Prato: nel carcere si muore ancora
Lettera aperta di Vito Totire (*) alla sindaca Ilaria Bugetti. A seguire le notizie su un altro suicidio (stamattina) nella prigione di Pescara.
Non intendiamo solo mettere “il dito nella piaga” ma fare una proposta precisa che stiamo cercando di diffondere (vox clamans in deserto) quantomeno dal 2004.
Apprendiamo la drammatica notizia dell’ennesimo morto “suicida” all’interno del carcere di Prato: un giovane marocchino di 32 anni (NDR: stando alle scarne notizie apparse finora sui media).
I “precedenti” del carcere di Prato lei li conosce meglio di noi quindi non ci soffermiamo. Ogni luogo di lavoro in Italia ha una sua valutazione del rischio (DVR) introdotto formalmente come documento in forma scritta nel 1994. Il carcere non ha un DVR sistemico salvo un DVR limitato ai lavoratori dell’istituto. Ma al di là delle procedure formali ci chiediamo perché la istituzione continua a tacere sul rischio connesso alla circolazione di bombolette di gas. La domanda è retorica: è storicamente peculiare delle istituzioni totali la insensibilità al tema della prevenzione della salute e degli “incidenti”. Sta di fatto tuttavia che la gestione attuale delle bombolette nelle carceri si configura come un vero e proprio «crimine di pace» (per usare un termine suggerito da Franco Basaglia).
I crudi dati epidemiologici ci dicono che le bombolette di gas sono il secondo mezzo suicidario in carcere dopo la impiccagione.
Non siamo ingenui e sappiamo bene che la prevenzione del suicidio non può fare affidamento solo sulla non disponibilità del mezzo autolesivo … Ma consentire ancora la circolazione di bombolette nelle carceri rappresenta comunque una facilitazione del passaggio all’atto. Ciononostante diverse persone che commentano eventi luttuosi (come l’ultimo del carcere di Prato) parlano delle bombolette come di un oggetto «regolarmente detenuto» che servirebbe (dicono) a riscaldare i cibi.
Non ci siamo!
La apparente “liberalità” nella distribuzione delle bombolette nelle carceri ha la funzione di tamponare una incapacità dell’istituzione di gestire il cibo e la alimentazione in maniera adeguata. La carta dell’ONU (1965) che fa riferimento alle persone private della libertà include tra i diritti fondamentali quello della disponibilità del refettorio. Viceversa nei penitenziari italiani c’è una commistione inaccettabile fra spazi dedicati ai servizi igienici e spazi dedicati alla pulizia delle stoviglie. In sostanza, quasi tutti i detenuti mangiano “in camera” che quindi non è solo di pernottamento come eufemisticamente viene definita, da qualche anno , la cella.
Ma c’è una altra questione che va oltre il rischio suicidario e riguarda la condotta cosiddetta “voluttuaria” che in sostanza è autolesionismo. Contrasta palesemente con ogni programma o piano di prevenzione, ancorchè ”minimo”, la diffusione delle bombolette a una popolazione così pesantemente connotata da condotte tossicodipendenti o da pulsioni tossicofile. Ci risulta che comunemente la
bomboletta venga definita “da campeggio”: il carcere di Prato non è tuttavia un campeggio. La disponibilità del mezzo suicidario/voluttuario peraltro ci mette in condizione ogni volta, nelle tristi e drammatiche indagini post-mortem, a interrogarci: si è trattato di un suicidio o dell’epilogo preterintenzionale di una condotta non suicidaria? Non che l’interrogativo post-mortem sia particolarmente significativo se vogliamo fare davvero prevenzione. Che poi certi eventi possano essere considerati suicidi “volontari” e non suicidi incentivati o del tutto reattivi a condizioni di costrittività e di deprivazione socio-sensoriale evitabili è tutto da discutere ma non lo faremo in maniera esaustiva in questa breve lettera aperta.
Vogliamo evitare una chiave di lettura della nostra posizione come “proibizionista”. Non si tratta solo di evitare il mezzo che facilità il passaggio all’atto (togliere bombolette, lenzuola, lacci ecc) ma si deve dare anche una risposta alla pulsione
tossicofila che è dietro la condotta autolesionista. La risposta deve essere la capacità di presa in carico del disagio , anche qui, senza usare la “scorciatoria miracolistica” della overdose di psicofarmaci “legali”. In sostanza la bomboletta è un evento sentinella pesantemente ignorato, nello stile più classico delle istituzioni totali.
E’ ora di dire “basta”.
Sappiamo ovviamente che a Prato si discute da tempo sulla drammatica situazione del carcere ma se non si trova il bandolo della matassa rimaniamo legati al palo come confermato, purtroppo, dall’attuale andamento degli eventi suicidari che non evidenzia nel 2025 una controtendenza rispetto al disastroso 2024. Non si tratta di “contare i numeri” e di sperare in una riduzione degli eventi ma si tratta di concretizzare un piano che garantisca alle persone private della libertà la stessa speranza di vita e di salute che auspichiamo per tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta.
La totale impotenza dei decisori politici nazionali/governativi ci fa pensare che una àncora di salvezza possano essere i sindaci in virtù del loro ruolo di “autorità sanitaria locale”. Ormai siamo stanchi e nauseati delle parole al vento “il giorno dopo”.
Signora sindaca accolga il nostro invito a parlarne nella ipotesi di emanare una ordinanza che possa “bonificare”, per quanto possibile, le gravi condizioni di rischio presenti nel carcere di Prato: che possa aprire un varco nella direzione del rispetto della vita e dei diritti umani delle persone private della libertàare. Sarebbe un vantaggio per la civiltà di tutto il Paese.
(*) Vito Totire è medico del lavoro e psichiatra, portavoce Centro studi “Francesco Lorusso” di Bologna
IN “BOTTEGA” CFR I suicidi seriali del carcere di Prato ma anche Ministri o «bombolette»? Tre suicidi in carcere a Modena…
Una notizia analoga ariva da Pescara: un giovane detenuto egiziano si è impiccato stamattina nel carcere di San Donato. Da qui sarebbe scoppiata una “rivolta” con incendi di materassi e persone intossicate; al momento è tutto in fase di ricostruzione.
Le vignette – di Benigno Moi – sono del 2022 ma purtroppo, di anno in anno, i numeri restano quelli. Un nuovo tragico record nel 2024 con 90 suicidi accertati nelle carceri italiane fra i detenuti più 7 fra gli agenti della polizia penitenziaria. E nel 2025 già 12 persone (contando i morti di Prato e Pescara) si sono tolte la vita.