Platone, Freddie Mercury, Jung e Zoroastro

«Ci manca(va) un Venerdì» – puntata 155 – vede Fabrizio Melodia “astrofilosofo” alle prese con amici, canzoni, misteri e persino con La Grande Madre

In un commento a un post su Facebook riguardo al video sull’esibizione del cantautore Freddie Mercury con la soprano Montserrat Caballé (nella canzone Barcelona dedicata alla XXV Olimpiade) il mio buon amico Andrea – meglio conosciuto come “Uomo del Gabbiotto” – estimatore di Mercury e dei Queen, scrisse: «Fabrizio, se vedi bene in una inquadratura, si percepisce che lui sta molto male; molti dicono che in quel duetto, lui capisce la grandezza della soprano e si mette al suo servizio. Ma credo che se non fossero stati i suoi ultimi mesi di vita, avremmo visto qualcosa di potentissimo sgorgare da entrambi. Come direbbe Connor McCleod a kind of magic» .

Commento pregno di romanticismo e arguzia.Si potrebbe aggiungere che Barcelona , scritta dallo stesso Mercury e da Mike Moran, si presenta come un duetto in contrappunto, dove l’inglese dello storico frontman dei Queen si innalza e si unisce in maniera perfetta con lo spagnolo della soprano Caballè, in un messaggio di pace e fratellanza universale: «Barcellona! / Un orizzonte così bello / Come un gioiello al sole / per te sarà gabbiano del tuo bel mare / Barcellona! / Apri le tue porte al mondo / se Dio vorrà / saremo amici fino alla fine».

Quel friends until the end potrebbe essere un caso, visto che le canzoni scritte per le Olimpiadi si assomigliano tutte. Eppure troppe similitudini ricorrenti nelle canzoni di Mercury mi farebbero pensare al contrario. Qui entra in scena la canzone Friends will be friends proprio nella strofe iniziali, scritta da John Deacon e da Mercury: «Un altro giorno importante / Così la sterlina è scesa e i bambini fanno storie / L’altra metà se ne è andata / Prendendosi tutti i soldi e lasciandoti nei casini / Hai un dolore al petto / Dottori in sciopero ciò che ti serve è riposo / Non è facile amare, ma hai amici di cui fidarti / Gli amici saranno amici / Quando hai bisogno di amore loro ti danno attenzione e cura. / Gli amici saranno amici / Quando hai chiuso con la vita e la speranza è persa / Stendi la mano perchè gli amici sono amici / proprio fino alla fine»; consiglio di ascoltare in originale questo testo sentendolo scivolare dentro al cuore.

Parole di fratellanza, come quando i suoi amici Queen lo riaccolsero dopo il “tradimento” da solista. Aveva seguito un sentiero solitario, affascinato più dalla gloria e dall’onnipotenza che dal denaro (per quanto 4 milioni di dollari negli anni ’80 del secolo scorso, avrebbero fatto gola a chiunque). Un uomo che cercava se stesso come un errabondo viaggiatore, che troppo spesso sembrava essersi specchiato nelle sue opere senza riuscire a piacersi. Quasi di sicuro un uomo che doveva sentirsi assai solo, se arrivò a distruggere la propria voce con eccessi di alcool, droghe e fumo.

Freddy Mercury sembrava essere sprofondato in quella grotta dalla quale riusciva a vedere solo le ombre proiettate dagli oggetti sul fondo, come ci ricorda il buon Platone nel mito della caverna, dove il mondo sensibile è «…alla dimora della prigione, e la luce del fuoco che vi è dentro al potere del sole. Se poi tu consideri che l’ascesa e la contemplazione del mondo superiore equivalgono all’elevazione dell’anima al mondo intelligibile, non concluderai molto diversamente da me […]. Nel mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l’idea del bene; ma quando la si è veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell’intelligibile largisce essa stessa, da sovrana, verità e intelletto» (in «La Repubblica» – libro VII, 517 b/c – per la traduzione di Franco Sartori).

Da persona educata alla religione zoroastriana, Freddie affronta la propria ombra per riuscire a sopravvivere e arrivare a vedere il mondo vero, soprattutto per conoscere se stesso e arrivare ad avere la padronanza di sè e della propria arte, come farebbe un buon platonico.

In psicoanalisi, l’ombra è stata analizzata dallo psicologo svizzero Carl Gustav Jung come necessario passaggio dell’Io che si scontra con la sua Metà Oscura per raggiungere e trasformarsi nel Se, che comprende la piena coscienza dell’Io e dell’Ombra, che in Freud al contrario rimaneva inconoscibile; una «cosa in sè» per usare una nota espressione kantiana, di cui possiamo venire parzialmente a conoscenza solo in modo indiziario, attraverso i sogni.

Jung dimostrò come le figure archetipiche, modelli originari presenti in tutte le culture, non siano altro che i modi con cui la coscienza conosce e ingloba la sua parte oscura. Come afferma lo junghiano James Hillman: «l’uomo si pone come attore sulla scena della vita, recitando i vari ruoli imposti dal sociale: Genitore, Amante, Amico, Direttore, Figlio, Coniuge ecc; se accade che la Persona si identifica con tutto il nostro Io, si approssima la perdita della capacità di simbolizzare e della natura plastica della nostra dimensione vitale». La tensione del processo di individuazione è dunque fra gli opposti polari Sè e Persona. La prima parte del processo è per Jung quella che conduce all’incontro con l’Ombra. Dall’esplorazione e dal confronto con l’ignoto e con le parti sgradevoli della nostra personalità, risultano i peggiori conflitti che ci tengono bloccati. L’Ombra, quale prima tappa del processo individuativo, ha il suo parallelo nella fase del procedimento alchemico di produzione della Pietra Filosofale, quello chiamato: nigredo. L’intero sviluppo del procedimento alchemico si può suddividere in tre fasi distinte, ovvero nigredo, l’annerimento; albedo, lo sbiancamento; rubedo, il diventare rosso.

Cosa ci azzecca con Mercury? Ci arrivo, lasciando la parola a Carl Gustav Jung, il quale, nel capitolo «Lotta con l’ombra» – contenuto nel volume Aion – ci descrive questa lotta in tal modo figo,manco fosse uno scontro alchemico divino: «Il primo stadio, quello appunto della nigredo, corrisponde all’utilizzo di materiale grezzo ed impuro (piombo o mercurio), che attraverso diversi processi viene dissolto e depurato. E’ una fase pericolosa, poiché si può restare vittima dei vapori velenosi che solitamente si levano dal composto in putrefazione.  L’incontro con l’Ombra non è altrettanto scevro di pericoli. La falsità, i desideri sessuali, le depravazioni morali, l’odio, l’invidia, e tutto ciò che abbiamo sempre criticato e con sorprendente acuità, non priva di sdegno, colto negli altri, lo ritroviamo improvvisamente come Oscuro Compagno della nostra stessa vita. Se crollano le illusioni sulla nostra purezza e sui nostri  presunti ideali, se crollano le aspettative sul mondo e tutte le nostre pie convinzioni le scopriamo atte a camuffare sogni di potere personale o addirittura il vuoto più desolante, allora, il Piombo ed il Mercurio ritornano sotto forma di Demoni e ci riversano addosso i loro venefici vapori. Ci sentiamo spodestati dal nostro trono di onnipotenza, sul quale aveva eretto piedistallo il nostro Io».

Mercury, ovvero il mercurio, spodestato, torna come demone spargendo venefici vapori? Ricordo che Freddie aveva avuto un crollo interiore dopo aver scoperto di essere omosessuale, per non parlare appunto degli attriti e della rottura con il resto della band, allettato per l’appunto da cose assai terrene come fama, successo e denaro. Crollato dal piedistallo, Freddie Mercury aveva dovuto lottare contro la sua ombra, la sua anima oscura, quella Regina Nera che percorre molte delle canzoni di un Freddie umano e sofferente, ma non per questo vinto. 

Scrive nella toccante “Mother love”: «Fuori, in città, nel freddo mondo esterno / Non voglio pietà, ma un rifugio sicuro / Donna, per favore, fammi tornare dentro / Non voglio agitare le acque / Ma tu puoi darmi tutto l’amore che desidero / Non posso prenderlo se mi vedi piangere / Desidero la pace prima di morire / tutto ciò che voglio è sapere che tu ci sei / Stai per darmi tutto il tuo amore / Amore materno / Il corpo mi duole ma non posso dormire / I miei sogni sono l’unica compagnia che mi resta / Ho la sensazione che con il tramonto / tornerò a casa dal mio dolce / Amore materno». 

La Grande Madre, immagine archetipica, come ci ricorda sempre Jung, a cui fa eco il poeta (ma anche scrittore saggista e cineasta comunista antifascista) Pier Paolo Pasolini: «Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. / Sei insostituibile. Per questo è dannata / alla solitudine la vita che mi hai data. / E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame / d’amore, dell’amore di corpi senza anima. / Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu / sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: / ho passato l’infanzia schiavo di questo senso / alto, irrimediabile, di un impegno immenso. / Era l’unico modo per sentire la vita, / l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. / Sopravviviamo: ed è la confusione / di una vita rinata fuori dalla ragione. / Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire».

Freddie Mercury come Pasolini? Forse, non so, chissà… Entrambi sono accomunati da molti fattori, compresa una tragica e prematura fine. Il percorso di scontro con la propria ombra è il medesimo. Ed entrambi – chi con la lotta politica e la scrittura, chi come Mercury con la musica – hanno saputo superare questo terribile scontro, arrivando a trasmutare in preziose e uniche pietre filosofali, lasciando nel crogiolo i pesanti piombo e mercurio.

Una lotta che per Mercury affondava gia in quella “Bohemian Rhapsody” a lui tanto cara, un inno e un manifesto poetico di tutto il gruppo, ciò che li rende unici nel panorama musicale, una impronta fatta di sperimentazione costante, accostamento di ritmi e sonorità diversissime tra loro, uniti da un processo alchemico unico nel suo modo, come solo una persona fragile e tormentata come Mercury poteva dare: «Questa è la vita vera? / o è solo fantasia? / Travolto da una frana / Senza scampo dalla realtà / Apri gli occhi / Alza lo sguardo al cielo e vedrai / Sono solo un povero ragazzo, / non ho bisogno di essere capito / Perché mi lascio trasportare, / sono un indolente, / Un po’ su un pò giù / Comunque il vento continua a soffiare, / a me non importa».

Al profondo scoramento nella fase della nigredo, ecco che Freddie arriva alla sua nuova albedo dopo essere passato per solitudine e sofferenza e alla sua rinascita è coinciso con un sole rosso, la sua rubedo. Alla luce di questi diversi elementi direi che sul palco di Barcellona abbiamo assistito non tanto a un mettersi al servizio della soprano – in quanto Freddie era ormai al tramonto – quanto a un inatteso ma intenso matrimonio alchemico, in cui Freddie vestito di bianco si sposa con le tonalità rosse della possente cantante, in un inno alla fratellanza universale, in piena linea con la sua rinascita e la poetica dei Queen. 

La regina bianca e la regina nera si sono scontrate, la lotta è stata dura. Concludo con Freddie Mercury, il quale, vittorioso, lascia parole preziose: «Ho pagato ciò che dovevo / Di volta in volta / Ho detto la mia / Ma non ho commesso alcun crimine / E di brutti errori / Ne ho fatti pochi / Ho avuto la mia parte di sabbia / Tiratami in faccia / Ma ne sono uscito / E ho bisogno di andare avanti e avanti e avanti e avanti / Noi siamo i campioni – amico mio / E continueremo a lottare fino alla fine».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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