Prigioniero politico cileno sepolto nelle carceri brasiliane
di David Lifodi
Prigioniero politico nel carcere federale di Porto Velho, nello stato brasiliano di Rondonia, al confine con la Bolivia, Mauricio Hernández Norambuena sembra esser stato dimenticato da tutti. Come punizione, oltre al carcere, la condanna all’oblio per l’ex comandante Ramiro, uno degli esponenti di spicco del Frente Patriótico Manuel Rodríguez (Fpmr), l’organizzazione guerrigliera cilena che cercò con tutti i mezzi a sua disposizione di far cadere il regime di Augusto Pinochet.
Arrestato nel 1993 come autore e mandante di diverse azioni armate, Mauricio Hernández Norambuena riuscì a fuggire di prigione nel 1996 grazie ad una spettacolare azione organizzzata dal Fpmr, ma fu condotto di nuovo in prigione nel 2002, quando si trovava in Brasile, con l’accusa di aver sequestrato l’industriale Washington Olivetto allo scopo di finanziare la guerriglia con il riscatto che ne sarebbe derivato. Tra i fondatori del Frente Patriótico Manuel Rodríguez (sorto nel 1983), dopo aver militato fin dal 1976 nel Partito Comunista cileno, l’ex comandante Ramiro è sottoposto tuttora ad un regime carcerario che viola le regole minime per il trattamento dei reclusi sancite dalle Nazioni Unite e di tutto ciò è responsabile il governo brasiliano. Norambuena vive sepolto in una cella di tre metri per due, con la possibilità di godere di sole due ore d’aria al giorno, senza alcun accesso a quotidiani, radio e tv. Ha diritto a ricevere un solo libro a settimana e non può avere alcun contatto gli altri detenuti. Alla sua situazione si sono interessati i cileni che un tempo erano stati costretti all’esilio per sfuggire al regime di Pinochet: hanno creato un coordinamento internazionale, assieme ad alcune associazioni per i diritti umani, per sollecitarne almeno la sua estradizione in Cile, come del resto hanno già fatto, anche se blandamente, dalla Moneda. “In Cile Norambuena era stato condannato all’ergastolo”, spiega il suo avvocato Fernando Moreira in un’intervista rilasciata ad Adital, ma il 30 dicembre 1996 riuscì a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Santiago sopra un cestello tirato su da un elicottero amico insieme ad altri tre suoi compagni. Specializzato nel campo dei diritti umani tramite il suo lavoro con una associazione brasiliana composta dalle madri di persone uccise in democrazia (com’è noto la polizia brasiliana è una tra le più violente al mondo), Moreira racconta che fino al 2007 Mauricio Hernández Norambuena scontò la sua pena in un carcere di massima sicurezza di San Paolo sotto il cosiddetto regime disciplinare differenziale: in altre parole, era costretto all’isolamento totale. In seguito è stato sottoposto ad altri trasferimenti, prima in un carcere nel Paraná e poi a Campo Grande, nel Mato Grosso do Sul, fino a giungere, nel marzo 2015, a Porto Velho, in Rondonia. Qui avrebbe diritto ad una visita settimanale, ma l’inaccessibilità del luogo, che si trova in piena foresta amazzonica, di certo non facilita le cose ai suoi fratelli che vorrebbero incontrarlo, anche se per poche ore. La condanna nei confronti di Norambuena, inizialmente di 16 anni, fu innalzata a 30 dal tribunale di San Paolo, uno dei più conservatori del Brasile. Già nel 2011 la Corte Interamericana dei Diritti Umani aveva contestato al Brasile le modalità di reclusione dell’ex comandante Ramiro, definite “crudeli, inumane e degradanti”, mentre l’Onu ha evidenziato come ad un carcerato non possano essere imposti più di 15 giorni di isolamente senza la possibilità di parlare con nessuno, nemmeno con i secondini. Per Norambuena questo periodo è durato 5 anni e, ancora oggi, lo stesso Fernando Moreira e le autorità cilene che sono andate a visitarlo hanno dovuto accettare restrizioni di ogni tipo, tra cui la registrazione di tutte le conversazioni. Per Norambuena restano ancora 16 gli anni da scontare, mentre anche in Brasile si comincia a ragionare sulla costituzionalità della situazione dell’ex esponente del Frente Patriótico Manuel Rodríguez. Nel febbraio 2012 il Cile aveva promulgato il cosiddetto Decreto 35, più noto come accordo di estradizione, tra i paesi che fanno parte del Mercosur. In una delle clausole del trattato sta scritto che l’estradizione è proibita solo nei casi di pena di morte (ormai inesistente in tutta l’America Latina) o di ergastolo, che è proprio la pena comminata a Mauricio Hernández Norambuena al suo paese. Qui sta l’imbroglio, sostiene il suo avvocato, perché “il Brasile, dove non esiste la cadena perpetua, accetta l’estradizione soltanto a condizione che il Cile commuti l’ergastolo nei 30 anni che Norambuena sta scontando a Porto Velho”. Se il Cile non commuta la condanna del recluso, Norambuena dovrà rimanere in Brasile e sperare di ottenere una libertà condizionale.
Se pensiamo alla grancassa che sostenne il ritorno di Pinochet in Cile dall’Inghilterra “per ragioni umanitarie”, come mai adesso la Moneda non fa altrettanto, e stavolta a ragione, per un combattente che ha dedicato la sua vita agli ideali di libertà e giustizia contro una dittatura militare che per anni ha tenuto in scacco il paese?
http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2016/04/15/la-morte-di-giuseppe-uva-assolti-carabinieri-e-poliziotti_38716812-aa4c-495b-9980-9ccf8678fb54.html
Giuseppe Uva ha avuto meno fortuna di Mauricio Hernández Norambuena e non aveva cercato di rapire nessuno…
Come darti torto, Alberto, hai ragione. E per entrambi le condizioni di carcerazione non sono state delle migliori.