Pensioni: realtà, bufale e il cosa fare

di Umberto Franchi (*)

La settimana scorsa ho ascoltato la conferenza stampa di Draghi, Franco e Orlando sulla nuova finanziaria e quello che mi ha colpito è soprattutto una frase di Draghi sulle pensioni. QUESTA: «proponiamo la quota 102 per il 2022, cioè 64 anni di età e 38 di contributi, per dopo andare alla normalità contributiva della riforma Fornero» che significa 67 anni da subito fino ai 70 per quando andranno in pensione i giovani di oggi.

Draghi ha aggiunto: «lo facciamo anche perché gli anziani che vanno in pensione presto ( prima dei 67 anni) continuano a lavorare a nero togliendo il lavoro ai giovani» (sic) …

Pensavo Draghi fosse  intelligente e capisse che il lavoro ai giovani non viene dato se si lasciano al lavoro gli anziani e non il contrario…

QUAL E’  OGGI LA REALTA’ DELLE PENSIONI IN ITALIA ?

OGGI IL 60% DEI PENSIONATI PERCEPISCE MENO DI 1.000 EURO AL MESE (DI CUI IL 12% MENO DI 500 EURO MENSILI) IL 21 % PERCEPISCE TRA I 1.000 E 2.000 EURO MENSILI E SOLO 19% PERCEPISCE PIU’ DI 2.000 EURO MENSILI … ma per le pensioni medio basse nella Finanziaria non c’è un euro. Per Draghi i vecchi devono andare in pensione a 67 anni e con il sistema contributivo e pensioni basse (così continuano a lavorare) mentre i giovani saranno più vicini ai pensionati di oggi non perche’ aumenteranno e loro pensioni, ma perche’ si abbassano ancora le pensioni dei vecchi già ridotte del 3O% negli ultimi 20 anni… E con la signora Fornero che – dopo aver distrutto il sistema pensionistico e impoverito ancor piu’ i pensionati poveri – e’ diventata consulente del governo Draghi.

COSA E’ AVVENUTO NEGLI ULTIMI 30 ANNI ?

Negli ultimi 30 anni in Italia hanno riformato per ben  10  volte le pensioni, con tutti i governi di centrodestra e centrosinistra che (salvo qualche piccola eccezione)  si sono esibiti tutti nello smantellare, mattone per mattone, la struttura portante del sistema pensionistico, che fu la più grande conquista delle lotte operaie, studentesche e dei pensionati sviluppate nell’autunno “caldo” del 1969.

Il fine è stato quello di fare sparire il diritto sancito dagli articoli 36 e 38 della Costituzione:  chiudere il ciclo lavorativo della propria vita con dignità e serenità.

Da molto  tempo, un “fronte” conservatore composto da politici di centrodestra e centrosinistra, Confindustria, economisti ben pagati, giornalisti al soldo degli editori, Unione Europea  ecc  ha inventato bugie clamorose sul presunto costo pensionistico che in Italia sarebbe il  più alto d’Europa: con  statistiche mistificanti, falsi buchi di bilancio dell’Inps, fondi privati e pubblici aperti o chiusi… false illusioni sulla bontà delle pensioni integrative sostenute da chi detiene il potere economico/finanziario e mediatico ecc.

La vera riforma delle pensioni fu fatta durante le lotte degli studenti e degli operai del 68/69  dal ministro Brodolini – il 30 aprile 1969 – ed era fondata su tre pilastri:

  • Il passaggio dal sistema a capitalizzazione contributiva a quello retributivo, in base alla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni di lavoro, con un incremento sostanziale delle pensioni (circa il 20%);
  • La possibilità di andare in pensione di vecchiaia con 40 anni di lavoro, indipendentemente dall’età, con circa l’80% del salario lordo (98% netto); oppure  a 60 anni gli uomini e 55 anni le donne con almeno 20 anni di contributi versati; oppure una pensione di anzianità con 35 anni di contributi con circa il 70% del salario lordo (circa l’88% netto);
  • Inoltre la possibilità di avere una pensione sciale per i lavoratori che hanno raggiunto i 65 anni senza avere 20 anni di contributi.

 

MA LE SUCCESSIVE “RIFORME”  HANNO CANCELLATO QUASI TUTTI I DIRITTI DEI PENSIONATI  E DIMINUITO IL VALORE REALE DELL’ENTITA’ DELLE PENSIONI   CON QUESTI INTERVENTI:

1) la “riforma” Amato del 1992 ha modificato il meccanismo di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita sganciandolo dalla variazioni dei salari; inoltre vi è stata la modifica di calcolo della pensione media retributiva, che è passata da 5 anni a 10 anni; sempre nel 1992, l’adeguamento al costo della vita da semestrale diventa annuale;

2) la “riforma” Dini del 1995, che aveva l’obiettivo della tenuta del sistema pensionistico fino al 2040, in realtà ha creato la divisione tra giovani e anziani distruggendo l’unità del mondo del lavoro con:

calcolo contributivo anziché retributivo per chi entra al lavoro a partire dal 1996 con un calo della pensione di circa il 40% rispetto al sistema retributivo, mantenendo il sistema retributivo  per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi;

calcolo della pensione legato all’aspettativa di vita;

la cancellazione delle pensioni di anzianità a 35 anni senza vincolo di età;

introduzione di “finestre” che obbligava ad attendere 3 mesi per aver diritto all’uscita pensionistica;

riduzione delle pensioni per i superstiti.

3) nel 1997 anche Prodi fa una “riformetta” per accelerare la gradualità della riforma Dini, con l’introduzione della rivalutazione annuale al 100% solo per le pensioni fino a due volte il minimo dopo la rivalutazione scende gradualmente al 90%, 75%, 30%.

4) nel 2004, la “riforma” Berlusconi/Maroni, prevede che a partire dal 2008, le pensioni di anzianità con 35 anni di contributi potranno essere recepite solo da coloro che hanno almeno 60 anni di età (61 autonomi) e dal 2010  61 anni di età (62 se autonomi); inoltre  le finestre passano da trimestrali a semestrali;

5) nel 2007, anche Cesare Damiano fa una “riformetta” delle pensioni, reinserendo le 4 finestre per le pensioni di vecchiaia , ridefinendo i coefficienti di trasformazione del sistema contributivo;

6) nel 2009, il governo Berlusconi con Sacconi e Brunetta fa una “riformetta” dove stabilisce in senso negativo, a partire dal 2015, una diminuzione dell’indicizzazione dell’età pensionabile in rapporto all’innalzamento dell’aspettativa di vita.

7) Nel 2010, la “riforma” Tremonti inserisce una sola finestra mobile che manda i lavoratori in pensione solo a partire da dopo un anno (prima erano 3 mesi, poi 6 mesi e infine 1 anno) per  la maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per quelli autonomi; inoltre aumenta innalzamento dell’età pensionabile in base all’aspettativa di vita, ogni 3 anni anziché ogni 5; anche i coefficienti di trasformazione verranno aggiornati ogni tre anni .

8)  nel 2011 la “riforma” Fornero fa saltare il diritto ad andare in pensione con 40 anni di contributi assicurativi; innalza l’età pensionabile oltre i 67 anni (ora 67 e 6 mesi); stabilisce il sistema contributivo per tutti coloro che vanno in pensione dal gennaio 2012 (a eccezione di quelli che avevano 18 anni di contributi al 31/12/95 ma verrà cancellata successivamente) creando il dramma di coloro che sono anziani e non hanno più un lavoro e nemmeno il diritto di andare in pensione dovendo aspettare i 67 anni (esodati) inoltre blocca  l’indicizzazione al costo della vita per le pensioni superiori di due volte il minimo (è stato alcolato che il bocco delle indicizzazioni su una pensione di 1500 euro mensili abbia causato una penalità di circa 100 euro mensili) .

9) nel 2016,  il governo Renzi fa una “riforma” cercando di migliorare marginalmente quella della Fornero con: la definizione  dell’APE, con la possibilità di andare in pensione con 20 anni di contributi e 63 anni di età, ma attraverso un prestito bancario molto oneroso da restituire alla banca in 20 anni; la possibilità di mandare in pensione con 41 anni di contributi i “precoci” cioè tutti coloro che sono entrati al lavoro prima dei 19 anni di età; definisce la possibilità di andare in pensione a 61,7 mesi di età e 35 anni di contributi i seguenti lavoro usuranti:  lavoratori delle cave e gallerie, conce, lavoro notturno, gruisti, conduttori treni e camion, infermieri, lavoratori addetti alla catena di montaggio, cantieristica navale; concessione della 14° per le pensioni minime (da 500 a 650 euro l’anno ai pensionati “al minimo”) . 

10) il 28 gennaio 2019 il primo governo Conte introduce la possibilità di andare in pensione con 38 anni di contributi e 62 anni di età (quota 100) per tre anni dal 2019 al 31 dicembre del 2021. Allo stato attuale non sono previste proroghe quindi dal 1 gennaio 2022 tornerà in vigore la “riforma” Fornero e i lavoratori potranno andare in pensione o con 67 e mezzo di età, e con 42,10 di contribuiti se uomini o 41,10 mesi se donne (allo stato attuale).  Inoltre nel 2015 a seguito del giudizio incostituzionale da parte della Consulta in merito al blocco delle indicizzazione stabilito dalla Fornero sulle pensioni superiori a 1400 ha restituito tra il 5% e 10% del maltolto.

LA REALTA’ DI BILANCIO INPS CONSULTIVO DEL 2020  (ULTIMO RESO PUBBLICO)  ERA QUESTA:


– Entrate complessive euro 472 miliardi con uscite di 479 miliardi: disavanzo di  7.152 milioni.

Occorre evidenziare  quanto segue:

  1. la crisi pandemica ha fatto ha ridotto il gettito contributivo di oltre 11 miliardi di euro;
  2. Sono aumentate le uscite per prestazioni sociali (che dovrebbero gravare sullo Stato e non sull’Inps) di 4 miliardi e 605 milioni di euro;
  3. Il sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e autonomi a causa della pandemia ha pesato per 12 miliardi e 442 milioni ;
  4. 65 miliardi sono stati ripianati da parte dello Stato a copertura delle aziende ed amministrazione pubbliche ex Inpdap, che non hanno  pagato i contributi. ai dipendenti, mentre nel 2017 erano stati 107 miliardi;

MA ALLORA QUALI SONO LE MOTIVAZIONI CHE HANNO INDOTTO I VARI GOVERNI A CONTRORIFORMARE IL SISTEMA PENSIONISTICO?  SONO QUESTE TRE BUFALE:

  • Hanno sostenuto e sostengono che le varie operazione contro-riformatrici sono state  effettate per dare la possibilità alle future generazioni di avere una pensione dignitosa … in realtà le future generazioni  con il sistema contributivo prenderanno una pensione ridotta del 40% rispetto a quella con il sistema retributivo; inoltre i giovani sono quasi tutti assunti con contratti precari e difficilmente fanno un anno pieno di lavoro,  per cui la loro pensione sarà decurtata di oltre il 50%, rispetto a quella dei genitori e nonni. La cosa più curiosa – che ho spesso udito da alcuni onorevoli, presunti economisti   e giornalisti allineati –  è sostenere la necessità del ritorno alla Fornero per garantire una pensione dignitosa ai giovani, aggiungendo che  bisognerebbe anche tagliare tutte le pensioni a coloro che sono andati in pensione con il sistema retributivo, rifacendo i nuovi calcoli con il contributivo abbassando le pensioni… salvo dirsi contrari al taglio della loro pensione d’oro.

 

  • E’ stato anche detto che  il taglio delle  pensioni è necessario perché l’INPS  altrimenti fallirebbe. Anche questo è falso. Hanno pure inventato un buco all’INPS, senza mai dire che il buco si è creato nel 2011 quando il governo Berlusconi/Tremonti  di allora  decise di fare confluire le pensioni del settore pubblico ed amministrativo INPDAP con quello dei lavoratori privati INPS. Ma nessuno dice che l’INPS nel 2012 con l’accorpamento con l’INPDAP aveva assorbito ANCHE il suo debito creando un buco di 12 miliardi che successivamente sono diventati circa  50 miliardi 
  • Infine insistono nel lamentare il deficit dell’Inps ma non dicono che esso non dipende dal costo delle pensioni , e che il fondo INPS dei lavoratori privati sarebbe più che in attivo se  non facessero  pesare sull’INPS – anziché sullo Stato –  l’assistenza sociale (come avviene negli altri Paesi Europei) mentre lo Stato Italiano anziché provvedere direttamente,  fa gravare sulle casse Inps la cassa integrazione, la mobilità, la liquidazione e le 3 ultime mensilità  ai lavoratori delle imprese fallite e l’indennità  di malattia… Con una spesa complessiva molto alta  per l’ Assistenza, mentre dovrebbe gravare sulle casse dello Stato. Inoltre il deficit dipende dal  fatto che le aziende pubbliche e le amministrazioni dello Stato non pagavano e non pagano regolarmente i contributi assicurativi dei propri lavoratori dipendenti facendoli gravare su quelli versati dai lavoratori privati dell’Inps. Contributi assicurativi che invece  dovrebbe  pagare in toto lo Stato o ripianare i debiti delle aziende pubbliche.

Quello che invece da subito bisognerebbe fare è una vera riforma delle pensioni con la cancellazione delle “dannate” leggi che hanno portato molti pensionati alla miseria attraverso :  

  1. Interventi tesi a incrementare tutte le pensioni medie e basse di almeno il 25% con l’estensione della 14° mensilità a tutte le pensioni medio/basse
  2. Riportare tutto il sistema pensionistico  al retributivo per  garantire ai giovani una futura pensione dignitosa
  3. Stabilire la possibilità di andare in pensione a 60 anni di età o con 40 anni di contributi
  4. Dividere la previdenza a carico dell’Inps, con l’assistenza che deve andare a carico dello Stato
  5. Rimborsare quanto è stato tolto ai pensionati con il bocco perequazione semestrale
  6. Alzare il tetto per avere il diritto alle detrazione del coniuge a carico, oggi fermo a 2800 euro l’anno come stabilito 40 anni fa (circa 5 milioni di lire che avevano un altro valore)
  7. Obbligare imprese statali e amministrazioni pubbliche a pagare i contributi assicurativi; in caso di mancato pagamento lo Stato deve intervenire per ripianare il deficit senza scaricarlo sul fondo dei lavoratori privati .

Ma  Draghi vuole invece il rispristino integrale della legge Fornero. Ritengo quindi  che senza un moto di lotta nel Paese non ci sarà l’abolizione reale della legge Fornero né tanto meno una riforma che incrementi le pensioni medio/basse e faccia le cose sopra elencate.

CHE FARE ALLORA ?

E’ soprattutto il sindacato, a partire dalla CGIL, che dovrebbe organizzare un vera piattaforma rivendicativa. Invece rivendica il niente… A eccezione della FIOM che ha proclamato 8 ore di scioperi, CGIL CISL UIL fanno scena muta annunciando una qualche manifestazione di pensionati nei sabati a livello regionale (sic).

Serve  un moto generalizzato di scioperi e proteste nei luoghi di lavoro, nei territori e a livello generale. Occorre una svolta sindacale anche del sindacato CGIL che di fatto gestisce in termini assistenziali le ricadute negative sui lavoratori e pensionati  delle scelte fatte dai padroni e dal governo.

Solo con  un “insorgere” dal basso sarà possibile aprire una nuova strada.

(*) Umberto Franchi già dirigente sindacale CGIL

LA VIGNETTA – scelta dalla “bottega” – E’ DI MAURO BIANI

 

Redazione
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