Pensieri uggiosi di una tortora solitaria

di Daniela Pia  

tortora

Gennaio uggioso, davanti le spine del fico d’ india e il giallo dei limoni. Grappoli a sfidare la stagione. Dietro mattoni di fango e muschio e in alto tegole e licheni. È silenzio interrotto da gocce, disposte ordinate su un filo da stendere. Una cade monotona sul ferro del cancello e scava di ruggine un centro. Un gatto randagio annusa un tempo maldisposto. Mentre una tortora gira a vuoto e torna sempre all’inizio. Vizio coltivato mentre osserva questo tempo bizzarro. Tempo che non è. Non sa di essere, anche lei, Charlie. Non conosce fondamentalismi di astori. Ignora la balentìa di primi ministri fatti di piume spaccone e burine. Vive senza primarie di corvi che sfruttano il bisogno di gabbiani nomadi. Assiste a giochi di ruolo di cravatte monche. Sente narrare di passeri veri cui hanno tarpato le ali. La tortora. E si chiede se ci siano ancora volatili disposti a guardare la palude che li inghiotte. Uno stagno che non genera fenicotteri ma nutrie e cani rabbiosi. Si chiede se vi siano ancora ali capaci di sfidare il volo sfruttando piume remiganti e timoniere per levarsi dal pantano. Teme che siano guidati da poiane i giochi di storni sul cielo. Teme, la tortora, che ciò che vede sia frutto della luce bizzarra di un tramonto che stenta a penetrare le nubi, mentre gracchiano, i tanti corvi, nominando il nazareno, vicini a predatori nani, sotto accusa. Frattanto compulsivi animali due punto zero completano le linee del desolato paesaggio. “Che stagione di merda” pensa la tortora mentre tuba sconcertata dai fili dell’alta tensione, immaginando l’aquila dalle ali tarpate covata dalle cravatte monche.

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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