Poesie contro la guerra: Anedda, Brecht, Collins…
… Magrelli e Seifert.
257esimo appuntamento con “la cicala del sabato” (*)
La guerra
di Valerio Magrelli
Domenica mattina,
mi risveglia la voce
di mia figlia che gridando
dalla cucina chiede
a suo fratello
se davvero la Bomba,
quando scoppia,
lascia l’ombra
dell’uomo sopra il muro.
(Non di “un uomo” :
“dell’uomo”, dice). Lui
annuisce, io mi giro
dentro il letto.
[da Lettere familiari]
Canzone sulla guerra
di Jaroslav Seifert
Strozzate la guerra,
che le donne possano sorridere
e non invecchiare cosí rapidamente
come invecchiano le armi.
La guerra però dice: Io sono!
Sono dal principio,
non v’è mai stato momento
in cui non fossi.
Sono vecchia come la fame
e come l’amore.
Io non mi sono creata,
ma il mondo è mio!
E lo distruggerò.
Sarò presente
quando il brandello insanguinato a fuoco
cadrà nel buio
come la saliva dei bambini
sul fondo di un pozzo
quando vogliono misurarne
la buia profondità.
Ma noi – e questa è speranza –
possiamo ancora un attimo,
ancora un breve attimo possiamo
riflettere.
[da “Concerto sull’isola”, traduzione Sergio Corduas]
Le bombe
di Martha Collins
Abbiamo colpito il treno ci dispiace è stato un errore.
Abbiamo colpito quei profughi ci dispiace un altro errore.
Abbiamo colpito il ponte la gente non si vedeva.
Abbiamo colpito l’acquedotto non è stato un errore ma ci dispiace.
Abbiamo colpito l’ambasciata ci dispiace un altro errore.
Abbiamo colpito il paese sbagliato non era previsto.
Avevamo già colpito altre cose sbagliate
un aereo passeggeri una scuola.
Questa volta le ragioni per colpire quello che cercavamo di colpire erano buone.
Cercavamo di fermare le cose terribili fatte a gente innocente.
Le cose peggiorarono per quella gente col nostro
intervento il che prova che avevamo ragione.
Ma naturalmente non siamo capaci di pensare a ciò che è giusto o ciò che è sbagliato.
Dicono che siamo intelligenti ma le bombe non sono fatte
per pensare.
Ci dispiace ci siano stati errori ma noi da sole non possiamo fare errori.
Eseguiamo solo ordini. Facciamo quello che ci viene detto.
[da The progressive]
Correva verso un rifugio
di Antonella Anedda
Correva verso un rifugio, si proteggeva la testa.
Apparteneva a un’immagine stanca
non diversa da una donna qualsiasi
che la pioggia sorprende.
Non volevo dire della guerra
ma della tregua
meditare sullo spazio e dunque sui dettagli
la mano che saggia il muro, la candela per un attimo accesa
e –fuori- le fulgide foglie.
Ancora un recinto con spine confuse ad altre spine
spine di terra che bruciano i talloni.
Ciò che si stende tra il peso del prima
e il precipitare del poi:
questo io chiamo tregua
misura che rende misura lo spavento
metro che non protegge.
Vicino a tregua è transito
da un luogo andare a un altro luogo
senza una vera meta
senza che nulla di quel moto possa chiamarsi viaggio
distrazione di volti
mentre batte la pioggia.
Alla tregua come al treno occorre la pianura
un sogno di orizzonte
con alberi levati verso il cielo
uniche lance, sentinelle sole.
[da Notti di pace occidentale]
Pasqua 1938
di Bertolt Brecht
Oggi, domenica di Pasqua, presto
Un’improvvisa tempesta di neve
si e’ abbattuta sull’isola.
Tra i cespugli verdeggianti c’era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
puo’ cancellare
il continente, quest’isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all’albero tremante di freddo.
[traduzione di Annapaola Laldi]
Per questa settimana vi ripropongo alcune poesie mandate nel corso di questi “quasi” vent’anni che – purtroppo – mi sembrano adatte allo zeitgeist.
(*) Qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da oltre 15 anni invia ad amiche/amici per 5 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Di solito lei sceglie ogni settimana i versi da regalare alla “bottega” ma questa settimana c’è uno speciale contro le guerre. [db]
LA GUERRA
Quell’odio fratricida di Caino
Pose la base per la guerra
Trasformando l’uomo in assassino
Mentre sparge sangue in terra
Desideroso d’essere esaltato
Non padroneggiò ira e gelosia
Verso quel suo fratello odiato
E si trasformò in venefica alchimia
Le ideologie perverse e immonde
Ramificate nel pensiero umano
Come cancrena si diffonde
Con l’omelia del Clero e del Sovrano
Per la volontà di non voler amare
E per l’ingorda avidità umana,
In terra, in cielo e in mare,
L’uomo, come una belva, sbrana.
La Guerra è sempre ingiusta,
Perché non vince chi ha ragione,
Ma chi rende l’altrui vita angusta
Con la forza e l’oppressione
Seguendo la legge del più forte
E calpestando principi universali
Dispensa solo sofferenza e morte
E non rende gli uomini uguali
L’uomo, esaltando la ragion di stato,
I miti della razza e pur l’economia,
È disposto ad essere ammazzato
In nome di una puerile ideologia
Chiudono la bocca al Dialogo,
Sordomuta resta la Diplomazia,
Corrono a sostener la Guerra
Lo stratega, la Scienza e la Tecnologia
Per quella chiamata “Santa”, oppur “Civile”,
Nonché “d’Indipendenza” o per la “Libertà”
La Guerra è più sporca di un porcile
Giustificata sempre da grandi falsità
Dicendo che col sangue nemico lavano,
Le Colpe, le Offese e il Disonore,
Quegli occhi pieni d’odio non vedono
Il sudiciume di tutto quell’ orrore
Per acquietar coscienze il prete benedice,
La Bomba e i Cannoni ed il Soldato,
E sull’altro fronte un altro cappellano benedice
I morti che la bomba benedetta a provocato
I morti, per scrupolo morale e religioso,
Con un eufemismo li chiamano: “Caduti”,
Ma quei morti, per i capricci di un esoso,
Furono prima ingannati e poi abbattuti
A volte fan più senso i vivi, anziché i morti,
Che vagano con gli occhi volti al vuoto
Come corpi che dalle tombe son risorti
Nella vana ricerca di un paradiso ignoto
Fra il pianto della vedova e del bambino,
Il milite cerca falsa gioia nel Bordello
E la prostituta, in cambio del quattrino,
Vende il suo corpo alla “Carne da macello”.
Si diffondono mortali malattie veneree
Disertato è il lavoro agreste o di laboratorio
Il mondo si riempie di lacere miserie
E si trasforma in un tragico mortorio
Questo è il sacrificio offerto sull’altare,
Di quell’Iddio che il mito chiamò: Marte
Per non voler agire con amore,
Genera distruzione, lacrime e Morte.
A fine Guerra, i vinti e i vincitori,
Contano le vittime che vi han partecipato
Si chiedono se, da tutti quegli orrori,
Qualche lezione l’uomo abbia imparato
Uccidere chi uccide, per dimostrare,
Che uccidere qualcuno sia sbagliato,
Rimane assai difficile da spiegare
Ad un popolo che si stima emancipato
Assieme ai morti, rimangono feriti,
Il fisico, la mente, e pure il cuore
Col dubbio, che i morti non siano serviti
A debellar la Guerra, il cui spirito non muore
Anche se finisse la guerra col nemico,
Continuerà quella contro se stesso
Se l’uomo della Vita non è amico
E non ama gli altri come se stesso
Al sangue di Abele, che grida ancora,
S’aggiunge quello con cui scritta fu la Storia
Di una civiltà che la vita disonora
Perché si crede superior con la sua boria
L’unica pace che la Guerra abbia portato,
Sia la guerra di un Regno o di un Impero,
Oppure quella del Magnate o del Papato,
È solo la Pace che regna al Cimitero.
Vitaliano Vagnini
IL MERCENAIO
A seminare mine nella verde campagna
Vengono da altre nazioni o continenti
Quello non è grano che nutre, ma dilania.
Questo è l’avido lavoro di certe genti
Combattono sanguinose guerre non loro
Al soldo di Signori o Governi potenti
Promettendo, vittoria, progresso e lavoro
Massacrando persone e bimbi innocenti
Senza amor patrio e nessuna ideologia
Così è il mercenario soldato di ventura
Che combatte per il soldo e megalomania
E l’amor per la violenza è la sua cultura
Sanguinario lavoro che debilità l’uomo
Che lo rende spietato, infame ed assassino
Apparendo un coraggioso eroe gentiluomo,
Mentre brama il suo unico dio quattrino.
Vitaliano Vagnini
LA PACE SOLO A PAROLE
Camminare nella storia
schivando le tempeste
dei campi di battaglia
su una pianura agreste
innaffiata col sangue.
Questo fanno gli oppressi
vittime di pazzi tiranni
gonfi di boria e d’orgoglio
e pronti a soprusi e drammi.
Scuro è il futuro del giusto!
Sono inevitabili sciagure
scatenate dall’amore
di una brama di potere
incitato dal clamore
di folle osannanti
Il gregge acclama il Leader
che spavaldo si pavoneggia
con altisonanti parole
e dalla lussuosa Reggia
sfoggia le sue ali colorate
Promette progresso,
e che farà volar l’economia.
S’avvolge d’applausi, ma sa…
che dice una gran bugia
per illudere il popolo gaudente
Continua a gonfiare il petto
e a gesticolare dal balcone,
ma il suo labbro non dice che,
non sa volare quel Pavone.
È il volgo che l’innanza sull’altare
Con assurde “ragioni di Stato”
incita il popolo alla guerra,
Indicando un nemico e un luogo
dove insanguinar la terra.
Essi eseguono con muta coscienza
Cosi, da quei campi mietono
morti, gramigne e miserie
e dalle ricche ed orgogliose città,
stragi, orfani e macerie
per l’idolatrico culto nazionale.
L’obiettore è considerato pazzo
da colui che non comprende.
Accetta il biasimo e la pena,
santifica la vita e non s’offende
e nel suo cuore custodisce pace
Ma è un’impresa impopolare
per l’orgoglioso partigiano
che si crede eroe e superiore
ed esalta il suo sovrano,
stolto, ma che appare sano
Ripudia la guerra solo a parole
con cortei e marce di protesta,
ma poi la mente e il suo braccio
è pronto a sostenere la tempesta
e i crimini orditi dal tiranno.
Vitaliano Vagnini