Per una fetta di mela secca

Recensione al romanzo di Begoña Feijoo Fariña che racconta la storia dei bambini affidati d’ufficio e contro la loro volontà ad istituti o contadini in Svizzera fra gli anni Quaranta e Ottanta del XX secolo.

di David Lifodi

A  seguire una nota della “bottega”

Venticinquemila franchi per pulirsi la coscienza e mettere a tacere gli anni di prigionia, sofferenze, lavori forzati e umiliazioni. Venticinquemila franchi per risarcire le vittime delle sterilizzazioni forzate, compiute a loro insaputa, come se bastasse una somma pecuniaria per rendere giustizia a quelli che erano figli di famiglie indigenti, o comunque definiti ribelli, affidati, d’ufficio e contro la volontà dei diretti interessati, a istituti o famiglie di contadini.

Questa pratica non risale all’epoca medievale, ma al periodo a cavallo tra gli anni Quaranta e Ottanta del XX secolo nella vicina Svizzera. Lo Stato ha chiesto scusa, certo, ma venticinquemila franchi servono per «pulire, rinfrescare e dimenticare» e così Lidia Scettrini decide di non vendere le proprie sofferenze e il suo vissuto personale per soldi. Lidia è la protagonista del romanzo di Begoña Feijoo Fariña, Per una fetta di mela secca. Il nome è di fantasia, ma il racconto è basato su testimonianze dirette.

Lidia ruba al compagno di classe Piero la merenda, una fetta di mela secca. Contemporaneamente, la famiglia della bambina si sgretola poiché il padre decide di abbandonare la moglie. Lidia finisce per essere internata in un istituto molto simile ad un carcere. Le suore non ci fanno una bella figura. Madre Sofia e le altre consorelle picchiano duro per ogni minimo atto di ribellione delle loro piccole ospiti-recluse e svolgono un ruolo di intermediazione con le famiglie presso le quali le ragazze, una volta più grandicelle, andranno a servizio, ma in realtà sono loro per prime a sapere che passeranno semplicemente da una forma di schiavitù ad un’altra, come del resto accade a Lidia.

Grazie ad una forte pressione psicologica esercitata su di loro Lidia e le sue compagne credono di essere ladre, buone a nulla e rifiutate dalla società e si porteranno dietro questo senso di colpa per anni, anche quando, ormai adulte, capiranno di essere state vittime di un vero e proprio lavaggio del cervello. In più di una circostanza Lidia si chiede quale sarebbe stata la sua vita, se solo non avesse rubato una fetta di mela secca al suo compagno di classe. Ad un certo punto la ragazza si domanda: «Posso interessarmi di quel che pensa qualcuno disposto a far strappare una figlia alla madre pur di non vederne la povertà, pur di non accettare che se la legge ha creato la dissoluzione delle regole di Dio non è colpa di una donna che viene abbandonata dal marito? Faranno loro i conti con la propria coscienza o con Dio quando sarà il momento, così come io faccio i conti con il passato tutti i giorni. Con Dio no, sarà lui a farli con me quando verrà il momento e dovrà abbassare gli occhi in mia presenza se davvero quel passato è stato una sua punizione».

Le scuse della Consigliera federale Simonetta Sommaruga che, a nome del governo svizzero, chiede perdono a tutti coloro che hanno sperimentato sulla propria pelle le misure coercitive a scopo assistenziale, non sono sufficienti. Come se non fosse bastata la condizione di schiavitù sperimentata suo malgrado in istituto (compresa la reclusione notturna, per punizione, nella stalla insieme agli animali) e bandita la solidarietà tra le bambine-recluse, per Lidia la situazione peggiora ulteriormente quando giungerà in una famiglia dove ha il compito di assistere l’anziana moglie di un contadino che la maltratta e la sfrutta quotidianamente.

Quando Lidia giunge in questa famiglia è già stata sterilizzata, anche se ancora non lo sa. L’operazione era avvenuta in istituto, ma spacciata per un caso di appendicite per il quale si rendeva necessario l’intervento chirurgico. Lo stesso era avvenuto per le sue compagne.

Quando l’anziana moglie del contadino muore e Lidia è finalmente libera, cerca di ricostruirsi una vita, ma non ci riesce. Le ferite sono troppo forti. La conoscenza con un uomo che diventerà suo marito a seguito di un percorso molto complesso per la diffidenza di Lidia anche solo nel sentirsi sfiorare da lui, la renderà si felice, ma sarà una gioia passeggera poiché un dottore le comunicherà la dura realtà: la donna non può avere figli perché è stata sterilizzata.

È per questo motivo che Lidia getterà il modulo di risarcimento nel camino: venticinquemila franchi non cancelleranno mai le sue sofferenze.

Per una fetta di mela secca

di Begoña Feijoo Fariña

Gabriele Capelli Editore, 2020

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UNA NOTA DELLA “BOTTEGA”

Sul razzismo storico della Svizzera che ha ispirato il romanzo di Begoña Feijoo Fariña vale leggere anche «labambina» (scritto così, tutto attaccato: c’è una ragione), uno straordinario libro di Mariella Mehr, pubblicato nel 2006 da Effigie – è stato recensito in “bottega” qui: “labambina”… senza nome di Mariella Mehre riedito nel 2019 da Fandango.

La vicenda (autobiografica) narrata dalla Mehr si è svolta in questo contesto. Nel 1926 una società filantropica ottenne di occuparsi degli Jenische (o yenish secondo un’altra grafia) una popolazione che come origini non c’entra con rom o sinti ma che adottò il loro stile di vita nomade e dunque venne considerata come una delle tribù “rom”. Fu così che in Svizzera «i figli della strada» vennero tolti ai genitori, rinchiusi negli istituti o affidati a famiglie contadine. I cognomi vennero cambiati, si disse loro che i genitori erano morti, molte ragazze furono anche sterilizzate.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • A tutto il mio buon riguardo per la sua ricerca della verità !!!!
    Grazie e buon lavoro Daniele Barbieri saluti

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