aprì le ferite, si spalmò di sangue i palmi delle mani e rimase nudo in posa da crocifissione cantando: “Questo è il sangue di Gesù Cristo… io salverò il mondo”.

Dopo Mitchell la California non mise a morte nessuno per un quarto di secolo, poi il 21 aprile 1992 uccise nella camera a gas Robert Alton Harris.

Dopo l’esecuzione di Harris con il gas, l’iniezione letale divenne prima il metodo preferito, poi l’unico metodo per uccidere, e quella famigerata camera a gas – variamente descritta di color verde giada o verde mela o verde ospedale, e per un po’ soprannominata dai detenuti “l’affumicatoio” – fu chiusa.

Sono seguite un’altra dozzina di esecuzioni, sotto i governatori democratici e repubblicani, fino all’ultima, nel gennaio 2006 (1). L’anno successivo, iniziarono i lavori per una camera di iniezione letale conforme alle norme legali sul dolore e la sofferenza, ma non fu mai utilizzata. Nel 2019, il governatore Newsom ne ordinò la chiusura. Newsom all’epoca rilasciò una splendida dichiarazione: “Ritengo che il delitto premeditato sia ingiusto, in tutte le sue forme e manifestazioni, incluso il delitto premeditato finanziato dal governo. Sono contrario alla pena di morte, da sempre.”

Il braccio della morte della California, come lo stesso stato, è il più popoloso della nazione. I suoi direttori e le guardie hanno raccontato storie, nel corso dei decenni, delle esecuzioni che ricordavano con maggior nitidezza: un prigioniero, soprannominato “soldato” per aver prestato servizio nella Seconda guerra mondiale sotto il generale Dwight D. Eisenhower, fu giustiziato poco prima che questi diventasse presidente e il condannato portò la foto di “Ike” con sé fino alla porta della camera a gas.

Nel 1956, un altro uomo, Robert Pierce, disse ai compagni di reclusione che lo avrebbe “fatto con le proprie mani”. Si tagliò la gola con un pezzo di specchio rotto che aveva nascosto in un libro, e le guardie carcerarie lo trascinarono nella camera a gas, col sangue che schizzava su di loro e sulla camicia bianca di Pierce mentre si dibatteva e imprecava.

Nel 1944, Farrington Hill volle ascoltare ancora una volta il valzer di Strauss “Storielle del bosco viennese”. Ma il disco non si trovava nella biblioteca della prigione e i negozi di dischi erano chiusi. Quindi il direttore riunì la banda della prigione, che registrò il brano alla bell’e meglio, e Hill ascoltò la registrazione per tutta la notte e fino all’entrata nella camera a gas.

La California ha messo a morte anche quattro donne, tra cui una spietata gangster di nome Juanita Spinelli, che andò alla camera a gas nel novembre 1941 con le fotografie dei suoi figli e nipoti incollate sul cuore sotto il suo nuovo vestito verde.

Un tempo in California anche il rapimento con lesioni personali comportava una possibile condanna a morte. Fu il caso del famoso condannato Caryl Chessman, che non aveva ucciso nessuno, ma fu ugualmente ‘giustiziato’ per rapina, stupro e rapimento. La legge della California ora può imporre la pena di morte solo per crimini mortali in circostanze speciali, incluso lo spergiuro per far uccidere una persona innocente. Il tradimento rimane un crimine capitale in California, anche se ai sensi della legge statale è difficile stabilirne i casi.

Alcuni dei più importanti oppositori della pena capitale – o almeno dei modi di eseguirla – furono proprio i direttori di San Quentin. Lawrence Wilson era direttore quando Aaron Mitchell fu giustiziato, e questo cambiò il suo punto di vista contro la pena capitale. “Ci sono stati”, disse, “troppi casi in cui la posizione economica, sociale o politica determina una condanna a morte”.

L’ex direttore Clinton T. Duffy, che ha scritto un libro sui suoi anni a San Quentin, ha convenuto: “Non ho mai sentito di un uomo ricco giustiziato in questo stato, di un uomo con i mezzi sufficienti per una buona difesa”. La pena capitale “non è uguale giustizia”. Egli odiava la pena di morte.

Nei primi 40 anni di esistenza dello stato della California, furono le contee, non lo stato, a giustiziare i condannati. I cittadini di Los Angeles però non credevano che il sistema giudiziario fosse all’altezza del compito e formarono un loro “comitato di vigilanza”. Un linciaggio, avvenuto nel 1863 è emblematico. I vigilantes portarono via il colpevole, Charles Wilkins, dall’aula del tribunale, dove era stato appena condannato per omicidio. Egli stava per essere riportato in prigione, quando una folla si riversò nell’aula. Wilkins, divenne “la sesta o settima vittima della gente indignata ed esasperata di Los Angeles nello spazio di un mese”. Solo poche settimane prima, quasi 300 uomini armati – una grossa parte della popolazione cittadina, che era di 4.800 abitanti – avevano sfondato le porte della prigione, avevano portato via cinque detenuti e li avevano impiccati. Ora, mentre la folla portava Wilkins in un recinto, questi la supplicò invano di sparargli e di non impiccarlo.

Nel 1892, a Santa Ana, un uomo fu linciato e impiccato per aver ucciso il caposquadra di un ranch. Dopo una riunione segreta, circa tre dozzine di uomini armati sfondarono la porta della prigione e portarono via Francisco Torres. Lo impiccarono a un palo del telefono a un isolato dalla prigione, con una corda avvolta intorno al collo e un cartello appuntato sulla maglietta. Diceva: “Un cambio di sede”.

Che fossero le contee o lo stato a portare a termine l’esecuzione, erano tenuti a farlo “entro le mura o il cortile di una prigione, o in qualche luogo privato della contea”. Ciononostante, il pubblico trovava il modo di guardare. Per la doppia impiccagione di due assassini nel centro di Los Angeles nel marzo 1885, lo sceriffo costruì un recinto rivestito di tela alto più di due metri per bloccare la visuale. Tuttavia, i pendii delle colline vicine e i tetti degli edifici circostanti si riempirono di guardoni. Gli uomini stavano in piedi davanti al recinto della prigione scavando spioncini con i loro coltelli a serramanico. Almeno 6.000 persone – forse metà della popolazione della città – guardarono Rodolfo Silvas e Francisco Martinez mentre venivano portati fuori. Gli uomini si inginocchiarono davanti a un prete e strinsero la mano al vicesceriffo Martin Aguirre. I cappucci furono posti sopra la loro testa, lo sceriffo fece segno ai boia, ed entrambi gli uomini caddero nella botola. Fu la prima esecuzione legale nella contea in una generazione, e forse l’ultima nella contea di Los Angeles prima che lo stato assumesse tale funzione nel 1891, eseguendo impiccagioni sia a San Quentin che a Folsom finché la camera a gas di San Quentin divenne l’unico luogo e metodo nel 1938.

La camera a gas fu prima testata su un maiale, che impiegò 35 minuti per morire, ma i funzionari della prigione rassicurarono il mondo sul fatto che non ci sarebbe voluto “per nulla” quel tempo prima che un uomo morisse. Nel dicembre 1938 fu simulata un’esecuzione nella nuova camera a gas con un paio di guardie carcerarie a torso nudo, legate all’interno della camera. Il direttore del carcere Court Smith disse nauseato: “Impiccare è già abbastanza brutto. Ma questo… è terribile. E, disse Smith, “è mio dovere farlo; altrimenti non parteciperei mai a questa impresa”.

I bracci della morte hanno generato la loro mitica sottocultura riguardante le parole d’addio e persino l’ultimo pasto. Praticamente a ogni esecuzione, i giornalisti californiani annotavano solennemente i menu dei condannati: Silvas e Martinez mangiarono un pasto portato dal vicino ristorante: ostriche, prosciutto e uova con patate fritte, pollo alla griglia ben cotto con cipolle fritte, pane, torta, sottaceti e una bottiglia di vino. Un prodotto alcolico non veniva offerto ai condannati da molto tempo, anche se nel dicembre 1938 i primi due uomini messi a morte nella camera a gas, fianco a fianco, chiesero e ricevettero un sigaro e un bicchierino di whisky ciascuno 10 minuti prima di andare incontro alla morte.

Negli ultimi due anni, il COVID-19 ha ucciso almeno una dozzina di condannati a morte in California, più di quante persone lo stato abbia messo a morte in circa 30 anni, e sebbene non sia facile prevedere che cosa faranno gli elettori, gli ultimi cambiamenti nella legge e nella pratica potrebbero rendere l’esecuzione del 514esimo condannato l’ultima nella lista dei morti ‘giustiziati’. Si trattò dell’esecuzione di un amico del Comitato Paul Rougeau e di molti di noi, il 73enne, semiparalizzato e quasi cieco Ray Allen (Orso-che-corre) nativo americano Cherokee che l’ottuso governatore Schwarzenegger decise spietatamente di far uccidere. Ricordiamo che sempre nel carcere di San Quentin morì nel 2017, per cause naturali, anche l’altro nostro carissimo amico, Fernando Eros Caro, nativo americano Yaqui.

                  LA PRESENTAZIONE DEL «FOGLIO DI COLLEGAMENTO». A SEGUIRE L’INDICE COMPLETO DEL NUMERO 291.

Noi ci occupiamo dell’uccisione di persone giudicate colpevoli ma questo numero esce nel momento in cui la guerra uccide in Ucraina un gran numero di persone innocenti

Tutti i brevi articoli contenuti nel “Notiziario” (QUI SOTTO) riguardano le esecuzioni portate a termine in Iran. Abbiamo raccontato di ogni esecuzione singolarmente, anziché scrivere un unico articolo sulle esecuzioni, per attirare l’attenzione su un fenomeno vergognoso di escalation di violenza e crudeltà in questo Stato. Un esponente del potere iraniano, il criminale Hamid Noury, che fu arrestato nel 2019, è ora sottoposto ad un lungo processo. Buon per lui che la Svezia non abbia più la pena di morte!

Gli articoli comparsi nei numeri precedenti del «Foglio di Collegamento», ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero, si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org

Vi ricordo anche la pagina Facebook Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte dove trovate articoli scritti da organizzazioni abolizioniste in tutto il mondo nonché appelli che potete firmare e diffondere.

Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau

SOMMARIO

L’Oklahoma uccide Postelle prima di sapere se la sua iniezione letale è ammessa

Programmata in Texas l’esecuzione di Melissa Lucio                       

Pervis Payne condannato a morte in Tennessee potrà tornare in libertà tra 5 anni 

La storia della pena di morte in California      

Continua in Svezia il processo contro l’iraniano Hamid Noury

Il patibolo di Malta aperto al pubblico 

Notiziario: Iran          

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 28 febbraio.        

Scriveteci all’indirizzo paulrougeau@tiscali.it per comunicarci il vostro parere su quanto scriviamo, per chiederci ulteriori informazioni riguardo ai temi trattati, per domandarci dell’andamento delle nostre campagne in corso, per esprimere il vostro accordo o il vostro disaccordo sulle posizioni che assumiamo.

NOTIZIARIO

Iran. Giustiziato Mirsoltan Amiri accusato di reati di droga. Il 27 gennaio è stato messo a morte nella prigione centrale di Urmia il 68-enne Mirsoltan Amiri accusato di reati di droga. Iran Human Rights ricorda che l’estate scorsa è stato giustiziato il figlio di costui, Shahriar Amiri, accusato degli stessi reati. I due sono stati impiccati dopo essere rimasti in carcere per circa 5 anni. Lo scorso 10 dicembre Iran Human Rights aveva denunciato l’aumento delle esecuzioni conseguenti a reati di droga in Iran, che ora è ad un livello record, e aveva chiesto una pronta reazione alla comunità internazionale.

Iran. Accusato di reati di droga ucciso il 29 gennaio. Nasser Sohrabzehi, un baluco (cittadino del Belucistan) accusato di reati di droga è stato messo a morte nella prigione centrale di Zahedan il 29 gennaio Nasser è rimasto in carcere negli ultimi 5 anni dopo essere stato arrestato a Zahedan.

Iran. Due uomini accusati di violenza sessuale messi a morte il 30 gennaio. Farid Mohammadi di 29 anni e Mehrdad Karimpour di 32 anni, condannati a morte con l’accusa di “sodomia con violenza”, sono stati giustiziati la mattina del 30 gennaio nella prigione di Maragheh. I due erano stati condannati a morte oltre 6 anni fa con l’accusa di violenza sessuale ai danni di un ragazzo di 16 anni. Hanno ripetutamente affermato che non c’era stata violenza. Ma il ragazzo disse che lo avevano violentato.

Iran. Condannato per reati di droga giustiziato il 30 gennaio. Mohammadreza Afaridoun, un baluco condannato a morte 4 anni fa, è stato impiccato la mattina del 30 gennaio nella prigione centrale di Zahedan. Il Baluch proveniva dal villaggio Ghassem Abad nei pressi di Zabol ed era stato accusato di reati di droga.

Iran. Almeno 47 giustiziati nelle carceri iraniane nel mese di gennaio. 17 esecuzioni sono state portate a termine in Iran nel mese di gennaio per punire reati di droga e 24 per punire rei di omicidio. Tre uomini sono stati impiccati dopo essere stai accusati di Moharebeh (offesa nei riguardi dell’islam o dello stato). Due uomini sono stati messi a morte per omosessualità. Appare esserci un aumento delle esecuzioni rispetto a quelle portate a termine nel gennaio del 2021: almeno 31 in più. L’elevato numero di esecuzioni evidenzia le pessime condizioni dei diritti umani in Iran, che sono peggiorate dopo che il presidente Ebrahim Raisi è entrato in carica l’anno scorso. Ricordiamo che Raisi è considerato “il macellaio di Teheran” per la sua responsabilità diretta nel massacro di 30.000 prigionieri politici nel 1988 (vedi numeri 282 e 285).

Iran. Messo a morte un baluco condannato per reati di droga. Hafizollah Barahouyi, un baluco condannato a morte per reti di droga, è stato messo a morte nella prigione centrale di Zahedan la mattina del 3 febbraio. I suoi familiari hanno potuto fargli un’ultima visita il 1° febbraio.

Iran. Khatoun Hamidi messa a morte nella prigione di Qazvin. Condannata per aver ucciso 5 anni fa l’uomo ricco che il padre drogato l’aveva costretta a sposare, Khatoun Hamidi è stata impiccata nel carcere centrale di Qazvin il 5 febbraio u. s. Il fratello della condannata ha tentato invano di ottenere la sua liberazione pagando un indennizzo (detto prezzo del sangue) ai parenti del marito ucciso.

Iran. Due cugini messi a morte il 6 febbraio. I cugini Behzad Tahmtan, di 35 anni, e Youssef Tahmtan, di 26 anni, sono stati giustiziati nella prigione centrale di Ardabil la mattina del 6 febbraio. Erano stati arrestati tre anni fa e poi condannati a morte per omicidi e rapine. Da notare che tale Babak Rezaei fu messo a morte il 16 maggio del 2018 dopo essere stato erroneamente condannato per omicidi commessi da Behzad Tahmtan.

Iran. Mirza Rouhifar giustiziato nella prigione di Aligoudarz. Il 37enne Mirza Rouhifar, un venditore di pneumatici, condannato a morte per aver ucciso il suo vicino durante un alterco per motivi finanziari, è stato impiccato nella prigione di Aligoudarz il 7 febbraio.

Iran. Messo a morte per l’omicidio del cognato, per ora risparmiata sua sorella. Il 13 febbraio Mokhtar Valizadeh è stato impiccato nella prigione centrale di Shiraz, accusato di aver ucciso il cognato cinque anni fa in complicità con sua sorella. La sorella del giustiziato, per ragioni ignote, non è stata uccisa ed è stata riportata nella sua cella.

Iran. Mosayeb Faraji giustiziato il 13 febbraio a Kermanshah. Il fratello di Mosayeb Faraji, Mozafar, 15 anni fa durante una colluttazione fu colpito e ucciso con una bottiglia di vetro. La persona accusata di aver ucciso il fratello fu rilasciata dopo un anno. Tre anni fa un parente di quella persona fu ucciso. Mosayeb Faraj fu arrestato e condannato a morte per l’omicidio di quel parente.

Iran. Un uomo è stato giustiziato il 16 febbraio ad Isfahan. Il quarantenne Kazem Yousefi, condannato a morte per omicidio, è stato impiccato il 16 febbraio nella prigione centrale di Isfahan. Il condannato era detenuto nella prigione di Khomeini Shahr ed è stato trasferito ad Isfahan, la città in cui commise l’omicidio, 15 giorni prima dell’esecuzione.

Iran. Il 21 febbraio messo a morte un 49enne nella prigione di Kashan. L’accusatore Ruhollah Dehghani ha reso noto che un uomo di 49 anni è stato messo a morte a Kashan la mattina del 21 febbraio. Ruhollah Dehghani ha dichiarato: “La sentenza di rappresaglia nei riguardi di un uomo accusato di aver ucciso una donna nel 2017 è stata portata a termine nella prigione di Kashan questa mattina. Il reo 49enne, che aveva conosciuto online la sua vittima 42enne, fu arrestato subito dopo aver commesso il crimine”. Le autorità non hanno reso noto il nome dell’uomo giustiziato.

Iran. Messo a morte Reza.Gh nella prigione centrale di Mashhad. Un uomo di cui non è stata rivelata l’identità, chiamato semplicemente “il 30nne Reza.Gh”, è stato messo a morte nella prigione centrale di Mashhad il 21 febbraio. Fu arresto nel novembre 2018 e accusato di aver ucciso a coltellate un amico durante un litigio per motivi finanziari un mese prima.

Iran. Impiccati cinque omicidi il 23 febbraio. Nella prigione di Rajai Shahr il mattino del 23 febbraio sono stati messi a morte cinque uomini accusati di omicidio. Si conoscono solo i nomi di due dei cinque giustiziati: Hamed Azizi e Mehran Jafari. Quel giorno sette altri condannati a morte sono stati riportati vivi nelle loro celle. Non si sa se costoro hanno ricevuto il perdono dalle famiglie delle loro vittime o se verranno messi a morte.

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Redazione
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