Philip Dick nel groviglio dei mondi

Un articolo di Adele Errico sul libro di Carlo Pagetti mentre Mondadori propone nuove edizioni (e traduzioni)

Philip K. Dick muore il 2 marzo del 1982 e il suo corpo viene deposto accanto a quello della gemella Jane, morta subito dopo la nascita. In quel momento, dopo una separazione durata cinquantaquattro anni, i due sono di nuovo accanto, le due metà si ricongiungono e Dick avrà avuto le sue risposte. A un certo punto della sua esistenza, trascorsa alla ricerca di un’anima gemella che, incestuosamente, rassomigliasse all’immagine mentale della sorella defunta (la dark-haired girl dei suoi romanzi), aveva iniziato a chiedersi se, dei due, non fosse lui il morto e lei la metà viva, se non fosse lei che, nel mondo dei vivi, pensava a lui. O se lui altro non fosse che l’attore dei pensieri di una morta, se la sua vita non fosse solo la proiezione della mente morta di Jane che, dalla sua minuscola bara sottoterra, dalla sua bolla di oscurità, lo sognava vivere.

Questo costituisce, in fondo, il gigantesco interrogativo che ingloba tutta la letteratura dickiana: chi è che sogna e chi è che viene sognato?  Nell’intento di fornire un’indagine accurata del mondo dello scrittore americano – dei suoi mondi molteplici e raggomitolati l’uno nell’altro – e una possibile risposta a questo interrogativo, il saggio di Carlo Pagetti, Il mondo secondo Philip K. Dick (Mondadori 2022) ricostruisce trame, personaggi, sogni e incubi letterari dello scrittore statunitense che, nella seconda metà del Novecento, ha rivoluzionato la letteratura fantascientifica. Nel saggio recentemente pubblicato Pagetti raccoglie ampia parte del lavoro critico da lui compiuto per l’editore Sergio Fanucci di Roma che, tra il 2000 e il 2017, pubblica tutte le opere narrative di Philip K. Dick: romanzi distopici, realistici, di fantascienza.

Con Philip Dick la “fantascienza” è da intendersi come “sistema narrativo complesso inserito nello spazio letterario più ampio”, itinerario di indagine e interpretazione del reale “indipendente rispetto ai percorsi obbligati della narrativa mainstream”, arricchito di riferimenti intertestuali che legano l’opera di Dick a modelli narrativi che vanno da Asimov a Bradbury, da Shakespeare a Poe, da Shelley a Carroll, da Joyce a Eliot.

E il titolo scelto da Pagetti per la raccolta esprime concretamente tutto il senso della letteratura dickiana. La fantascienza coincide con una precisa visione del mondo, che è quello esteriore, quello reale (sarà arduo poter definire cosa sia il “reale” dopo la lettura dei romanzi di Dick), l’America degli anni nei quali Dick vive e scrive e quello interiore, illusorio, fatto di trame da dipanare e terre desolate, marionette e simulacri. I due mondi coincidono perfettamente, il confine tra vita e letteratura è praticamente inesistente, dal momento che, per Dick, la narrazione non è invenzione, non è illusione. È verità della quale egli è, al tempo stesso, custode e divulgatore. Nella prima lettera ai Corinzi, San Paolo scriveva: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora, invece, vedremo faccia a faccia”. 

Le parole di San Paolo ispireranno non soltanto uno dei numerosi titoli della narrativa dickiana (A scanner darkly, Un oscuro scrutare), ma tutta la visione metastorica di questo autore: lo scrittore di fantascienza è colui che già in questa vita vede “faccia a faccia”. Vede e racconta: “Sono certo che non mi crederete davvero, e forse non credete nemmeno che ci creda io stesso. Eppure è la verità. Siete liberi di credermi o meno, ma vi giuro che non sto scherzando: è una cosa molto seria, una questione importante”.

Pronunciava queste parole Dick, il 24 settembre del 1977 a Metz, in occasione del Festival internazionale di Science Fiction, sostenendo che se a quel pubblico – che, ascoltando le sue parole, aveva sgranato gli occhi – questo mondo sembrava spietato, non aveva idea di quanto spietati fossero gli altri (“if you find this world bad, you should see some of the others”). Altri mondi. E se davvero vivessimo nel migliore dei mondi possibili? Nella visione dickiana i mondi ulteriori non sono mai migliori, sono paesaggi infernali (hellscape), versioni alternative di una terrificante wasteland che diviene tòpos e paradigma “che T.S. Eliot aveva messo al centro della sua prima poesia modernista” e che nell’immaginario di Dick diventa paesaggio desolato di Marte, superficie polverosa della Luna o l’intero continente americano conquistato dalle potenze dell’Asse.

Infatti, la letteratura di Philip K. Dick …

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Le opere di Dick stanno arrivando negli Oscar Mondadori, a partire da «Ubik», nelle nuove traduzioni di Marinella Magrì e con introduzione di Emmanuel Carrère. Gli altri titoli:
«Le tre stigmate di Palmer Eldritch»;
«Gli androidi sognano pecore elettriche?»;
«L’uomo nell’alto castello»;
«Scorrete lacrime, disse il poliziotto».
La nuova edizione è a cura di Emanuele Trevi, con il progetto grafico di Rodrigo Corral.

 

 

Redazione
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Un commento

  • CLAUDIO MAZZOLANI

    Cavolo! Citare San Paolo per spiegare il sommo è intuizione geniale. Complimenti anche perché San Paolo, per me, è stato sempre quello più confuso o meglio il peggio tradotto, come tanti scrittori di fantascienza….

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