Philip Dick, ESEGESI 6

«Nell’emporio di Archer» di Giuliano Spagnul

«La bottega sembrava zeppa di ogni specie di oggetti strani… ma il più strano di tutto era che, ogni qual volta Alice guardava attentamente uno scaffale, per veder bene quello che conteneva, quello appariva d’un tratto ai suoi occhi completamente vuoto, mentre gli altri tutt’intorno erano pieni zeppi. – Ma qui gli oggetti sembra che volino via – disse ella alfine con voce lamentosa, dopo aver passato un minuto o due a inseguir vanamente una grossa cosa scintillante, che ora sembrava una bambola, ora una scatola di lavoro e si trovava sempre nello scaffale sopra quello in cui guardava. – E questo è il più irritante di tutti… ma vi dirò… – aggiunse, colpita da un’idea improvvisa – che voglio seguirlo fino al ripiano lassù in cima. Non immaginerà di potersela svignare attraverso il soffitto, spero. – Ma anche questo piano fallì; l’oggetto passò tranquillamente attraverso il soffitto, come se per lui fosse una cosa consueta»1. Nella bottega della pecora le certezze svaniscono, nel mondo di Alice come nel mondo di Ubik. Il non-senso che ne scaturisce ancor più che servire come contrappeso al senso, si insinua, come sostiene Deleuze, alla radice di ogni senso, corrodendolo e logorandolo dall’interno. Il senso si ammala ma al contempo ci costringe a focalizzare su di esso la nostra attenzione, a non darlo per ovvio; il senso si fa materia di lavoro costante. «Per fare un esempio, quando ho visto la Roma del 70 d. C. circa mi trovavo in un momento incredibilmente basso di vitalità (calore perdita morte). Ma come in Ubik (vale a dire nell’emporio di Archer) sia i periodi temporali che gli oggetti all’interno di essi esistevano simultaneamente. In effetti di nessuno dei due si potrebbe dire che è più reale dell’altro… una sorta di oscillazione (eppure in Ubik nessuno dei due era reale: entrambi erano illusori). Questo equivale a dire che si possono sbucciare a ritroso (da una parte) gli strati del 1974 e trovare il 70 d. C., e quindi la realtà con cui si ha a che fare non è una realtà (ma un’illusione)? Uno scherzo, un allestimento scenico? (…) Intuizione: come in Ubik noi (dobbiamo) mantenere il presente con una focalizzazione congiunta di sforzo e attenzione, costringendolo a essere stabile (e a non regredire)»(323) Ubik, quell’«emporio di Archer»2 dove le cose non rimangono mai le stesse; il mondo dickiano apparecchia una propria “bottega della pecora” dove lo straniamento, lo spaesamento, non assolvono a una pura funzione destabilizzante capace di evocare l’insolito, l’inquietante, il non conosciuto: evocazione di un mondo presunto dall’«altra parte»3. Il qui e l’ora sono messi radicalmente in discussione evidenziandone la loro arbitraria legittimazione. Una messa in discussione che ha però in sé la volontà e la possibilità di costruire una nuova capacità del vedere indispensabile al processo di trasformazione continua a cui la vita è legata per poter essere tale e continuare. «Quella narrazione gnostica su Cristo4 visto simultaneamente come bambino, uomo, vecchio, piccolo e calvo, basso e molto alto… mi ricorda gli avvistamenti, e i contatti ufologici con i fuochi fatui. E Zebra5 ha un po’ di quella qualità giocosa e allegra… proprio così. “Guarda sono qui… no, lì. Guarda, sono questo… no, quello”. (Per esempio dal passato, dal futuro, da un altro pianeta, da un universo alternativo eccetera.) Indovinelli e burle… ci affascinano, ci allettano e ci incantano; e attraverso questo processo la nostra paura dello sconosciuto, del fremd (estraneo) viene meno. E diventiamo anche bambini ammaliati… assolutamente affascinati da questo schema emergente di quello che vediamo. Ci viene offerta in continuazione l’opzione di allontanare quello che ci viene mostrato dal maestro/burlone»(434).

Nota 1: Lewis Carroll, «Attraverso lo specchio», Einaudi Gli Struzzi, 1980 pag 173

Nota 2: Siamo nel 1976, cinque anni prima della stesura dell’ultimo romanzo di Dick «La trasmigrazione di Timothy Archer»; cosa realmente intenda Dick per “emporio di Archer” rimane misterioso.

Nota 3: Alfred Kubin, L’altra parte, Adelphi, Milano 1965

Nota 4: Parte II^ nota 35: «Probabilmente Dick si riferisce all’Apocrifo di Giovanni, un testo gnostico sethiano in cui un Cristo dall’aspetto mutato dopo l’ascensione appare all’apostolo Giovanni. Gesù gioca un tiro simile negli Atti di Pietro, nel Vangelo armeno dell’Infanzia e in altri testi».

Nota 5: Zebra, l’animale che si mimetizza nella savana, è un altro nome di Valis.

La prossima settimana: «Esegesi 7 – Autore… chi?»

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