Presidenziali El Salvador e Costarica: ballottaggi dal sapore diverso

di David Lifodi

Una domenica in chiaroscuro, quella del 2 febbraio, che aveva al centro dell’agenda politica centroamericana il primo turno delle elezioni presidenziali in El Salvador e Costarica. Per quanto riguarda El Salvador, Salvador Sánchez Cerén (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional) ha sfiorato la vittoria al primo colpo, mentre in Costarica ha deluso le aspettative il giovane candidato frenteamplista José María Villalta, estromesso da un ballottaggio che sarà tra due esponenti della destra.

Le presidenziali in El Salvador: il 9 marzo un ballottaggio rischioso tra Salvador Sánchez Cerén e Norman Quijano

I sondaggi più ottimisti degli ultimi giorni, poco prima della chiusura della campagna elettorale, davano l’Fmln al primo posto con un vantaggio oscillante tra i 14 e i 16 punti rispetto ad Arena, l’Alianza Republicana Nacionalista (Arena) che ha governato il paese negli ultimi venti anni all’insegna del neoliberismo e delle privatizzazioni. Il candidato efemelista alla presidenza, Salvador Sánchez Cerén, e il suo vice Oscar Ortiz, avevano concluso la loro campagna presidenziale di fronte ad oltre 350mila persone, tra le grida vamos a ganar e l’accompagnamento di tutto l’arco della società civile, dagli studenti ai contadini passando per la borghesia e la classe media salvadoregna. I mesi che hanno preceduto il voto sono stati caratterizzati da numerosi avvenimenti, a partire dalla clamorosa divisione nel campo della destra (con la scissione all’interno di Arena da cui è sorta la Gran Alianza de Unidad Nacional, de Concertación Nacional y Democráta Cristiano – Gana) al coraggioso accordo raggiunto grazie al presidente efemelista uscente, Mauricio Funes, tra le maras, le bande criminali composte da giovani e giovanissimi che hanno reso El Salvador uno dei paesi con il più alto tasso di omicidi al mondo. Andiamo con ordine. La candidatura di Salvador Sánchez Cerén da parte del Frente rappresentava una vera e propria sfida: se nel 2009 c’era stato bisogno del voto moderato per portare per la prima volta la sinistra alla vittoria, (per questo era stato scelto Funes, giornalista corrispondente per la Cnn di lingua spagnola dal Centroamerica che non proveniva certo dalla base storica dell’Fmln), Salvador Sánchez Cerén è invece un rappresentante della storica comandancia guerrillera efemelista. Sull’altro fronte gli areneros si sono trovati coinvolti in una serie di scandali che ne avevano minato il sostegno non solo di una parte della base, ma anche di una serie di pezzi grossi del partito. Norman Quijano, il sindaco della capitale San Salvador e candidato alla presidenza, si è trovato a gestire oltre 150 episodi di corruzione che hanno coinvolto un ampio numero di funzionari e dirigenti di Arena. L’ultimo caso, emerso proprio a pochi giorni dal voto, ha riguardato il sindaco del municipio di Concepción de Ataco, Óscar Oliverio  Gómez Duarte, accusato di aver acquistato, tramite la costituzione di una cooperativa fantasma, una finca cafetalera di proprietà dell’Instituto Salvadoreño de Transformación Agraria (Ista). La cooperativa, inoltre, avrebbe acquisito il terreno a nome del sindaco, attraverso una serie di evidenti episodi di corruzione. Approfittando del caos all’interno di Arena, è sorta come alternativa di destra Gana, che ha scelto di aderire alla coalizione Unidad e di candidare alla guida del paese Tony Saca, già presidente di El Salvador dal 2004 al 2009, peraltro con risultati pessimi: in pratica, svolgeva le funzioni di burocrate per gli Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale  e la Banca Mondiale. Lo tsunami generatosi all’interno di Arena è stato così forte che hanno aderito a Gana interi circoli territoriali degli areneros, oltre ad ex sindaci e deputati provenienti proprio Arena. È stato in questo contesto che Arena, partito di estrema destra noto per le sue simpatie apertamente fasciste e per essersi reso responsabile, all’epoca della guerra civile degli anni ’80 delle peggiori atrocità (fu il maggiore arenero Roberto D’Aubuisson il mandante dei sicari che uccisero monsignor Oscar Romero), ha reagito attaccando. In primo luogo Norman Quijano ha denunciato il presidente uscente Funes poiché avrebbe invitato, tra le righe, a votare per l’Fmln violando così la Costituzione. In realtà, Funes si era limitato ad invitare i salvadoregni a “non votare chi aveva distrutto il tessuto produttivo del paese per tutelare interessi privati”, un aspetto che ha contraddistinto Arena per tutto il suo ventennio di potere. In secondo luogo, fatto ancora più grave, Quijano avrebbe creato una struttura paramilitare denominata Omega, interna ad Arena, per dare di nuovo forza alle bande criminali e giocare sull’insicurezza che avrebbe potuto spingere una parte dell’elettorato a garantire il consenso al suo partito. Del resto, l’accordo tra le maras avvenuto grazie a Funes nel marzo 2012, ha fatto si che il 2013 sia stato l’anno meno violento degli ultimi dieci: gli omicidi quotidiani, che negli anni scorsi avevano raggiunto picchi di 12 o 13, come nei vicini Guatemala e Honduras, si sarebbero dimezzati, almeno finché non è entrato in vigore il misterioso apparato Omega, che ha determinato una recrudescenza degli episodi criminali. Pare che dietro a questa sorta di strategia della tensione si nascondano esponenti di spicco dell’ultradestra venezuelana, quelli impiegati a tempo pieno per far fuori Maduro e destabilizzare i paesi del campo progressista. Eppure, per quanto Salvador Sánchez Cerén rappresenti lo zoccolo duro del Frente, la sinistra radicale, ma anche molti intellettuali, fin dall’inizio della campagna presidenziale si sono convinti che l’ex comandante non sia intenzionato a produrre una rottura con il sistema capitalista, ma prosegua nel solco di Mauricio Funes, che ha sempre cercato di individuare una via di mezzo tra le aspettative rivoluzionarie e la necessità di apparire affidabile a livello internazionale, a partire dal mantenimento della dollarizzazione, dalla continuità con il trattato di libero commercio e con il pagamento del debito estero. Si malignava anche che ci fossero affinità tra efemelistas e Unidad nel segno della governabilità democratica per far fuori Arena, e purtroppo non si trattava solo di voci. Una volta che è stato ufficializzato il ballottaggio del 9 marzo, Tony Saca, il candidato presidenziale di Unidad, ha chiamato subito Sánchez Cerén per congratularsi, e il candidato efemelista si è detto certo che i due collaboreranno in vista del secondo turno: si tratta  un aspetto preoccupante perché gli ex areneros adesso passati a Gana potrebbero creare le condizioni per uno scenario simile a quello paraguayano, quando Ferdinando Lugo fu impallinato dalla destra inseritasi nella sua coalizione e ritenuta erroneamente democratica. In molti pronosticavano, non a torto, che l’Fmln avrebbe dovuto vincere al primo turno. Nonostante l’ampio vantaggio conquistato in questa tornata elettorale, con circa dieci punti percentuali in più di Arena (il Frente si è fermato al 49,93%, ad un passo dalla maggioranza al primo turno), adesso il gioco si fa complicato e, anche in caso del discutibile appoggio di Unidad agli efemelistas (la coalizione di Saca porterà in dote un considerevole 11,4%) bisognerà vedere se realmente un elettorale di destra appoggerà Sánchez Cerén e quali altri trabocchetti ha in serbo Quijano.

Costarica: destre al ballottaggio

In Costarica le elezioni presidenziali servivano per designare il successore di Laura Chinchilla, prima presidenta del paese, ma anche assai impopolare per aver fatto crescere a dismisura il debito pubblico e non aver arginato il crescente divario sociale. Eppure il candidato presidenziale ed ex sindaco della capitale San José, Johnny Araya, esponente di quel Partido Liberación Nacional (Pln) di cui fa parte anche la stessa Chinchilla, è riuscito a raggiungere il ballottaggio in programma il prossimo 9 aprile. Se la vedrà con Guillermo Solis (Partido Acción Ciudadana), anch’esso di orientamento conservatore. In molti si auguravano che alla seconda tornata elettorale avrebbe partecipato José María Villalta, esponente del partito di sinistra Frente Amplio che, secondo i sondaggi, era appaiato ad Araya. La strategia dell’ex sindaco di San José, per 22 anni alla guida della capitale, è stata quella di distanziarsi da Laura Chinchilla nel segno di un cambio sociale responsabile che, evidentemente, ha fatto presa nell’elettorato, nonostante sullo stesso Araya pendessero numerose accuse, dalla corruzione all’arricchimento illecito passando per l’utilizzo di fondi neri. Inoltre, Araya ha impostato fin dall’inizio la sua campagna contro Villalta: numerosi spot del Pln hanno insistito nel paragonare il candidato frenteamplista a Chávez facendo presa sui grandi media, terrorizzati dal fatto che una eventuale vittoria del Frente Amplio avrebbe trasformato il Costarica in un nuovo Venezuela. La stessa strada è stata percorsa dal candidato presidenziale di ultradestra Otto Guevara, candidato per il Movimiento Libertario, un partito legato alla rete di estrema destra Red Liberal de América Latina, sebbene la sua denominazione faccia pensare il contrario. Il trentaseienne Villalta ha riscosso subito le simpatie dell’elettorato più giovane del paese, ma questo non è bastato a far si che la sinistra giungesse per la prima volta alla vittoria, nonostante si ispirasse alla socialdemocrazia di Mujica e Lula. Inoltre, le cronache riferiscono che una corrispondente di France Press sarebbe stata chiusa in bagno da un gruppo responsabile di aver manipolato le schede proprio nel seggio di Villalta. Le elezioni del 9 aprile serviranno solo per attestare se il paese sarà guidato di nuovo da un presidente del Pln o se, per la prima volta, spetterà ad un uomo del Pac.

Peccato: una vittoria di Villalta avrebbe rappresentato un forte segnale di cambiamento per il Centroamerica.

Redazione
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