Per chi fischia l’uomo nero

Nel bel libro di Marco De Palma il linguaggio del calcio serve per mettere in scena non solo le contraddizioni di uno sport una volta popolare e ormai ridotto a «baraccone dorato», ma anche quelle di un mondo dove conta soltanto l’individualismo sfrenato.

di David Lifodi

Durante una partita di calcio il portiere è solo con i suoi pensieri. Si muove nervosamente da un palo all’altro della porta, osserva e, nell’attesa di difendere il proprio fortino, avanza e indietreggia nella sua area di rigore per mantenersi reattivo nel caso in cui gli attaccanti avversari si presentino dalle sue parti.

In queste lunghe fasi di gioco il portiere pensa a come neutralizzare le minacce del bomber di turno, ma ha anche modo di riflettere sul mondo che gli sta intorno, sulle ingiustizie sociali, sul precariato e su quel neoliberismo che ha messo in crisi e impoverito intere popolazioni, oltre a stravolgere totalmente quello che era lo sport popolare per eccellenza, il calcio.

Pensa a tutto ciò, e a molto altro, Emiliano Pablo Argenti, protagonista del libro Per chi fischia l’uomo nero, di Marco De Palma, che racconta un calcio romantico, quello delle categorie dilettantistiche. È proprio lì, in Seconda Categoria, che Pablo difende la porta della Stella di Belgrana, che cerca di evitare, con le unghie e con i denti, la retrocessione nell’ultima serie nazionale.

Il suo universo è quello del gioco del calcio, e in particolare la dimensione di portiere, per analizzare la società in cui viviamo e in cui lui è impiegato in un’agenzia di comunicazione digitale dove i titolari spremono al massimo i dipendenti ed esasperano all’ennesima potenza la competizione tra lavoratori solo per assegnare pochi spiccioli in più e creare una guerra tra poveri. Pablo non ci casca, come non abboccherà nemmeno ad un altro squaletto di turno, il presidente della società in cui gioca, che promette un premio in denaro, esclusivamente ai titolari, se batteranno gli acerrimi nemici della Marealpina, squadra rivale per eccellenza.

I compagni di squadra di Pablo, a loro volta, rappresentano lo specchio attuale della società. C’è Fabrizio “Dago” Zangrandi, ala destra, di professione panettiere, che si alza all’una e trenta di notte ogni giorno per consegnare il pane, ma quando si trova di fronte ad una consegna per un nuovo cliente, in una zona che non conosce, va in tilt, fiaccato da un lavoro senza sosta a cui lo costringe il proprietario del forno.

E poi c’è Ismael, che predica l’Ubuntu, la filosofia di provenienza africana che si fonda sul concetto di qualità e dignità umana e sul rispetto degli altri, all’insegna di uno striscione della polisportiva San Precario di Padova “Ovunque tu sia nato. Ovunque tu sia cresciuto. Tu puoi giocare ovunque”, ma che deve fare i conti con le parole sprezzanti di un altro suo compagno di squadra, Gattuccio, che liquida il tutto come “africanate”.

Pablo è un filosofo, come del resto lo era il campione brasiliano Socrates che predicava la Democrazia Corinthiana e l’autogestione del Corinthias all’insegna di un’uguaglianza sociale al giorno d’oggi sempre più messa all’angolo dagli innumerevoli muri esistenti nella nostra società. Il portiere della Stella di Belgrana è preoccupato quando la sua squadra giocherà in trasferta in un campo oltre il quale c’è un muro. Pablo si è sempre chiesto cosa si nasconda lì dietro, come se il muro rappresentasse per lui un senso di oppressione, di chiusura e tutto ciò lo porta a riflettere sulle frontiere, a partire da quella messicana, raccontata nei romanzi di Roberto Bolaño.

Il racconto scorre veloce, preceduto, per ogni paragrafo, da un titoletto che, per ciascuno dei 90 minuti di una partita di calcio, riporta una frase o un pensiero, spesso di calciatori o allenatori antisistema, da Socrates a Zdenek Zeman, ma anche di poeti e cantori del gioco del calcio (Osvaldo Soriano, Eduardo Galeano e Darwin Pastorin).

Sullo sfondo aleggia la storica sfida del Mondiale 1982 tra Italia e Brasile, che terminò con l’eliminazione dei verdeoro per la disperazione dell’allora piccolo Pablo e di suo padre. Fu in quell’istante che quel bambino decise che avrebbe ricoperto il ruolo del portiere.

Autore di vere e proprie ballate come Amazzonia blues o Fratelli adesso, che se fossero reali andrebbero messe in musica e ascoltate durante la lettura del libro, Pablo arriva a giocarsi la permanenza in Seconda Categoria tramite i playout in un pomeriggio di metà giugno in cui la Stella di Belgrana perde amaramente per 1 a 0. Per la squadra si spalancano le porte della Terza Categoria, ma, alla fine, pensa Pablo: «Siamo retrocessi, non siamo mica morti».

A fine campionato, Pablo sa tutto della crisi, di chi perde il lavoro, dell’austerità, di chi sale sui tetti delle fabbriche e delle famiglie che non arrivano a fine mese. Il mondo della Seconda Categoria è ben lontano dal «baraccone dorato, drogato e scellerato del calcio professionistico del nuovo millennio», come del resto rimangono aperte le tante questioni di un’epoca dove cercano di prevalere denaro e ingiustizia sociale.

«I libri di una piccola casa editrice possono regalare grandi emozioni», è scritto nella quarta di copertina e la storia di Marco De Palma ha proprio il merito di far emozionare il lettore, oltre a condividere con i lettori il disagio per un calcio che non c’è più, ridotto a business e senza quella poesia tanto cara al portiere protagonista del racconto.

Per chi fischia l’uomo nero

di Marco De Palma

Edizioni Progetto Cultura, 2023

Pagg. 295

16

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

4 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    Ringraziando David Lifodi per la bella recensione, voglio aggiungere qualche considerazione , perchè proprio in questi giorni ho terminato la lettura del libro, che tutto sommato con qualche paragrafo al giorno mi è risultata assai scorrevole. Ho conosciuto Marco quando , potenza della bottega,mi chiese una copia del libro di Mario Agostinelli e Debora Rizzuto ” Il mondo dei quanti “. In seguito ho letto e recensito i suoi primi romanzi, scoprendo che sostanzialmente siamo molto vicini di casa, in quanto tra Tradate ( provincia di Varese ) e Lomazzo ( provincia di Como ) ci sono neanche una ventina di kilometri.Tanto che quest’estate, quando ci siamo incontrati per una camminata nel Parco Pineta di Tradate ( che lambisce anche per gli appassionati tifosi interisti Appiano Gentile ) , Marco mi aveva preannunciato l’imminente uscita di un suo nuovo libro, che, se mi è concesso, è un po’ il coronamento della sua maturità letteraria. Essendo un amante in generale degli sport, mai avrei immaginato una acerrima critica del dominio capitalistico , dissacrando al contempo l’industria mefitica del calcio.Bella l’idea di affidare a Pablo un ruolo di primo piano in tutti i sensi, così come sono veramente da incorniciare tutte le citazioni poste in premessa ad ogni paragrafo.Non solo Marco se ne intende di calcio – mitica davvero la ripresa alla moviola della memorabile sfida Italia-Brasile del 1982 -, ma per collezionare tutte quelle citazioni, bisogna aver letto l’ira di dio.Quindi, nel complimentarmi con Marco per l’ottimo lavoro svolto, peccato che manchi tra tanti campioni citati, il miglior giocatore italiano dal 1945, ovvero il grande e insuperabile – per il suo incontenibile e vincente dinamismo – Marco Tardelli !

    • Io ringrazio te Gian Marco, per aver parlato del libro a Daniele Barbieri e avermi messo in contatto con Marco!

  • Da parte mia, molto lieto che il romanzo sia stato capito e apprezzato in bottega, ringrazio di cuore tutti quanti!

    ps. non ho dimenticato il mio omonimo Tardelli (e il suo urlo indelebile in finale!), sebbene io da piccolo come Pablo tifassi Brasile… Lo cito infatti di sfuggita due o tre volte ai capitoli 10 e 68 del libro e sono in ogni caso d’accordo con Gian Marco che Marco Tardelli sia stato un grande campione e credo (ma non lo conosco personalmente) anche un signore fuori dal campo…

  • Gian Marco Martignoni

    Ricordo, solo per la cronaca, che il Brasile del 1982 è stata una delle squadre più straordinarie di sempre, e Marco Tardelli l’unico dei giocatori europei considerato meritevole di far parte di quell’immenso collettivo. Inoltre, poichè al quotidiano Il manifesto accompagno spesso la lettura de La Stampa, trovo i commenti calcistici di Marco Tardelli di notevole levatura.

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