Piani per la destabilizzazione in America Latina

di David Lifodi

Stella Calloni è una giornalista argentina tra le più acute nel panorama latinoamericano ed attualmente è corrispondente da Buenos Aires per il quotidiano più prestigioso della sinistra messicana, La Jornada. Intorno alla metà di dicembre ha rilasciato una lunga intervista per www.cronicon.net, il portale dell’Observatorio Sociopolítico Latinoamericano, sulla riscossa delle destre e dei militari in tutto il continente sudamericano. L’allarme lanciato dalla giornalista va preso sul serio perché, al ritorno sulla scena di vecchi arnesi ancora in giro soprattutto nel Cono Sur, si unisce un’inquietante lavoro di destabilizzazione ad opera dei settori più reazionari della politica statunitense. Lo scopo è facilmente comprensibile: farla finita con i governi rossi e rosa al potere nell’America di sotto. Più volte ho espresso delle perplessità sulle politiche sviluppiste dell’ecuadoriano Correa (da cui è derivata la rottura con le confederazioni indigene), di Mujica (per la sua apertura alle miniere in Uruguay) o di Morales (vedi il pasticciaccio del Tipnis in Bolivia), sul ruolo del Brasile come potenza subimperialista e sulla difficoltà per le organizzazioni sociali di rapportarsi con presidenti sulla carta amici, o comunque ritenuti vicini, ma adesso potrebbe essere reale il rischio che i governi più o meno progressisti della regione vengano spazzati via dal ritorno delle destre nel continente. Stella Calloni segnala la pericolosità di due organizzazioni, Unoamérica e Fundación Internacionalismo Democrático che, sotto le mentite spoglie di osservatori dediti all’analisi delle congiunture politiche e sociali nella regione, in realtà spargono disinformazione e progettano colpi di stato del tutto indisturbate. Unoamérica è stata fondata nel 2008 in Colombia, paese intorno al quale ruotano la maggioranza delle trame eversive per riproporre una nuova Operazione Condor, seppure con metodi teoricamente più raffinati e persino intellettuali. Scorrendo le pagine internet di Unoamérica, redatte da finti analisti politici che in realtà scrivono con il solo fine di creare confusione, si leggono proclami, appelli e articoli volutamente fuorvianti. Si comincia con una sorta di chiamata alle armi per dire basta ai processi nei confronti di decine di militari accusati per il loro ruolo di aguzzini durante le dittature degli anni ’70-’80: suscita pena l’immagine del dittatore uruguayano Bordaberry, descritto come un uomo stanco e malato costretto a presentarsi di fronte alla giustizia. Si prosegue chiedendo giustizia per l’argentino Videla, condannato all’ergastolo, e si associano le organizzazioni per i diritti umani ai gruppi armati rivoluzionari in un crescendo di slogan e frasi ad effetto. Dietro a Unoamérica, e soprattutto alla Fundación Internacionalismo Democrático, si trova una vecchia conoscenza, l’ex presidente colombiano Uribe (in collaborazione con l’attuale inquilino di Palacio Nariño Juan Manuel Santos, allora ministro dell’Interno) noto per aver fatto entrare i paramilitari in Parlamento e per il caso dei falsos positivos, semplici cittadini, perlopiù giovani e ragazzi, uccisi dall’esercito e spacciati come guerriglieri nell’ambito del piano di sicurezza nazionale. Anche in questo caso gli obiettivi sono chiari, basta leggere le pagine web della Fondazione, ma si scade addirittura nel peggior revisionismo quando si pubblicizza la presentazione del libro “La gran farsa”, in cui si vuol dimostrare che in Colombia l’uccisione sistematica di sindacalisti, attivisti per i diritti umani e militanti di sinistra da parte dello stato corrisponde ad una balla colossale. E sulla generazione dell’M19, la guerriglia degli anni ’70 trasformatasi in partito politico sotto le insegne del Polo Democrático Alternativo e dell’Unione Patriottica, quasi del tutto sterminata? La Fondazione, al pari di Unoamérica, tace, così come entrambe restano in silenzio sui loro finanziatori. E qui si arriva all’America di sopra, dove organizzazioni non governative fasulle, di concerto con la famigerata Usaid, l’agenzia internazionale per lo “sviluppo” della regione creata dalla Cia, e anche con l’appoggio del Partito Popolare spagnolo, tuttora di stretta osservanza neofranchista (vedi il tentato golpe per rovesciare Hugo Chávez nel 2002) provano a creare le condizioni per un ritorno al potere dei militari o comunque delle formazioni più reazionarie. Tra queste troviamo Fuerza Solidaria, partito di ultradestra di cui fa parte Adrián Oliva, deputato boliviano e presidente dell’Apda, l’Alianza Parlamentaria por la Democracia de America. L’Apda ha due soli obiettivi: il primo consiste nel mettere i bastoni tra le ruote al Mercosur (il mercato comune del Sudamerica) e a tutti gli altri progetti comunitari e integrazionisti del continente (da Unasur a Bancosur fino a quello più radicale dell’Alba, l’Alternativa Bolivariana per le Americhe), il secondo intende riabilitare due loschi figuri, Alejandro Peña Esclusa e Francisco Chávez Abarca. L’estrema destra latinoamericana cerca di far passare Alejandro Peña Esclusa come un prigioniero di coscienza che marcisce in un carcere di Caracas per un capriccio del presidente venezuelano Hugo Chávez. In realtà, informa Stella Calloni, la polizia venezuelana ha trovato nella casa del personaggio in questione un arsenale di armi ed esplosivi pronti ad essere usati per cacciare Chávez dal palazzo presidenziale di Miraflores e, soprattutto, è strettamente legato a Francisco Chávez Abarca, terrorista salvadoregno al soldo di Luis Posada Carriles, noti entrambi per i loro innumerevoli attentati volti a destabilizzare Cuba fin dagli anni ’70. Per raccontare tutte le imprese terroristiche della coppia Abarca-Posada Carriles ci vorrebbe un libro, ma qui basta ricordare la campagna di attentati che nel 1997 colpì numerose strutture turistiche dell’Avana allo scopo di minare le entrate cubane derivanti dal turismo, in cui perse la vita anche il giovane imprenditore italiano Fabio Di Celmo. Il cerchio si chiude con la minacciosa presenza della IV flotta statunitense in acque latinoamericane, unita alle basi militari di Mariscal Estigarribia e Palmerola (rispettivamente in Paraguay e Honduras) e alle sette postazioni gentilmente concesse al Comando Sur nordamericano in territorio colombiano dall’allora presidente Uribe, ancora lui.

C’è da sorridere se pensiamo che la peggior destra latinoamericana e statunitense è allarmata dal ritorno in Honduras di Zelaya (un presidente di origini dichiaratamente liberali, il cui unico scopo era quello di voler riformare una Costituzione imposta nel secolo scorso da United Fruit) o dalla “guerrigliera” Dilma Rousseff (oggi molto cambiata rispetto alla sua militanza giovanile nelle organizzazioni rivoluzionarie), ma il progetto di Unoamérica e Fundación Internacionalismo Democrático purtroppo non è uno scherzo: pur tra mille difficoltà, errori e ancora tanto da fare nel campo dei diritti umani, sociali, civili e politici, una buona parte dei paesi latinoamericani si è incamminata su un percorso dignitoso e di emancipazione. Permettere a queste forze reazionarie di riportare l’America Latina indietro di decenni sarebbe imperdonabile.

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