Perù: stato d’assedio a difesa di Tía María

Humala difende il progetto minerario e le multinazionali ringraziano

di David Lifodi

Il progetto minerario Tía María (distretto di Cocachacra, provincia di Islay, regione di Arequipa) rappresenta la causa di uno dei maggiori conflitti sociali sorti in Perù negli ultimi anni e, al tempo stesso, è un paradigma della devastazione neoliberista applicata al paese andino nel segno delle politiche estrattiviste perseguite dagli ultimi quattro presidenti succedutisi a Lima: Fujimori, Toledo, García e Ollanta Humala.

Non appena eletto alla guida del Perù, proprio Humala ha subito tradito i movimenti indigeni e contadini che gli avevano permesso di aggiudicarsi la contesa elettorale, trasformandosi nel principale sostenitore di un modello economico che predilige l’estrazione e l’esportazione dei minerali senza alcuna attenzione alle conseguenze sull’ambiente e sugli esseri umani, oltre a creare pochissimi posti di lavoro, al contrario di quanto vogliono far credere governo e multinazionali minerarie. L’impresa Southern Perù Copper Corporation ha la responsabilità di aver fortemente pregiudicato lo sviluppo agricolo nella valle del Río Tambo in un contesto in cui intere province del paese sono state vendute alle imprese private. Da sempre il Perù è stato un paese minerario, ma l’attuale sfruttamento intensivo delle risorse del paese ha causato una sollevazione tale che ha spinto Humala a dichiarare lo stato d’assedio e a reprimere con brutalità e violenza la protesta. La valutazione d’impatto ambientale del progetto Tía María presentata dalla Southern è stata approvata dal governo, ma si è trattato di una farsa che mostra la svolta autoritaria e antidemocratica della presidenza Humala. Come avvenuto per il progetto minerario Conga, da cui il governo sembra non aver imparato niente, anche la contestazione a Tía María è stata contrassegnata da una crescente militarizzazione dell’intera regione di Arequipa con la mobilitazione di migliaia di uomini dell’esercito e della marina, i cui corpi scelti sono noti per i loro metodi spicci e violenti: a loro il presidente Humala ha ordinato di reprimere a qualsiasi costo la protesta pur di garantire gli investimenti promessi alla multinazionale Usa Southern Perù Copper Corporations. Centinaia di feriti e alcuni morti sono il saldo della repressione contro un movimento in gran parte spontaneo di cui fanno parte agricoltori, commercianti, operai, studenti, casalinghe e intellettuali. Di fronte agli ipocriti appelli alla pace dello stesso Humala, che prima invia l’esercito e poi auspica la pacificazione, e della Chiesa peruviana allineata al governo, la ribellione è cresciuta, nonostante il pretesto utilizzato dal presidente, l’uccisione del sottoufficiale di polizia Alberto Vásquez Durán a colpi di pietra ad opera dei manifestanti, per dichiarare lo stato d’assedio e garantire che il progetto Tía María andrà avanti a qualsiasi costo. Del resto, dopo un investimento di 1,4 milioni di dollari nel progetto, Humala non può tirarsi indietro, ma il sostegno nei suoi confronti diminuisce costantemente. Al presidente non interessano né i civili uccisi dalla polizia né il poliziotto rimasto ucciso, ma solo i profitti della transnazionale statunitense. Lo ha capito anche il figlio dell’agente ucciso, che ha incolpato i burocrati del governo per la morte del padre e ha auspicato che la popolazione si sollevi contro Ollanta Humala. Fondata nel 1952, la Southern Perù Copper Corporation è una delle maggiore imprese al mondo specializzate nella produzione di rame e zinco e fin dalla sua fondazione è stata accusata di aver inquinato fiumi, valli e buona parte della popolazione del paese andino. Condannata nel 1992 per ecocidio dal Tribunale internazionale dell’acqua, la Southern ha sempre respinto le osservazioni Onu sugli effetti nocivi per la salute della popolazione derivanti dal progetto Tía María, anzi, l’arroganza dell’impresa è cresciuta con l’arrivo di Humala al potere, il 28 luglio 2011, segno, questo, che godeva di ampia protezione da parte dei vertici dello stato peruviano. Già durante la campagna presidenziale del 2011, Humala garantì all’ambasciatore Usa a Lima che avrebbe condotto a termine il progetto Tía María in caso di elezione e dimostrò il suo sostegno alla Southern pochi mesi dopo, quando la multinazionale presentò un nuovo piano d’impatto ambientale sostanzialmente molti simile a quello precedente, ma che fu approvato nonostante l’opposizione e il rifiuto delle comunità locali. In Perù i diritti civili e politici sono inesistenti e Ollanta Humala ebbe buon gioco nel voltafaccia alle richieste dei movimenti sociali che chiedevano lo stop immediato anche del progetto Conga. Inoltre, la Southern ha goduto dell’appoggio della Sociedad Nacional de la Minería, che sui media ha sempre perorato la causa dell’impresa statunitense, propagandando il progetto Tía María come un’opportunità di sviluppo per il paese. L’inquinamento dell’aria e dell’acqua sono stati cancellati in nome del progresso, così come l’impoverimento delle falde acquifere e l’emissione di cianuro derivante dall’estrazione a cielo aperto. Tutto questo in nome di un non meglio precisato “progresso” che però ha finito con il devastare il suolo e cambiare la morfologia di un terreno dove la vegetazione, un tempo rigogliosa, è praticamente scomparsa. Non contenta, la Southern Perù Copper Corporation ha cominciato a screditare gli oppositori al progetto Tía María, con il sostegno del governo, parlando di terrorismo antiminero e descrivendo i movimenti sociali come una minoranza di violenti che impedisce allo Stato di investire in progetti di sviluppo come quello di Tía María, che servirebbe a rilanciare l’economia del paese. Addirittura, nel programma televisivo intitolato Buenos Días Perù, gli insulti della lobby mineraria contro gli oppositori sono stati così pesanti che i conduttori sono stati costretti a scusarsi per  il linguaggio violento e aggressivo utilizzato dai membri della Southern. Al contrario, coloro che hanno partecipato ai negoziati farsa con il governo sono tutt’altro che terroristi, ma autorità democraticamente elette dai cittadini, soprattutto sindaci delle città coinvolte dal progetto Tía María.

Nella valle del Tambo la popolazione si guadagnava ogni giorno da vivere coltivando la terra e allevando il bestiame: il progetto Tía María, a pochi chilometri dalle coltivazioni, contaminerà suolo e acqua. Eppure, nonostante la dichiarazione di uno stato d’assedio illegale ed una repressione spropositata, nessuno si indigna per la violazione dei più elementari diritti democratici: questa è la democratura peruviana.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *