Perù: Cajamarca resiste

di David Lifodi

Le ultime notizie provenienti da Cajamarca, regione peruviana nel nord del paese andino, dicono che la popolazione in sciopero è stata attaccata violentemente dalla polizia. Si parla di numerosi feriti e manifestanti detenuti: questa è la “democrazia” imposta dall’Empresa Minera Yanacocha, la più grande dell’America Latina, ma anche dal presidente Ollanta Humala, che ben presto ha tradito le aspettative degli elettori per aprire le porte del suo paese al capitale transnazionale.

Il progetto minerario Minas Conga, fortemente voluto dalla multinazionale statunitense Newmont con l’appoggio della peruviana Buenaventura e la stessa Empresa Minera Yanacocha, è da tempo  osteggiato dalla popolazione, poiché causerà l’intossicazione da mercurio e cianuro e provocherà l’avvelenamento dei fiumi. Il progetto minerario, denominato Minas Conga, conta però sull’appoggio della Banca Mondiale, che lo ritiene fondamentale per i ricavi che deriveranno dall’estrazione di oro e rame. Dando un occhio alla home page dell’impresa mineraria Yanacocha si legge che la multinazionale opera nel rispetto dell’ambiente: Minas Conga sembra addirittura un esempio di estrazione mineraria sostenibile. In realtà, gli abitanti della regione di Cajamarca parlano di mafia minera e di squadre armate assoldate dalle multinazionali sopracitate operanti insieme all’esercito al fine di reprimere una mobilitazione contro la miniera che va avanti da mesi. Nel Perù delle decine e decine di conflitti ambientali in corso, quello di Cajamarca potrebbe avere un epilogo drammatico. Da una parte la popolazione civile, costretta a subire la repressione dell’esercito su ordine del Presidente del Consiglio Oscár Váldez, uno che di azioni di questo tipo se intende, poiché già in passato ha stroncato rivolte analoghe, dall’altra Ollanta Humala, il cui destino potrebbe essere segnato nel caso in cui gli eventi precipitino. In un velenoso articolo scritto per alainet.org ed intitolato “La gran transformación”, Oscar Ugarteche, economista peruviano e coordinatore dell’Observatorio Económico de América Latina (Obela), riferendosi a Ollanta Humala, ha significativamente scritto: “Ayer con la gente, hoy contra la gente”. La parabola di Humala, infatti, è stata segnata da una campagna elettorale in cui si era schierato contro le multinazionali minerarie, per poi cambiare idea non appena conquistato il palazzo presidenziale di Lima. Del resto la lotta di Cajamarca ha raccolto solidarietà a livello internazionale e gettato un’onda di discredito sul presidente peruviano. Il Pacto de Unidad sottoscritto poco tempo fa dalle organizzazioni indigene e contadine a difesa delle risorse idriche di Cajamarca, contro la persecuzione dei leader comunitari e la criminalizzazione della protesta sociale, ha raccolto pronunciamentos un po’ in tutto il mondo. Dall’Ecuador la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) ha definito l’esecutivo peruviano per quello che è, cioè responsabile di aver promosso un modello di sviluppo estrattivista e capitalista in totale spregio dei diritti umani e di quella democrazia che pure Ollanta Humala sbandiera ai quattro venti. Gli stessi concetti sono stati espressi dall’Observatorio Latinoamericano de Conflictos Ambientales (Olca) e dalla Coordinadora Latinoamericana de Defensa de los Recursos Naturales, ma anche da peruviani e attivisti ambientalisti residenti in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia e Svizzera. La vera natura dell’esecutivo Humala, appoggiata da buona parte dei media che parlano di scontri tra polizia e manifestanti a Cajamarca senza dire che si tratta di un’aggressione di stato alla popolazione civile, ha però contribuito a far sviluppare germi di una democrazia sociale vivace e resistente. Le strade di Cajamarca, ma anche tutte quelle degli innumerevoli conflitti ambientali in corso in tutto il Perù, sono animate principalmente da giovani e da una società civile autoconvocata sul punto di esplodere e di urlare a tutta la classe politica l’ormai storico que se vayan todos che nei giorni di fine Dicembre 2001 risuonava nelle piazze dell’Argentina inghiottita dalla crisi finanziaria. Alla guida del Perù si sono alternati Alberto “el Chino” Fujimori (l’uomo che riuscì a sedurre il paese sconfiggendo il senderismo e consegnò il paese alle multinazionali), Toledo (l’indio che aveva studiato negli Stati Uniti, seguì i dettami della Banca Mondiale e terminò il suo mandato con il poco entusiasmante 7% dei consensi), Alan García (che aveva impostato la sua seconda presidenza sull’esempio della prima senza averne tratto nessuna lezione) e adesso Ollanta Humala: tutti e quattro hanno rappresentato la stessa faccia di una medaglia volutamente escludente nei confronti di un paese ormai giunto allo stremo delle forze.

Al Proyecto Minas Conga, che il governo ha riconfermato in segno di sfida alla popolazione, alle attività di estrazione petrolifera nell’Amazzonia peruviana, allo stadio d’assedio imposto alle regioni e alle province ribelli dove i conflitti ambientali crescono e si moltiplicano, Ollanta Humala ha cercato di imporsi con la forza: fino a quando potrà durare?

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