Pfas-Veneto: la tragedia nascosta

“Operai con il seno, ma si vergognavano. L’acqua? Dopo 10 anni i primi problemi”

di Giuseppe Pietrobelli (*)

Verona, il racconto della dottoressa Dalla Benetta. Da dieci anni tiene un diario di ciò che accade ai suoi pazienti. Ma solo dal 2013 ha iniziato a collegare gli eventi. “Colesterolo, obesità, disfunzioni alla tiroide, tumori ai testicoli, tumori ai reni, ipertensioni gravidiche, Alzheimer”, sono gli effetti che ha riscontrato a Zimella, provincia di Verona, in piena zona rossa

Io non sono un guru, sono soltanto un medico di famiglia che opera nella provincia veneta. Ma certi fenomeni, nel contatto quotidiano con la gente e con i pazienti, non si possono non notare. E io li sto annotando in un quadernetto da più di dieci anni. E’ un metodo che ho imparato quando lavoravo in Etiopia con il Cuamm, dove, non essendoci supporti elettronici, ci avevano insegnato a tenere i registri cartacei. Qui, a Zimella, c’erano tante cose che non capivo, andamenti anomali di malattie, numero esagerato di aborti spontanei tardivi, ipertensioni gravidiche, tumori alla tiroide, decadimento cognitivo precoce”.

Elisa Dalla Benetta fa il medico di base in una delle tre frazioni di Zimella, Ulss 9 Scaligera, un paese di cinquemila anime in provincia di Verona. Siamo nel mezzo dell’Area Rossa A degli Pfas, che comprende i comuni serviti dagli acquedotti inquinati dalle sostanze perfluoroalchiliche, a valle di Trissino, nel Vicentino. La falda nel sottosuolo ha diffuso in un’area molto vasta il veleno presumibilmente prodotto dall’azienda Miteni. E’ un disastro ambientale che interessa potenzialmente almeno 300mila persone, per 90mila delle quali la Regione Veneto sta cercando di correre ai ripari con un piano sanitario.

Il racconto della dottoressa Dalla Benetta raccolto da ilfattoquotidiano.it è eccezionale, non per il suo valore di studio epidemiologico – che non è – ma proprio perché questo medico sentinella si è accorto delle anomalie, delle persone che si ammalavano e morivano, ben prima che l’inquinamento diventasse conclamato e oggi ne dà testimonianza. “Fino al 2013 io non sapevo nemmeno cosa fossero gli Pfas. Adesso che lo so, ho cominciato a capire”. E pochi giorni fa il professore Carlo Foresta dell’Università di Padova ha annunciato di aver dimostrato tutta la pericolosità degli Pfas per l’equilibrio ormonale, visto che l’organismo li scambia per testosterone, abbattendone l’effetto del 40 per cento.

Cosa ha capito dottoressa?

Ad esempio che dopo dieci anni di consumo di acqua del rubinetto contaminata, cominciano a manifestarsi gravi problemi. Io stessa li ho sperimentati, purtroppo, sulla mia salute e sulla mia tiroide. Una signora trasferitasi in zona da Vicenza dieci anni fa, ha sviluppato un tumore alla tiroide. Lo stesso è accaduto a una mia paziente che arrivava da un paese extraeuropeo. Le mie erano piccole osservazioni di un medico, ma in linea però con la letteratura internazionale”.

Lo studio dell’équipe del professore Foresta dell’Università di Padova dimostra che gli Pfas interagiscono con gli ormoni, abbattono la produzione del testosterone, producono infertilità e causano tumori.

Il professor Foresta, con cui sono in contatto da un anno, ha dimostrato scientificamente quello che noi medici di base notiamo ogni giorno. Ad esempio, se qualcuno va nel cimitero di Zimella trova le tombe di sette bimbi morti prematuri negli ultimi anni, quando dal 1960 al 2000 i casi analoghi erano stati solo 2. Sono tutti maschietti. Ma lo sa che vengono nel mio ambulatorio adolescenti che sono sessualmente confusi e pensano di essere gay? E’ l’effetto dei bassi livelli di produzione di testosterone sulla loro crescita in pubertà”.

Ma se è così, allora qualche effetto si dovrebbe riscontrare anche negli adulti, con fenomeni di femminizzazione.

In ambulatorio io ho ricevuto ex pazienti della Miteni, persone con 15mila nanogrammi per litro, che stavano alla catena di produzione. Ho chiesto: quanti di voi si sono sposati e hanno fatto figli? ‘Pochi, molti non si sono nemmeno sposati’. A uno di loro ho chiesto se, quando erano in spogliatoio, non avesse notato colleghi con le mammelle… ‘E lei come fa a saperlo, dottoressa?’ mi ha risposto sbalordito. Gli ho spiegato che quello è un effetto delle alterazioni ormonali. ‘E’ vero, avevamo tutti le tette e ci vergognavamo’. Si tratta di un fenomeno comunque regressivo se si applicano dosaggi ormonali”.

L’opinione pubblica non sa, nessuno denuncia questi fatti.

E’ per questo che non si può tacere. Per questo con le ‘mamme No-Pfas’ sono andata a Strasburgo a illustrare la situazione agli eurodeputati. Ma non è del tutto vero che i fatti non si conoscano. A Valdagno, ad esempio, lavora il dottor Vincenzo Cordiano, un oncoematologo, presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente – Isde, il primo che ha parlato dei rischi da Pfas, sostenendo che le sostanze interferiscono con la catena alimentare”.

Quest’ultimo è un argomento molto sottovalutato.

Dovremmo domandarci quali siano gli effetti sulla produzione agricola e sull’allevamento, in una terra contaminata dagli Pfas. Le associazioni dei coltivatori diretti sono insorte perché il dottor Cordiano aveva sostenuto la necessità di interrompere la principale via di esposizione, quella alimentare. Possibile che queste cose le debbano dire i medici di famiglia?”.

E la sanità pubblica?

Nel 2016 è stato effettuato un monitoraggio degli alimenti nella Zona Rossa, a cura della Regione Veneto. Sono stati effettuati prelievi di radicchio, patate, frutta e verdura in genere. Ma l’Istituto Superiore di Sanità non ha ancora pubblicato i dati. Perché questo ritardo? Servirebbe dare un’informazione georeferenziata, per sapere dove e da chi vengono prodotti gli alimenti inquinati. Quando il bubbone scoppierà, ci saranno forti ripercussioni economiche”.

Dovesse fare un elenco delle patologie da lei riscontrate?

Livelli alti di colesterolo, obesità, disfunzioni alla tiroide, tumori ai testicoli, tumori ai reni, ipertensioni gravidiche, Alzheimer.

Una proposta per la Regione Veneto?

L’abbiamo ripetuta in tutti i modi negli ultimi anni, ma non ci vogliono ascoltare. Dal 2010 i medici di famiglia sono telematici. Nella Zona Rossa ci sono 84 medici di base che ogni giorno esaminano la popolazione e producono un patrimonio enorme di dati, che restano lì, inutilizzati. Costituiscono uno zoccolo duro di informazione, basterebbe poco per portarli alla luce, ossia il lavoro di un informatico che consenta di estrarli e metterli a disposizione per capire di che cosa si ammalano le persone in queste aree. Novantamila pazienti seguiti per dieci anni dai medici di famiglia, costituiscono un tesoro unico di dati. Ma la Regione Veneto ha invece fatto il suo piano di sorveglianza come se i medici di famiglia non esistessero”.

Cosa dimostra questa storia?

Che la salute va al contrario. Ci dicono di bere l’acqua del rubinetto, mentre dobbiamo bere acqua di bottiglia. Che i bambini vanno allattati al seno, ma è provato che la trasmissione degli Pfas avviene già con il latte materno. E che il cibo migliore è quello a ‘chilometro Zero’. Per sopravvivere, invece, dobbiamo, fare il contrario”.

(*) ripreso da www.ilfattoquotidiano.it dove un commento segnala la responsabilità di “tutti gli schieramenti”

ALTRI MATERIALI UTILI: PER CONTESTUALIZZARE QUESTA TRAGEDIA PREVEDIBILE, PREVISTA E CENSURATA… CHE E’ PURTROPPO UNA DELLE TANTE NELLA “PADANIA FELIX”

farfallaavvelenata.it

video sulla valle della gomma (neoschiavitù in “padania”)

https://www.youtube.com/watch?v=BnoswosixWU

mafia padana

https://www.labottegadelbarbieri.org/padania-un-po-terra-dei-fuochi-e-un-po-alabama-1800/

Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo http://effimera.org/resistenze-ai-disastri-sanitari-ambientali-ed-economici-nel-mediterraneo-salvatore-palidda/

 

Redazione
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3 commenti

  • l’elemento più importante di questa vicenda è l’esempio ultra encomiabile della dottoressa cioè di un medico di base che tiene un diario e quindi diventa anello fondamentale per l’analisi epidemiologica … i dati sulle malattie e sulla mortalità forniti annualmente dal ministero sono sempre discutibili, parziali, manipolati; solo con l’apporto dei medici di base si può costruire un quadro epidemiologico credibile o quantomeno vicino alla realtà effettiva (che resta sempre non misurabile).
    Sull’apporto dei medici di base si veda quanto sia stato indispensabile allo studio degli effetti del disastro di Seveso anche se 30 anni dopo
    vedi libro
    di Laura Centemeri,
    Ritorno a Seveso. Il danno ambientale, il suo riconoscimento, la sua riparazione; Editore: Mondadori Bruno
    e
    Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo, Derive&Approdi

  • Daniele Barbieri

    Lunedl 26 novembre cittadini e lavoratori MITENI si incontrano per affrontare l’emergenza della fabbrica dopo la dichiarazione di fallimento. Vedi qui https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=7357

  • Gianni Sartori

    SI SCRIVE MITENI, SI LEGGE RIMAR

    di Gianni Sartori

    Avvertenza: questo non è, assolutamente, un articolo di informazione sull’inquinamento da PFASS che sta impregnando le acque e i corpi del Veneto. Soltanto un necrologio, un amaro amarcord condito di qualche considerazione su come funziona il capitalismo, quello del nord-est in particolare. Per gli aspetti tecnici potete attingere alle puntuali denunce pubblicate da qualche anno a questa parte su Quaderni Vicentini. In tempi non sospetti, quando invece un noto quotidiano locale ignorava o minimizzava la grave situazione che si andava delineando.

    Non è nemmeno un invito a intervenire per rimediare. Da tempo ho la convinzione che cercare di fermare il degrado ambientale sia quasi impossibile. Nel Veneto senza “quasi”. Qui la catastrofe è ormai completa, per quanto subdola e inavvertita. Il territorio veneto e ancor più quello vicentino (un’autentica “poltiglia urbana diffusa” da manuale) hanno raggiunto livelli di contaminazione e cementificazione tali che soltanto un’apocalisse di ampia portata potrebbe, forse, porvi rimedio. Ripristinando in parte quell’ordine naturale che oggi come oggi appare irrimediabilmente stravolto.

    Prendiamo atto comunque che se pur molto tardivamente, la questione PFASS ha assunto rilevanza non solo locale ma anche regionale (vedi la richiesta di analizzare l’acqua “potabile” nelle scuole in provincia di Rovigo). Ma per quanto riguarda la “sfilata degli ipocriti” (i sindaci vicentini che hanno manifestato a Lonigo contro l’inquinamento da PFASS) direi che si commenta da sola. Dov’erano le istituzioni in tutti questi decenni (almeno 4, dagli anni settanta) mentre la RIMAR prima e la MITENI (cambia il nome, ma l’azienda fisicamente è sempre la stessa) poi versavano schifezze direttamente nelle nostre acque e indirettamente nel nostro sangue?

    Solo una facile “profezia”. E’ probabile che tra una decina d’anni altri sindaci sfileranno nel Basso Vicentino (magari, azzardo, in quel di Albettone, uno dei tratti più riempiti da scarti di fonderia e altre schifezze) per esprimere una tardiva e altrettanto ipocrita indignazione per l’inquinamento prodotto dai rifiuti tossici (metalli pesanti) ammucchiati a tonnellate sotto la A31.

    Non dovendo preoccuparmi di fornire numeri e dati sull’inquinamento prodotto dalla exRimar, ora Miteni (ampiamente disponibili in rete), attingo a qualche ricordo personale*riesumando speranze e delusioni di quando, ormai 40 anni fa, forse si sarebbe ancora potuto arginare la marea tossica non più strisciante, ma ora dilagante.

    Un accenno soltanto alla richiesta (per quanto simbolica e fuori tempo massimo, a mio avviso) avanzata da qualche oppositore di “parametri certi sulla soglia di inquinanti presenti nelle acque con cui si abbeverano gli animali e si irrigano i campi, così come è doveroso da parte del Governo dare una risposta immediata per fare fronte alla crisi che per ovvie ragioni rischia di precipitare su chi lavora di agricoltura, soprattutto considerando il fatto che l’inquinamento da Pfass ha contaminato anche la catena alimentare, come risulta da una serie di prime analisi effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità in alcune zone del Veneto. Sia sul siero umano che su alcuni alimenti come uova e pesci emerge infatti la presenza di contaminazione, come abbiamo sottolineato in una risoluzione indirizzata al Governo a dicembre.”

    Una presa di posizione modesta, scontata, ma sempre meglio che niente.

    D’altra parte: l’avete voluto il capitalismo? E allora godetevelo, cazzo!

    AMARCORD

    Metà anni settanta. Qualche anno prima avevo (coerentemente o sconsideratamente…non l’ho ancora capito) rinunciato al posto statale da insegnante elementare, pur avendo vinto il concorso. La scelta (comunque sofferta per un giovane proletario figlio di proletari, con scarse alternative) veniva dopo aver scoperto che l’assunzione comportava un giuramento (allo Stato delle stragi? Mai!). Ero quindi tornato allo scaricamento e stivaggio di camion alla Domenichelli, in notturna, alternando con saltuari lavori da operaio (tra le altre, la Veneta-Piombo di Alte-Ceccato: tutta salute!).

    Finendo poi inchiodato per qualche anno alla fresa, nel “retrobottega” di una microazienda artigiana con orari prolungati.

    Fu durante un breve periodo di transizione di circa un mese (transitavo da operaio in una microazienda a commesso in una libreria) che tornai a scaricare con una delle due o tre famigerate “cooperative” **di facchinaggio esistenti in città. Questo mi consentiva, paradossalmente, di staccare dal lavoro in orari decenti (tra le cinque e le sei di sera), mentre prima in genere finivo verso le 19,30-20. Una possibilità per frequentare Radio Vicenza, all’epoca gestita da amici e compagni di area libertaria, in particolare il compianto Rino Refosco (uno dei fondatori e principale animatore con Claudio Muraro del MAV, Movimento anarchico vicentino, quello della lotta contro le istituzioni totali, “manicomio” di san Felice in primis, in epoca pre-Basaglia, addirittura) e la moglie Rosy. Doveva essere la fine del 1976 , mi pare. Lo deduco dal fatto che quasi ogni sera qualcuno dedicava una canzone (in particolare “Ma chi ha detto che non c’è?” di Manfredi) al compagno Claudio Muraro da poco arrestato (nel 1976) e ancora detenuto a Vicenza, prima di finire nel “circuito dei camosci” delle carceri speciali (a Pianosa, mi pare).

    Dalla radio veniva denunciata con ostinazione la recente scoperta che la RIMAR (“Ricerche-Marzotto”) scaricava fetide sostanze nelle acque correnti dell’Alto Vicentino. In particolare quelle della Poscola, un nome a cui ero sentimentalmente legato. Nasceva infatti dall’omonima grotta situata a Priabona, un “aperitivo” prima del Buso della Rana.

    Denuncia dopo denuncia, non mancarono velati consigli di “lasciar perdere, non mettersi contro qualcuno troppo grande per voi…”. Arrivando a vere e proprie minacce, quasi. Di cui peraltro i compagni non tennero conto più dit Anto.

    Tutto qui, per quanto mi riguarda. Tornai quindi ai miei soliti orari e le mie frequentazioni calarono sensibilmente (o forse per scazzi personali e comunque “avevo altro da fare”).

    E pensare che in anni non sospetti avevo avuto anche modo di visitarla, la RIMAR intendo. Doveva essere verso la fine del 1967 o l’inizio del 1968, sicuramente prima del 19 aprile e della storica rivolta operaia (a cui, casualmente, mi capitò di assistere, ma ve lo racconto un’altra volta, magari per il 50°) con abbattimento della statua del feudatario locale.

    Mi capitava allora di andare qualche pomeriggio a Valdagno in autostop per frequentare la piscina comunale aperta in periodo invernale. Un tardo pomeriggio stavo giusto rientrando a Vicenza quando un macchinone si fermò in risposta al mio pollice levato. Salgo e il signore dopo un po’ si presenta. Era uno dei fratelli Marzotto, nientemeno. Evidentemente metteva in pratica i principi paternalistici su cui si fondava la dinastia.

    Il clima doveva già aver cominciato a surriscaldarsi (quello sociale, non si parlava ancora dei cambiamenti climatici) perché il borghese che gentilmente si prestava a farmi da autista commentò alcuni recenti episodi di contestazione al consumismo sostenendo (vado a memoria, sono passati 50 anni) che per la “felicità” della gente era indispensabile che tutti potessero godere di auto, frigoriferi e lavatrici. Poi, caso mai, si poteva pensare…non ricordo a cosa, sinceramente.

    Dato che non dovevo sembrare molto convinto di questo elogio della merce, mi propose una visita alla sua fabbrica d’avanguardia che sorgeva lungo il percorso. Fu così che mi affidò a un tecnico per una visita guidata della RIMAR. Poco convinto il tecnico, poco convinto anch’io che temevo di non trovare un altro passaggio prima di notte, la visita fu alquanto frettolosa e mi rimase soltanto la sensazione di un leggero bruciore alle mucose respiratorie. Per chi non è del posto, segnalo che la già denominata Rimar oggi si chiama Miteni, dopo aver cambiato due-tre volte nome, consiglio di amministrazione e in parte proprietà.

    Tutto qui. Ricordo solo che un’altra volta presi un passaggio dall’altro Marzotto, il fratello in politica nel PLI. Evidentemente ci tenevano a mostrarsi generosi con le masse popolari appiedate.

    Ma dopo il 19 aprile le cose cambiarono, evidentemente e non mi capitò più l’onore di un autista chiamato Marzotto. In compenso, nel febbraio 1969 (all’epoca dell’occupazione della fabbrica) tornai a Vicenza con la grandissima compagna, partigiana e giornalista dell’Unità, Tina Merlin (ma questa è un’altra storia).

    Gianni Sartori (2017)

    * nota 1: “Preserva i tuoi ricordi, è tutto quello che ti resta” P. Simon (cito a memoria)

    ** nota 2 : “famigerate” perché, come scoprii a mie spese, oltre a praticare una forma mascherata di caporalato, non versavano mai alcun contributo, nonostante richiedessero la consegna del libretto di lavoro. Perché? In caso di incidente potevano sempre dire di averti assunto proprio quel giorno e di non aver ancora compilato le “carte”.

    Una nota polemica anche per alcuni “compagni”. Ricordo benissimo che per gli amici di Potere Operaio la mia scelta era stata classificata da “lumpenproletariat”. Detto da loro, di estrazione medio e piccolo-borghese pareva un complimento. Questo nella prima metà degli anni settanta. Dopo, nella seconda metà dei settanta, quando erano già diventati quelli di AutOp, le cose cambiarono con la scoperta dell’”operaio sociale”. Addirittura a Scienze Politiche di Padova si organizzarono corsi e seminari sulle cooperative di facchinaggio. Ma non ne ricordo uno che fosse uno di costoro (devo far nomi?) che sia venuto una sola volta a scaricare camion. Avevo invece condiviso spesso tali attività ricreative con il già citato compagno anarchico Claudio Muraro (fratello della filosofa Luisa Muraro, quella dell’Erba Voglio e della Signora del gioco) sia alla Domenichelli che alla Olimpico-traslochi.

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