Prima si sparava con le parole

di Bozidar Stanisic

Firenze, 13 dicembre 2011: non credo sia il tempo per i discorsi lunghi o per dire che siamo tristi e ripetere – chissà quante volte – che l’assassino era pazzo.

Se non fosse stato tale, non si sarebbe sparato.

Ma tutto ciò dovrà, non credo per pochi in Italia, essere la fine del discorso post mortem sulle vittime della pazzia. Verrà considerata la perizia psichiatrica del curriculum dell’assassino ma pazzia è un termine che va usato con le virgolette.

Quante volte in Italia negli ultimi due decenni, sino al 13 dicembre fiorentino, venivano pronunciate parole d’odio e disprezzo nei riguardi dell’altro e del diverso, incluse violenze e minacce? Sono cronache del razzismo quotidiano. Tante, troppe-troppe…

Ricordo benissimo delle parole di un mio amico, uno scrittore di Belgrado, che all’alba dei primi spari nell’ex Jugoslavia, ricordò che prima delle pallottole si spara con le parole. La maggioranza di queste facevano parte dell’ordinario linguaggio politico di allora.

Perciò quel sangue versato sulle pietre dei mercati di Firenze non è soltanto il frutto dell’atto violentissimo di un “pazzo”. Sono convinto che quel sangue appartenga a tutti: a partire dalle parole d’odio contro lo straniero per ottenere spazi politici che sono state pronunciate nel Parlamento della Repubblica d’Italia e in Regioni Provincie (non dimentichiamo le ordinanze razziste dei sindaci di numerosi Comuni e non solo nel Nord) e a partire dai “dispetti”, a volte fantasiosi, nei riguardi della popolazione immigrata per arrivare alle leggi d’immigrazione, ai Cie, ai Cara.

Son convinto che quel sangue appartenga pure al silenzio degli opportunisti (da sinistra a destra) inclusi vari “moderati”, per non parlare degli indifferenti e di varie zone grigie delle nostre città in cui lo straniero viene visto “buono e utile” in cervelli ristretti pure dalla propria non memoria.

In questi vent’anni ne ho sentite molte, troppe. Sì, parole di odio, incluso quello per me sinora più emblematico quel giorno d’estate di due anni fa, a Udine, quando venne organizzata la protesta contro la sepoltura dei musulmani. Il sindaco e la giunta non diedero ragione a chi protestava, ma mi restò quel sapore amaro nel cuore e l’incredulità nel cervello: l’odio persino nei riguardi dei morti? In uno di quei giorni morì una ragazzina, musulmana.

Il problema dell’Italia dopo la sparatoria di Firenze è se il pensiero politico e sociale si fermerà alle condoglianze ai familiari delle vittime e all’intera popolazione senegalese. E se la politica non si distaccherà dai valori della cultura europea più profonda, che non include nessun se o ma nel rispetto delle leggi fondamentali dell’uguaglianza di ogni singola persona, della sua dignità, del suo

diritto alla vita. Dopo la tragedia di Oslo abbiamo questa di Firenze. Entrambe sono figlie di una valanga di parole d’odio che si muove liberamente, raramente punita dalle leggi. Prima di questi spari cosa dovevamo dire a esempio dello spray sui treni contro alcune “sporche negre”? Oppure degli slogan “troppi immigrati”, “no Islam”, “tornate a casa vostra” eccetera? Non è accaduto secoli fa. Non nell’Antartico, ma nella civilissima Padania (soprattutto). Ieri, un po’ prima, solo un po’ prima di quel che è accaduto a Firenze.

Una politica seria e umana (“tecnica” o no) dovrebbe sapere

cosa fare.

UNA PICCOLA NOTA

Riprendo questo articolo da www.ildirigibile.eu


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