«Peppino siamo noi» nell’Italia sotto inchiesta (permanente)

Quest’anno ricordiamo ancora PEPPINO IMPASTATO (*): con Alessio Di Florio (che scrive di giornalismo coraggioso e necessario) e con un “disegno dialogo” di Chief Joseph

«Peppino Impastato siamo noi, nessuno si senta escluso»

Italia sotto inchiesta

di Alessio Di Florio

Quasi un mese. Una lunga attesa. Ma sicuramente ne è valsa la pena. Italia sotto inchiesta, pubblicato da Meltemi Editore, è un libro da leggere tutto d’un fiato. Dalla prima all’ultima pagina. Un viaggio lungo lo Stivale, illuminando le zone grigie e gli angoli bui della nostra società. Un primo dato colpisce, o almeno dovrebbe. Gli autori sono tutti giovani, poco più che trentenni o al massimo poco più che quarantenni. Un dato che dona speranza, che fa capire che in questa società non tutto è perduto. Mentre per anni ci hanno ripetuto il mantra di ogni colpevolezza e nefandezza di una gioventù amorfa, senza slanci, che “non fa nulla”, incapace, ragazze e ragazzi hanno scelto la loro strada. Una strada impervia, difficile, coraggiosa. Ma ben battuta. Sono giovani che si sono guardati intorno, si sono interrogati e non sono rimasti in silenzio. Mentre gli adulti con un dito puntano inquisitori sulla generazione successiva, e con un altro impongono troppo spesso silenzio, omertà, connivenza, servilismo e vigliaccheria di fronte al potente e al prepotente di turno. E dona speranza (mi si scusi il breve accenno anche autobiografico) a tutti noi che una strada non l’abbiamo ancora trovata, che ci barcameniamo cercando di capire come donare il proprio contributo ad una società più giusta e libera, a non rimanere in silenzio e trovare gli strumenti per tenere sempre alta la testa e non considerare la schiena dritta solo una questione ortopedica. Certamente anche per errori e sbagliate valutazioni personali, per mancanza di intuito e bravura. Ma anche perché non aiutati dal mondo che ci circonda, dal piccolo mondo borghese nel quale si è stranieri anche se si è nati e si vive quotidianamente nel suo ventre.

 Come avevo scritto in un messaggio a Nello e Sara non avrei risposto all’appello lanciato su facebook (https://www.facebook.com/antonio.crispino.758/posts/10156526455125934 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215696985848387&set=a.1138517953861.142603.1554757901&type=3&permPage=1 ) con un selfie, mettendomi in mostra accanto alla copertina del libro.  L’ho fotografato accanto ad altri libri che svettano nella mia personale biblioteca. Libri che ogni tanto riapro per leggerne qualche brano. Libri che raccontano vite e storie che si stampano nel cuore e infiammano l’animo. Libri non solo da leggere ma che pretendono movimento, passione civile, che impongono di non rimanere inerti di fronte allo “stato di cose presenti”. Ma di impegnarsi ogni giorno, quotidianamente, per strappare all’inferno dei viventi quel che inferno non è. Per essere atomi positivi negli interstizi del disordine e delle lacerazioni di questo nostro mondo. La denuncia e la lotta alle mafie, al crimine organizzato, al “sovversivismo delle classi dirigenti”, alla criminalità imprenditoriale e di tutti i colletti bianchi soffre terribilmente di una lettura distorta. E’ sentore comune che chi la fa è una sorta di notaio dello status quo, una persona che persegue solo ed unicamente il rispetto formale e totale dei codici, delle leggi, dell’ordinamento giudiziario. Un difensore dell’ordine costituito. In alcuni c’è anche questo. Ma non è così, non deve essere così. E’ impegno per la giustizia, per la libertà, per schierarsi con gli ultimi e i deboli, gli impoveriti e i più fragili. La corruzione, le mafie, la malapolitica, l’interesse dei colletti bianchi e dei cravattari che fagocita il bene comune colpiscono soprattutto loro. Quando si sceglie un potente, quando squallide consorterie fanno deragliare verso i loro meschini interessi, si ruba a loro, si sequestra il loro destino e li si uccide. Non si può, quindi, sognare e impegnarsi per un mondo migliore, più giusto, più equo, più umano, senza denunciare e lottare contro lor signori. Farlo è un tassello fondamentale del guardare questo mondo “con lo sguardo delle vittime”, dello schierarsi dalla loro parte. Come fece Dino Frisullo. O come fece Roberto Mancini, la cui vita è raccontata in “Io morto per dovere”. Roberto tutta la vita ha lottato per rendere questo mondo migliore, per denunciare i criminali che hanno avvelenato la sua terra, assassinato migliaia di persone. Come disse il suo impegno era “garantire i diritti per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo che ci circonda, la vita delle persone”. Alexander Langer, ai piedi dell’albero sul quale spezzo la sua esistenza terrena, scrisse che dovevamo “continuare in quel che è giusto”. Quel qualcosa che deve irrorare il nostro quotidiano impegno, che deve costruire una forza nonviolenta e radicale che rovesci le sorti della Storia, che dia voce ai piccoli, a chi è schiacciato dalle “regole” dell’alta finanza e della globalizzazione, del profitto ad ogni costo (e non è forse questa la prima e più importante regola dell’imprenditoria e della politica mafiosa?!). Senza compromessi al ribasso, senza nessuna certezza e nessun “interesse di scuderia” se non – appunto – i piccoli e gli ultimi, i deboli, le vittime e i più fragili di ogni latitudine e la sete ardente degli ideali umani più alti.

 

Le minacce ai cronisti coraggiosi, commemori-amo Peppino Impastato con l’impegno

Le minacce a Paolo Borrometi e a Federica Angeli, l’azione legale “record” che ha colpito Nello (https://www.articolo21.org/2018/04/azione-legale-record-contro-gli-autori-di-notizie-vere-chiesti-39-milioni-di-euro-di-risarcimento/ https://www.articolo21.org/2018/04/una-querela-bavaglio-da-39-milioni-di-euro-per-intimidire-nello-trocchia/ ) e anni fa gli autori de “Il Casalese”, a Rino Giacalone, a Salvo Vitale o Antonio Mazzeo (solo per citarne alcuni), (ma andando indietro a ritroso negli anni mi vien da ricordare che quando iniziai con PeaceLink una delle prime persone che conobbi fu Carlo Ruta – che stava indagando sull’assassinio Spampinato e alcuni ambienti in odor di massoneria locali – e l’incredibile odissea giudiziaria che stava subendo e che portò alla chiusura di un suo blog), gli attacchi subiti da Fanpage per le loro recenti inchieste su rifiuti e non solo, le aggressioni ad alcuni giornalisti anche negli ultimi giorni, le minacce ricevute nei mesi scorsi dalla redazione de “I Siciliani”, tantissimi altri fatti che ogni anno colpiscono cronisti che per qualcuno hanno avuto la “colpa” di voler raccontare con coraggio e senza filtri, impongono l’impegno di tutte e tutti. E non è solo questione, ovviamente, degli ultimi tempi. Era il 2004 quando iniziai con PeaceLink e, dopo pochi mesi, ci imbattemmo nella vicenda dello storico Carlo Ruta. Denunciato e condannato dopo aver pubblicato articoli sull’assassinio Spampinato e alcuni ambienti in odor di massoneria locali. Si tentò di portare anche in parlamento la sua vicenda all’epoca. A dimostrazione di come ci sia parte del main stream che ha seri problemi con la verità nuda e cruda chi raccontò nei Sacri Palazzi la sua vicenda fu accusato di “razzismo” contro i massoni. Dagli stessi ambienti che oggi un giorno si e l’altro pure giustificano la loro propaganda nazionalista e xenofoba sparlando un giorno e l’altro pure di finanza massonica (e indovinate un po’ che ci “scappa” ogni tanto dopo … ovviamente giudaica o ebrea), di piani d’invasione per la distruzione etnica dell’Italia e aberrazioni simili. Senza dimenticare la vicenda del documentario “Mare Nostrum”, prodotto dalla RAI ma mai mandato in onda. 14 anni fa con Articolo21 e MeltingPot costruimmo anche una campagna di “sensibilizzazione sull’informazione sociale” (https://www.peacelink.it/migranti/i/2030_1.html ) per denunciare la censura sul documentario che denunciava quel che accadeva dentro il Cpt “Regina Pacis” di Lecce. Sono passati quasi 3 lustri ma il silenzio – anche sui successivi affari moldavi di Cesare Lodeserto (il gestore del Cpt) dopo la sua chiusura. E  gli stessi ambienti politici  che riempiono la loro propaganda – ieri come oggi – di “profughi negli alberghi”, “business dell’immigrazione” e  odio verso i migranti si schierarono tutti compatti nel difenderlo. Quando Lodeserto fu arrestato un quotidiano attaccò chi denunciò affermando che avremmo fatto arrestare anche San Francesco.

Sulla scia delle esperienze delle Scorte Civiche, dopo la recente indagine che ha portato a rendere pubbliche le minacce a Paolo Borrometi, è avanzata la proposta di rilanciare, riproporre, pubblicare, farsi tutti carico delle sue inchieste, delle inchieste dei giornalisti di frontiera, di coloro che con coraggio denunciano e documentano ogni giorno (https://www.articolo21.org/2018/04/appello-per-illumonarr-i-cronisti-minacciati-le-prime-adesioni/ ). E’ una proposta rivolta sicuramente alla stampa. Ma che può chiamare chiunque. Fra poche settimane sarà il quarantennale dell’assassinio di Peppino Impastato. Qualche anno fa mi permisi di scrivere che “Peppino Impastato siamo noi, nessuno si senta escluso” (https://www.articolo21.org/2013/05/peppino-impastato-siamo-noi-nessuno-si-senta-escluso/ ).  Tra un meme e una canzone, tra una citazione d’effetto e l’altra sui social, tra una retorica e l’altro, sarebbe questa la migliore commemor-azione di Peppino. Non commemoriamo un “laico santino” ma lasciamoci ardere dal fuoco vivo dell’indignazione, della passione, del coraggio. Senza rassegnarsi, senza mai voltarsi dall’altra parte, facendo sempre più, ognuno nel suo territorio, ognuno tutte le volte che può, nomi, cognomi, trame, intrighi, affari, complicità delle clientele, delle cricche, delle mafie, dei potenti e dei prepotenti. Senza mai pensare che è tutto inutile, che alla fine il compromesso è obbligatorio. Perché non è così. Non lasciamo mai soli i migliori cronisti del nostro Paese, impegnandoci da cittadini attivi e responsabili, che prendono a cuore il bene comune e inondano del fresco profumo della libertà rifiutando il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.

Italia sotto inchiesta guida per illuminare altre periferie

In una recente intervista Nello ha dichiarato che “c’è bisogno che le province vengano illuminate a giorno”. Provando ad illuminare alcune zone grigie e ben poco nominate e conosciute della mia Regione, ho provato nei giorni scorsi a farmi guidare anche da “Italia sotto inchiesta” (https://www.peacelink.it/abruzzo/a/45310.html ). Dall’inchiesta di Giorgio Mottola che ha posto fari sulla borghesia e sull’élite mafiose, dal racket delle case popolari denunciato da Antonio Crispino (e che è la plastica dimostrazione di come la violenza, la prepotenza e la corruzione criminale ruba ai poveri togliendo loro diritti …), dall’inchiesta di Amalia De Simone sulla mafia nigeriana e sullo sfruttamento della prostituzione. Un’inchiesta durissima che fa stare veramente male anche dopo giorni (e ancora esprimo massima ammirazione per il coraggio e la forza di portarla avanti). Un’inchiesta che, in alcuni tratti, mi ha portato a pensare all’assassinio di Pamela Mastropietro e a Macerata. In tutto quel che è stato detto, ridetto, nei fari accesi e nel torrente dei social fa riflettere che su una recentissima inchiesta di Rainews c’è il silenzio più totale http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Gli-insospettabili-nei-festini-a-luci-rosse-6e42f953-0a7e-4de0-8838-ddcb950c3969.html . Avrei voluto farmi guidare anche dall’inchiesta di Nello sul “governo dei massoni”. Ma in Abruzzo la massoneria è più che tabù. Di fatto le ultime notizie certe sono di oltre vent’anni fa, quando la “Guglia d’Abruzzo” finì nell’inchiesta del giudice Cordova. Per il resto sbucò ai tempi di Sanitopoli (http://www.primadanoi.it/news/regione/520612/Del-Turco–segnali-e-misteri-di-una-classica-storia-italiana.html  ), qualcuno la nominò per affermare che in una ASL abruzzese favorirebbe le carriere e in un’altra ostacolò e ritardo la rimozione di un alto dirigente, questa lettera anonima nel 2015 agitò leggermente le acque http://www.primadanoi.it/news/cronaca/561517/Lettera-aperta-ad-un-massone-e.html , a Vasto anni fa un incontro massonico avvenne nel più totale “riserbo” http://www.zonalocale.it/2014/01/20/vasto-al-teatro-rossetti-riunione-privata-della-massoneria/8400?e=vasto http://www.zonalocale.it/2014/01/21/massoni-al-teatro-rossetti-molino-chiede-chiarimenti-al-comune/8424?e=vasto , c’è chi affermò che a Teramo sarebbe molto “fiorente, importante e potente” http://www.primadanoi.it/news/cronaca/525444/Massoneria-a-Teramo—fiorente–importante-e-potente-.html , ovviamente è stata tirata in ballo nel post terremoto aquilano (http://www.primadanoi.it/news/cronaca/550910/Abruzzo–Tangenti-L-Aquila-.html http://www.primadanoi.it/news/terremoto/534726/-Ndrangheta-e-Massoneria–la.html ), altre vicende sbucano ogni tanto  http://www.primadanoi.it/news/inchieste/258/Due-procure-sulla-Valle-del-Giovenco-e-gli-affari-nel-pallone.html , come sospetti di cavalieri e alti colletti bianchi. Ma alla fine tutto svanisce nel porto delle nebbie, tutto torna nell’oblìo …

E della necessità di illuminare a giorno le province ne abbiamo avuto dimostrazione anche in queste ore. Tutti i riflettori puntati sul Molise per le elezioni regionali. Ore e ore di trasmissioni televisive, pagine e pagine di giornali. Ma, incredibilmente, sullo sfondo è rimasto proprio il Molise … eppure la cronaca di questi giorni è stata animata da episodi che dovrebbero far riflettere e accendere riflettori sulle zone grigie di questa Regione.

Lavoro sicuro, 8 imprenditori denunciati. Violazioni pure nelle mense

http://www.primonumero.it/attualita/news/1524220848_provincia-di-isernia-lavoro-sicuro-8-imprenditori-denunciati-violazioni-pure-nelle-mense.html

Operazione “Periferie sicure”, sequestrati droga, coltelli e 4 auto

http://www.primonumero.it/attualita/news/1524309277_isernia-e-provincia-operazione-periferie-sicure-sequestrati-droga-coltelli-e-4-auto.html

Montenero di Bisaccia – Foce Trigno, divampa il fuoco: fauna in pericolo e danni. Fiamme partite dai rifiuti abusivi

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=27799

Droga ’in viaggio’ su treni e bus da Napoli, duro colpo allo spaccio

http://www.primonumero.it/attualita/news/1524404163_nuovi-dettagli-sull-arresto-del-dominicano-droga-in-viaggio-su-treni-e-bus-da-napoli-duro-colpo-allo-spaccio.html

Santa Croce di Magliano – Boato nella notte, incendio all’ingresso del municipio. Pochi mesi fa un attentato simile

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=27807

(*) in “bottega” cfr In ricordo di Peppino Impastato

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • lella di marco

    grazie per quanto è stato scritto
    noi siciliani non possiamo dimenticare Peppino Impastato e… di certo è un ricordo velenoso per la mafia…
    ma oggi è anche il giorno della commozione e della tenerezza per Peppino e per Felicia :la sua mamma . La voglio ricordare – in bottega- così come l’ho vista l’ultima volta a Cinisi. Felicia orgogliosa del figlio Peppino , una madre che pur rifiutando da sempre la mafia dentro di sé , prende coscienza, attraverso la militanza del figlio, di quello che l’organizzazione criminale rappresenta , anche nella sua valenza politica di appoggio alla politica in doppio petto – senza “coppola”. Felicia madre-militante politica – che non si espone, soltanto ,per difendere il figlio mentre era in vita ma per difendere -liberare la Sicilia. Vuole liberarsi della “mafia in casa” facendo dopo l’assassinio del figlio, della sua abitazione un luogo di documentazione permanente … per i giovani che vogliono sapete e capire. Per proteggere Giovanni l’altro figlio rimasto ancora in vita e stringersi a lui nell’incessante richiesta di giustizia per conoscere gli assassini di Peppino .
    Allora uno come tanti giovani di democrazia proletaria con il bisogno di cambiare il mondo…

  • domenico stimolo

    Peppino scriveva anche poesie:

    “ Fiore di campo nasce
    dal grembo della terra nera
    Fiore di campo cresce
    odorosa di fresca rugiada
    fiore di campo muore
    sciogliendo sulla terra
    gli umori segreti”

    **
    Segnalo lo scritto di Riccardo Orioles, giornalista siciliano, pubblicato ieri dal sito del “ Fatto Quotidiano”: “Peppino Impastato vive”:
    https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/09/peppino-impastato-vive/4340980/

  • di Tiziano Marelli

    Nella notte fra l’8 e il 9 maggio 1978 – esattamente quarant’anni fa – veniva assassinato Peppino Impastato. Come ormai faccio da qualche anno qui su fb, in occasione di quell’evento tristissimo e criminale per tutta la mia generazione impegnata politicamente, pubblico un mio articolo dell’Europeo dedicato alla storia di quel compagno straordinario.
    Stando a quanto riportano le cronache anche in questi giorni, i misteri su quella vicenda non sono ancora stati del tutto disvelati, ma vale la pena ripercorrere le tappe di quel che si sa per certo fino ad oggi.
    Perché noi non dimentichiamo, mai. Buona lettura.

    Non toccate Tano Seduto
    “Verso le ore 0,30-1 del 9.5.1978, persona allo stato ignota, presumibilmente identificantesi in tale Impastato Giuseppe, si recava a bordo della propria autovettura Fiat 850 all’altezza del Km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo, per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”. Al di là del tono burocratico-inquisitorio estremamente fastidioso e di difficile lettura, quelle appena riportate sembrano le certezze di tutta un’inchiesta. La sicumera con cui sono vergate queste poche righe, invece, è frutto delle ‘conclusioni’ a cui è velocissimamente giunto – con l’ausilio delle indagini dei carabinieri giunti sul posto – il procuratore aggiunto Gaetano Martorana, solo poche ore dopo l’episodio in questione, la mattina di martedì 9 maggio 1978. E rappresentano per intero il testo del fonogramma inviato sul caso al procuratore generale di Palermo, accompagnate dal titolo: “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda”. Rappresentano anche l’immediato tentativo di uccidere di nuovo, per la seconda volta nel giro di poche ore, “tale Impastato Giuseppe”. Un “tale” che invece tutti chiamavano Peppino: gli amici e i compagni di fede politica che lo conoscevano e tutti quelli che impareranno a conoscerlo da quel giorno, vittima prima della mafia poi di uno Stato interessato a tentare di chiudere subito una antipatica partita giudiziaria, iniziata appena poco prima del ritrovamento di un altro cadavere eccellente, quello di Aldo Moro all’interno di una Renault rossa: succede il pomeriggio dello stesso giorno, in via Caetani a Roma. Accadimento, quest’ultimo, di impatto sconvolgente per la storia della nostra Repubblica, e capace nell’immediato di relegare in secondo piano, per tanto e troppo tempo, un omicidio di mafia camuffato da attentato maldestro, in cui la vittima ‘deve essere’ per forza anche l’esecutore. Niente di più lontano, invece, dal personaggio protagonista di questa storia.

    Un contesto tutto mafioso, a partire dalla famiglia
    Personaggio e interpreti di una trama che, del resto, ha ben saputo comunicare il regista Marco Tullio Giordana, nel 2000, grazie ad uno splendido film, protagonista un esordiente Luigi Lo Cascio; per chi conosceva Peppino, la scelta dell’attore risulterà azzeccata anche per l’impressionante somiglianza fisica fra i due. Il titolo della pellicola è quello della distanza che intercorre fra la casa della famiglia Impastato e quella del boss Gaetano (Tano) Badalamenti: soltanto “cento passi”. Una distanza minima per il padre di Peppino, Luigi; inconcepibile invece per uno come il figlio che avrebbe voluto frapporre con quel mondo di omertà rappresentato dal boss tutta la distanza possibile. La famiglia – ci sono anche la mamma Felicia (che diventerà un’icona della lotta per la verità sulla morte del figlio) e il fratello Giovanni – respira mafia a pieni polmoni, da generazioni. Mafioso di piccolo cabotaggio il padre (piccolo commerciante), mafioso di grosso calibro invece lo zio Cesare Manzella (anche al confino per questo durante il fascismo, saltato in aria nel 1963 per lo scoppio di un’autobomba), mafioso praticamente tutto il contesto d’attorno, centrato sulla figura di Badalamenti, criminale che assurgerà al ruolo di boss della zona (lo dichiarerà anni dopo Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone) proprio in quel periodo. Destinato, quindi, quasi ‘naturalmente’ ad essere uomo d’onore anche lui, Peppino invece si ribellerà all’eventualità quasi subito, appena la sua età sarà quella della ragione. E lo farà nella maniera che secondo quei codici è forse considerata la peggiore: diventando comunista e militando nei gruppi della sinistra extraparlamentare. Naturalmente ribelle negli atteggiamenti e nel look, Peppino si rivela ben presto un grande animatore, in una zona dove solo questo è sufficiente a suscitare sospetti. Fonda un circolo – “Musica e Cultura”, dove si proiettano film, si tengono concerti e si organizzano dibattiti – e, con l’avvento delle radio libere (siamo all’inizio del ’76, ha appena 23 anni) si mette a combattere via etere contro tutto il sistema che regola la vita di quella parte di Sicilia, a Cinisi, paesone stretto fra Palermo e l’aeroporto di Punta Raisi. Uno dei cavalli di battaglia della ‘sua’ Radio Aut sarà proprio quello contro la costruzione della terza pista dell’aerostazione, eventualità appetita naturalmente dalle cosche, per evidenti ragioni di appalti e di possibile ulteriore smistamento dei carichi di stupefacenti spediti dai ‘fratelli’ delle famiglie americane. Le sue trasmissioni radiofoniche, caratterizzate da un palinsesto tutto votato alla controinformazione, non cessano praticamente mai di picchiare duro sui personaggi malavitosi del luogo, arrivando addirittura ad osare l’inosabile: la presa per i fondelli tout court – il “contenitore quotidiano” (così diremmo oggi) da lui gestito si chiama “Onda Pazza”- di Badalamenti, che nelle sue vere e proprie jam session al microfono Peppino chiama “Tano Seduto”, senza preoccuparsi di celare minimamente l’identità del protagonista, dei suoi attacchi e di tutti i suoi più stretti accoliti. In breve tempo il padre lo caccia di casa e il paese gli fa terra bruciata intorno; vicini gli restano la madre, il fratello e gli amici e compagni della nuova sinistra, che sono anche quelli che gravitano intorno alla radio. Poco tempo prima del suo assassinio muore anche il padre, appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti dove avrebbe tentato di salvargli la vita incontrando affiliati della mafia in grado di intercedere per lui: aveva capito che il destino di Peppino era segnato. Ma a Luigi Impastato capita qualcosa di strano: viene investito, di notte, da un’auto pirata che si dilegua. Nessuno ha visto nulla. Intanto, al culmine del suo impegno sociale, Peppino si è presentato candidato alle elezioni comunali di Cinisi nelle file di Democrazia Proletaria; viene anche eletto, ma “alla memoria”: la consultazione è fissata per il 14 maggio, la domenica successiva alla scoperta del suo corpo dilaniato. Prende 260 preferenze “post-mortem” e il suo partito il 6%: un exploit per la zona, alla pari di quello registrato dalla Democrazia Cristiana di Cinisi, che raggiunge il suo massimo storico e sfiora la maggioranza assoluta con il 49% dei consensi.

    Subito i depistaggi
    La sera di quel martedì 9 maggio ‘78, all’uscita dalla radio Peppino saluta gli amici e dice loro che deve andare a Terrasini, un centro poco lontano da Cinisi. Da quel momento di lui si perdono completamente le tracce, nessuno ne sa più nulla. Le indagini non sono riuscite a ricostruire l’esatta dinamica dei fatti: sono mancate, del tutto, testimonianze dirette. Quello che si presume è che l’auto di Peppino deve essere stata bloccata fra i due paesi, e lui trascinato da più persone nel casolare poco distante dal punto in cui il corpo è stato trovato dilaniato. Qui, probabilmente, è stato ucciso per essere poi disteso sui binari e fatto, letteralmente, a pezzi dal brillio del tritolo. All’1 e 40 di quella notte, il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, all’altezza della località Feudo – in territorio di Cinisi – avverte un forte scossone; ferma subito la locomotiva e scende ad osservare il binario, scoprendo che è tranciato. A quel punto avverte il dirigente della stazione ferroviaria che a sua volta avvisa al telefono i carabinieri; quando questi arrivano sul posto si accorgono immediatamente che la linea è divelta per un tratto di circa mezzo metro e che nel raggio di altri trecento sono sparsi resti umani. Immediatamente cominciano quelli che gli animatori del futuro Centro di Documentazione Peppino Impastato chiameranno, senza nessun giro di parole, depistaggi. Vediamone alcuni. I resti umani vengono immediatamente raccolti in un sacco di plastica e portati via. Le tracce di sangue cancellate. I binari subito immediatamente riparati e ripristinati. All’interno della macchina di Peppino, distante un centinaio di metri, morsetti di un cavo lungo solo venti metri attaccati alla batteria diventano ‘prova principe’ dell’ideazione ed esecuzione dell’attentato, insieme ad un biglietto (solo due righe, scritte anni prima: “Voglio abbandonare la politica e la vita”…) trovato nella perquisizione effettuata nella casa materna in cui Peppino, sempre secondo i carabinieri, manifesta “chiari propositi suicidi”. Una pietra insanguinata trovata nel casolare vicino – fra quelle mura sono visibili anche tracce di sangue: non sono prese in considerazione – e consegnata dagli amici di Impastato agli inquirenti sparirà immediatamente, senza mai più essere ritrovata. Il metodo mafioso classico per eccellenza, in occasione di un omicidio, contempla la sparizione del corpo, ma il periodo storico-politico favorisce una messinscena quasi raffinata per Cosa Nostra: le Brigate Rosse imperversano, Peppino è comunista, il rapimento Moro è nel pieno del suo tragico svolgimento. Inscenare un attentato che costa la vita al suo esecutore è quasi perfetto (anche se le Br non hanno mai messo bombe sulle rotaie…) per far passare la tesi dell’azione terroristica e infangare la memoria di un paesano scomodo e irriverente non concedendogli nemmeno quella sorta di “onore delle armi” – l’omicidio di stampo mafioso – che solitamente viene riservato ai nemici “regolari”. In più, l’avvertimento è invece chiaro, per chi lo deve intendere.

    La lunga strada per arrivare alla verità
    In effetti molti intendono da subito come possono essere andate le cose ma, a differenza di quello che pensavano Tano & compari, cominciano anche a dirlo. All’inizio piano, poi sempre più forte, anche quando le indagini continuano ad andare avanti a senso unico. Negli anni, nei tanti anni a venire, saranno diversi i colpi di scena. Il primo è pochi giorni dopo l’omicidio, il 16 maggio, quando mamma Felicia e il fratello presentano un esposto contro ignoti per l’assassinio di Giuseppe; sembra un gesto scontato, ma non è così, è molto di più: la prova di una rottura pubblica con il mondo omertoso della mafia operata dalla famiglia. Il 6 novembre di quell’anno la prima svolta: la magistratura non crede alle tesi dei carabinieri, e il sostituto procuratore trasmette gli atti all’Ufficio Istruzione di Palermo, che fa capo a Rocco Chinnici, per aprire un procedimento per omicidio premeditato. Ci vogliono sei anni di indagini (nel frattempo Chinnici è ucciso dalla mafia) perché – è l’84 – venga emessa una sentenza che cambia per qualche tempo il corso di questa brutta storia: nelle motivazioni viene riconosciuta la matrice mafiosa dell’assassinio, attribuito però ad ignoti. La firma in calce al provvedimento è quella di Antonino Caponnetto. I primi a mettere nero su bianco il nome di Badalamenti sono gli animatori del Centro Impastato, sostenuti dalla madre: succede con la pubblicazione del dossier ‘Notissimi Ignoti’, nel 1986. A quel punto Giovanni Falcone prende l’aereo e va ad interrogare il boss, recluso nelle carceri americane e condannato a quarantacinque anni per l’affare “Pizza Connection”: lui non risponde, ma dopo altri due anni si vede comunque recapitare una comunicazione giudiziaria per l’assassinio di Peppino Impastato. Sembra la via giusta, ma la strada per far luce sull’episodio è ancora lunga, e dovrà passare attraverso un’altra archiviazione (succede nel ’92, quando il sostituto procuratore De Francisci esclude la responsabilità di Badalamenti e ipotizza quella dei corleonesi suoi avversari), decine di audizioni parlamentari dalla Commissione Antimafia e interpellanze di alcuni parlamentari di Democrazia Proletaria, Guido Pollice e Giovanni Russo Spena in testa. E’ soprattutto grazie a quest’ultimo se nel 2000 la Commissione Antimafia – Russo Spena nell’occasione ne è il relatore – approverà all’unanimità la relazione sul “caso Impastato”, in cui si riconoscono le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini sul delitto. Passa altro tempo ed è ancora il Centro Impastato a chiedere formalmente che venga interrogato un pentito, Salvatore Palazzolo; è, finalmente, la mossa vincente: Palazzolo parla e indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio. L’udienza preliminare contro quello che viene indicato come uno degli esecutori, Vito Palazzolo (parente del pentito), si apre il 10 marzo 1999, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. Vito Palazzolo è riconosciuto colpevole dell’omicidio e condannato, il 5 marzo 2001, a trent’anni di prigione; Tano Badalamenti, l’11 aprile del 2002, viene condannato all’ergastolo come mandante dello stesso assassinio, e nella motivazione della sentenza, fra l’altro, è scritto: “Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l’omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all’eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell’attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.

    E pensare che era tutto già scritto
    Solo due anni dopo, il 29 aprile 2004, ‘Tano Seduto’ morirà in un carcere di massima sicurezza Usa: formalmente non ha scontato un solo giorno di prigione per l’assassinio commesso al suo compaesano di Cinisi. Muore, anche, Felicia Bartolotta Impastato, poco tempo dopo, il 7 dicembre, a 88 anni. Ne ha passati ventiquattro anni e mezzo a combattere perché si arrivasse alla verità sulla morte del suo Peppino. Al funerale di questa “mamma coraggio” parteciperà buona parte di Cinisi, una parte della Sicilia sana e migliaia di persone giunte da ogni parte d’Italia. Nell’occasione, sulla facciata della sua casa tutti hanno potuto leggere la lapide lì collocata nell’ormai lontano maggio ’89, e mai più rimossa: “A Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Il Centro Impastato ricorda il suo contributo di idee e di esperienze nella lotta contro il dominio mafioso”. Con largo anticipo, chi conosceva il contesto in cui è stato “girato” quest’orribile film di vita vera, aveva scritto correttamente la sentenza e le esatte motivazioni dell’omicidio. Poche parole impresse e incise nel marmo da chi conosceva molto bene sia Peppino che il suo nemico, quello contro il quale lui aveva messo in gioco tutta la forza a disposizione per combatterlo. Tutta, tanto da lasciarci la vita.

  • domenico stimolo

    Da un siciliano che ben ricorda per memoria diretta.
    Ottima ricostruzione degli eventi drammatici, del prima e del dopo, questa scritta dal giornalista Tiziano Marelli.
    Era ben necessaria riportarla in questo sito nel quarantennale dell’assassinio di Peppino Impastato.

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