PNRR: Spagna-Italia 2-0

di Giulio Marcon (ripreso da sbilanciamoci.info)

 

L’Italia esce sconfitta nel confronto con la Spagna sui rispettivi Piani di Ripresa e Resilienza: mentre a Madrid, pur con alcuni limiti, si possono intravedere le premesse per un nuovo modello di sviluppo, il nostro PNRR assomiglia a una grande e affastellata manovra finanziaria, a cui mancano respiro e visione strategica.

In tema di PNRR, mettendo a confronto il piano spagnolo e quello italiano si rimane colpiti già dal titolo: in quello spagnolo c’è la parola trasformazione (Plan de recuperaciòn, transformacion y resiliencia). Sarà solo una parola, ma l’indicazione contenuta nel titolo è già un segnale della strada che in Spagna si vuole seguire, quella di un nuovo modello di sviluppo. Il piano spagnolo è simile nella struttura a quello italiano e contiene molti aspetti critici e discutibili, tanto che le organizzazioni della società civile hanno espresso dubbi e avanzato richieste di radicali correzioni. Ma mentre il piano italiano ha una impostazione da finanziaria moltiplicata per dieci, nel piano spagnolo si avverte il tentativo di una visione complessiva, con un filo rosso delle proposte.

Nel documento spagnolo ci sono diversi aspetti importanti, decisamente migliori rispetto al nostro piano. Nel PNRR italiano, nonostante il profluvio di richiami alla concorrenza, alla competitività, alle imprese, l’espressione “politica industriale” compare una sola volta. Prevale – nonostante i tanti investimenti pubblici – l’idea che alla politica industriale ci pensano le imprese private, beneficate da sgravi fiscali e sostegni diretti (ben 50 miliardi nel nostro piano). Un’idea che in questi anni non ha funzionato. Nel piano spagnolo alla politica industriale (legata alla riconversione ecologica dell’economia) viene invece dedicato un intero capitolo, con proposte, stanziamenti e iniziative dettagliate.

Un secondo esempio è quello del welfare. Nel piano italiano ci sono naturalmente diversi stanziamenti (molto frammentati) per interventi sociali e welfare, ma manca – per l’appunto – una visione. Nel piano spagnolo si avanza la proposta di una economia della cura, dove è chiaro il tentativo di legare la risposta ai bisogni e ai diritti dei cittadini all’idea che il welfare è una politica pubblica coerente (non una spesa, ma un investimento sociale) che crea occupazione, fa crescere il PIL e favorisce l’innovazione sociale e istituzionale. Niente di tutto questo c’è nel piano italiano, dove manca qualsiasi enfasi nel dare al nostro paese livelli essenziali ed adeguati di prestazioni, capaci di colmare quelle diseguaglianze sanitarie e sociali che hanno colpito l’Italia durante la pandemia.

Un terzo esempio è che mentre il piano italiano – per il monitoraggio dei progetti – sembra affidarsi ad una sorta di metodo McKinsey con matrici, indicatori e software, il piano spagnolo dedica decine di pagine al processo di consultazione e monitoraggio in cui viene esplicitato il rapporto con i corpi intermedi (associazioni, sindacati, eccetera), le comunità territoriali e gli enti locali, prevedendo anche delle conferenze tematiche in cui coinvolgere tutti gli stakeholders: istituzionali, sociali, economici, della cittadinanza attiva.

Nonostante tutti i limiti del piano di Madrid (ad esempio, una sottovalutazione della riorganizzazione del sistema sanitario), l’Italia può molto imparare dalla Spagna: siamo ancora in tempo per correggere in corso d’opera gli errori e i limiti più evidenti del PNRR italiano, cercando di dare un’anima ad un piano che altrimenti rischia di essere solo una grande finanziaria suddivisa in sei anni.

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Redazione
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2 commenti

  • c’è un’altra cosa a favore della Spagna per Next Generation EU: accettano solo i contributi a fondo perduto, preferiscono finanziarsi direttamente presso la BCE, praticamente gratis, invece di accettare mutui con forti condizionalità

  • Francesco Masala

    LA PEDAGOGIA AUTOCOLONIALISTA DELLA LOBBY DEI CREDITORI
    Secondo alcuni analisti internazionali, ai motivi di preoccupazione e irritazione degli USA nei confronti della Germania, oltre l’annoso caso del gasdotto North Stream 2, si sarebbe aggiunto anche il Recovery Fund. Se così fosse, l’irritazione statunitense sarebbe del tutto comprensibile, dato che con il Recovery Fund la Germania rilancia un proprio ruolo imperialistico sull’Europa occidentale e, per di più, a costi prossimi allo zero. La narrazione sulle presunte mirabilie del Recovery Fund riguarda soprattutto i media italiani; eppure qualche voce critica si è dovuta affacciare anche tra di essi, dato che il lettore medio abituato ad un minimo di frequentazione della stampa estera sa che ormai il mito si sta sgonfiando. Ad esempio, il settimanale “l’Espresso” ha dovuto ammettere che il confronto con gli analoghi interventi del governo americano è assolutamente avvilente per il Recovery Fund: gli USA spendono cifre che corrispondono al 40% del loro Pil, contro il misero 5% dell’Unione Europea. Chi narra di una Germania che avrebbe finalmente abbandonato il dogma della “frugalità”, propina balle.
    Per l’Italia il vantaggio in termini finanziari del Recovery Fund si concretizza in appena 25 miliardi, tra sussidi ed eventuali risparmi sugli interessi. Se si considera che l’anno scorso il solo BTP Italia ha rastrellato più di 22 miliardi, si comprende la pochezza dell’operazione finanziaria dell’UE, a cui si aggiungono tempi da era geologica per l’erogazione dei fondi e condizionalità talmente vessatorie da risultare surreali.
    Se l’UE non è già finita sottosopra è per il “quantitative easing” della Banca Centrale Europea. L’anno scorso l’immissione di liquidità, con l’acquisto indiretto di titoli di Stato da parte della BCE, è stata di oltre 1500 miliardi.
    Quest’anno la BCE ha già previsto altre immissioni di liquidità per 1850 miliardi. La Federal Reserve, la banca centrale americana, aveva avviato il “quantitative easing” con sei anni di anticipo rispetto alla BCE, e sempre la Federal Reserve era riuscita ad imporlo alla UE scavalcando le resistenze, vere o finte, della Germania. In Italia il merito di aver “salvato” l’UE e l’euro è attribuito a Mario Draghi, mentre in realtà egli è stato solo uno strumento degli USA, che, dopo aver “inventato” l’UE in funzione anti-russa, ora non possono permettersi una sua dissoluzione, per gli effetti disastrosi che comporterebbe sulla NATO.

    Se la narrazione sul Recovery Fund è totalmente infondata, come si spiegano i suoi effetti sul rilancio dell’imperialismo tedesco? La domanda è basata su un presupposto sbagliato, e cioè che l’imperialismo sia esclusivamente una questione di confronto e scontro tra nazioni. In realtà l’imperialismo è anche, e soprattutto, una componente dello scontro di classe. La fiaba delle fiabe è che l’Italia “subisca” suo malgrado le politiche di austerità germaniche, mentre al contrario la lobby della deflazione, cioè la lobby dei creditori, ha in Italia una delle sue principali roccaforti. Rallentare lo sviluppo non comporta solo l’assenza di inflazione e quindi la cristallizzazione del valore dei crediti; comporta anche la crescente dipendenza dal debito, persino se gli interessi sono bassi. La lobby italiana dei creditori cerca sponde e tutori all’estero per imporre all’interno politiche recessive, mascherate da “risanamento dei conti” e da “riforme strutturali”.
    Si tende quasi sempre a sottovalutare la potenza ideologica della lobby dei creditori, che riesce a dissimularsi piegando ai propri interessi il linguaggio delle altre ideologie. La lobby dei creditori è avara e quindi cerca di far lavorare i propri aedi anche gratis, inculcando nelle altre ideologie, comprese quelle di “sinistra”, i “valori morali” dell’austerità. Non si tratta solo di manipolazione dall’esterno. Ciò che il politicamente corretto non è in grado neppure di comprendere, è che la mistificazione non è dovuta solo all’opera di agenzie addette allo scopo, ma è un vero e proprio rapporto sociale, nel quale istanze diverse, e a volte addirittura opposte come l’affarismo ed il moralismo, si fanno reciprocamente da sponda, spesso in modo del tutto inconsapevole.

    I media e gli intellettuali si fanno così strumenti, più o meno volontari, di questa offensiva ideologica, che può essere definitiva come “pedagogia del genitore malevolo”, cioè i genitori che, come nel famoso film di Troisi, ti dicono che gli altri bambini sono sempre più bravi di te. Gli altri Paesi sono meno corrotti, non sono così spreconi, quando hanno i soldi sanno spenderli, eccetera. In tal modo si coltiva nell’opinione pubblica il senso dell’inadeguatezza e il bisogno di dipendenza, la ricerca di “vincoli esterni”. Più le gerarchie sociali sono arbitrarie, più cercano di camuffarsi sotto la falsa “oggettività” delle emergenze, della scarsità e delle inadeguatezze.
    Ciò che gli USA non sono riusciti ancora a capire è che la vera risorsa dell’imperialismo tedesco è l’autocolonialismo italiano. Non a caso l’Italia è l’unico Paese che accederà completamente ai prestiti del Recovery Fund. Non sono certo quei pochi soldi che interessano alla nostra lobby dei creditori, ma proprio quelle condizionalità vessatorie che consentiranno di trovare i pretesti per comprimere ulteriormente le richieste delle classi subalterne.

    http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1036

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