Pino Masciari, imprenditore di legalità

di Maria Rosaria Baldin

All’inizio di settembre ad Anghiari, nel corso del “Festival dell’autobiografia 2011”, ho avuto il piacere e l’onore di assistere alla presentazione dell’autobiografia di Pino Masciari.

Pino Masciari è un imprenditore edile calabrese che ha dovuto lasciare l’università per gestire l’azienda di famiglia in seguito alla morte del padre. È un’azienda importante, con sedi all’estero e molti dipendenti. Sotto la sua guida l’impresa diventa una delle più importanti del settore. Masciari è diventato molto ricco, ha un parco macchine di tutto rispetto, ottiene tutto ciò che vuole.

Finché, un giorno…

Alcuni sconosciuti si presentano nei suoi uffici e gli dicono che “Deve mettersi a posto”. Ma lui a posto lo è già, cosa significa “mettersi a posto”? Quegli uomini gli parlano di percentuali e protezione.

Questo è “mettersi a posto”.

Lui però, anziché “mettersi a posto”, denuncia.

Nelle sue aziende cominciano furti, danni, intimidazioni ai dipendenti, fino al giorno in cui il fratello subisce un attentato.

Nel 1997 Masciari diventa testimone di giustizia ed entra nel programma di protezione; è costretto ad allontanarsi in segreto – non può neppure salutare la madre, per non mettere in pericolo anche lei.

Lui deve fuggire, non le persone che lo hanno ricattato, minacciato, derubato.

“Solo pochi mesi, dottò” gli dicono; invece passano più di dieci anni.

Anni di solitudine, fughe continue, privazione degli affetti, impossibilità di comunicare con la famiglia in Calabria. Anni in cui deve stare sempre sotto scorta, blindato, senza poter portare i figli a scuola, senza festeggiare i loro compleanni.

Ma piano piano i processi sono celebrati e le persone (una quarantina) condannate. Lui però vive ancora con la scorta perché attentati e minacce non sono finiti.

Masciari aveva esordito dichiarando di non essere un oratore: “Non è questo il mio posto; dovrei essere al cantiere, a far lavorare gli operai, a far funzionare le ruspe…”. Più volte, durante l’ora e mezza durante la quale ripercorre la sua esperienza, la sua voce si alza a chiedere: “Perché? Avrei potuto pagare come tutti! Perché ho dovuto fare questa vita, se avevo soltanto compiuto il mio dovere di cittadino?”. Nonostante il caldo, nella piazza c’è un silenzio attento, concentrato e partecipe e, alla fine, quando Masciari smette di parlare tutti lo applaudono alzandosi in piedi.

La sua presenza permette ai presenti di entrare concretamente nella vita di una persona sotto scorta. L’auto parcheggiata all’interno della piazza; un’auto dei carabinieri blocca l’ingresso della strada con i carabinieri che controllano tutti quelli che passano. La sua scorta, in borghese, controlla l’altro ingresso della piazza. Anche a cena si è vissuta la diversità della sua vita: i poliziotti della scorta davano gli ordini ai camerieri e controllavano l’ingresso del ristorante; per cominciare a mangiare si è dovuto attendere che Masciari, accompagnato sempre e ovunque dalla scorta, fosse seduto.

Tutto questo non ha fatto altro che accentuare la statura morale e civile di un uomo che ha dichiarato di “aver rovinato la vita alla propria famiglia” per amore della legalità e del proprio Paese.

L’invito è quindi quello di leggere il libro e invitare, dove possibile, Pino Masciari a presentare la propria esperienza. Insieme con la moglie Marisa e i due figli è un testimone che è importante conoscere per darsi sostegno reciprocamente, evitando di scoraggiarsi nell’impari lavoro che aspetta tutti coloro che vogliono organizzare il coraggio per costruire legalità.

Pino Masciari: “Organizzare il coraggio, la nostra vita contro la ‘ndrangheta” pagg. 270, Add editore

 

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