Piero Calamandrei e la difesa della libertà

di Mauro Antonio Miglieruolo

Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare
Piero Calamandrei

Sul “il Fatto Quotidiano” di mercoledì 9 luglio Maurizio Viroli firma un pezzo interessante sul pensiero di Piero Calamandrei (1889-1956) e il concetto di legalità. Le fonti di questo concetto sono individuate in un saggio scritto nell’estate del 1944, subito dopo il ritorno a Firenze di Piero Calamendrei, lavoro recentemente pubblicato da Laterza.16luglCalamandrfei.jsp
L’essenza di questa saggio sarebbe, sostiene Viroli, nel “metodo della prova a contrario”. Che consisterebbe nello spiegare il significato di una parola ponendo a un eventuale ipotetico interlocutore una domanda retorica su un oggetto qualsiasi avente qualche vaga attinenza con il concetto da spiegare, per poi concludere: è tutto differente. Per illustrare il metodo sarà bene riportare un brano di Calamandrei medesimo:
“Se in mezzo a tanto dolore fosse ancora lecito sorridere verrebbe a proposito Ia sbrigativa risposta colla quale un giornalista spiritoso si liberò di quel seccatore che insisteva a chiedergli come è fatta una macchina linotipo: Ora te lo spiego subito: hai mai vista una macchina da cucire? Certo. Ecco: la linotipo è tutta differente. Allo stesso modo si potrebbe rispondere a chi volesse farsi un’idea esatta della legalità: L’hai mai visto fascismo? Ahimè sì. Ecco: la legalità è tutta differente.”
16luglCalamandrfei2Il regime fascista, spiega ancora Calamandrei, era di una doppiezza costitutiva. Due sono infatti gli aspetti significativi del regime, maestro di menzogna e ipocrisia, l’uno presente dentro l’altro, l’uno che rimanda all’altro: quello ufficiale determinato dagli ordinamenti scritti e quello ufficioso che esprimeva la pratica sistematica della sopraffazione e della violazione delle leggi. Esisteva dunque “una burocrazia di Stato e una burocrazia di partito, pagate entrambe dagli stessi contribuenti, e unite al vertice in colui che domina l’una e l’altra.” La scarsa o nulla consapevolezza degli oppositori del regime sulla natura doppia del regime medesimo, secondo Calamandrei, sarebbe all’origine della convinzione che la lotta al fascismo dovesse e potesse essere condotta nella legalità, convinzione “alimentata dalla generosa illusione […] della libertà che si difende da sé, come una forza di natura, senza bisogno di guardie armate.” Per inciso, si tratta della medesima illusione che paralizza oggi l’iniziativa di autodifesa delle masse.
Quel che ha destato però il mio interesse non è la lucida consapevolezza sulle necessità relative alla lotta contro il fascismo, ma le prodigiose somiglianze tra ciò che esso è effettivamente stato e ciò che effettivamente è l’attuale regime capitalista. In Italia certamente, ma anche in Europa. Un luogo in cui la stampa “democratica” si compiace di parlare di “costituzione materiale”, quasi che quella promulgato alla fine della seconda guerra mondiale non contasse più; del piglio autoritario di questo o quell’uomo nuovo; di governabilità a dispetto della democrazia e di decisionismo, nonostante risulti evidente che questo decisionismo non è altro che il solito far la faccia feroce contro la povera gente. Cioè un regime nei fatti che si allontana sempre più dallo stato di diritto, che è arrivato al punto di prostituire il diritto alle necessità immediate (non più solo a quelle storiche) dell’accumulazione capitalistica.
Tuttavia tutti noi siamo paralizzati dal pre-giudizio relativo a sempre meno esistenti margini di libertà, agibilità democratica e bontà dei metodi legali: convinti che la libertà si difende da sé, secondo quanto criticamente argomentava Calamandrei. Ma mentre questa illusione poteva essere pure coltivata fino a tutti gli anni Settanta (cito Berlinguer: “l’Italia è il paese più democratico del mondo” e allora non era parsa una follia, solo un errore politico), non ha più ragione di essere dopo l’avvento di Berlusconi e del suo continuatore Renzi. Continuità che svela un disegno di fondo del grande capitale, l’insofferenza di quasi tutta la borghesia mondiale per la rappresentatività e i suoi stessi principi democratici. Il fascismo è sorto da uno stato di necessità, la necessità di combattere la marea avanzante del socialismo, che era diventato l’ideologia predominate tra i lavoratori. Il ripresentarsi oggi di analoghe tendenze dittatoriali, per l’uomo forte, uno solo al comando ecc., in una fase nella quale il dominio del capitale è incontrastato, è segno di un abbandono definitivo dei principi sui quali la borghesia fin’ora aveva fondato la sua egemonia: una testa, un voto; divisione dei poteri; sovranità popolare; uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; diritti dei lavoratori ecc. tutti valori contraddetti nella pratica e che l’insigne Renzi si accinge a ulteriormente ridimensionare o definitivamente annullare anche nel diritto.
1-calamandrei-e1284164598286Tutto questo mi ha portato a formulare una domanda, una sola, la stessa che ora pongo a tutti: ha senso oggi e ancora più domani, quando al trionfo personale di Renzi avrà fatto seguito a quel trionfo del regime autoritario che è nelle aspirazioni di quasi tutti coloro che lavorano nei giornali e in televisione, sperare che alle opposizioni reali sia concesso un qualche spazio d’esercizio? Aveva senso ieri, nei limiti propri alla “democrazia” borghese, porsi questo interrogativo; e ha senso oggi, nonostante la deriva autoritaria abbia già condotto le istituzioni democratiche in alto mare. Nonostante gli spazi ridotti e le difficoltà moltiplicate. Solo che bisogna cambiare paradigma e più che nel passato confidare negli spazi extraparlamentari; più che nel passato costruire l’opposizione nelle piazze, sui luoghi di lavoro, intorno a tematiche in grado di costituire alleanze tra strati differenti di popolazione. Per strappare qualcosa al capitale non per merito di un voto parlamentare (risultato raro un tempo, oggi pressoché impossibile), ma a causa di una mobilitazione tale che i politici servi delle banche non possano dire di no.
Perché la libertà e con essa il progresso non “si difende da sé, come una forza di natura”, ma ha “bisogno di guardie armate”. Di vigilanza comunista. Dall’attenzione e dell’iniziativa di tutti gli uomini di buona volontà che non intendano restare tali: donne e uomini di buona volontà.

 

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