«Primo contatto»: imparare dagli ital-alieni è ora

db consiglia una bella antologia di Urania

«Nonostante i nostri buoni propositi, siamo davvero pronti a capire un mondo diverso?». La domanda è rivolta alla specie umana da Mariangela Cerrino in «Queste infinite colline», uno dei racconti più belli della riuscita – anzi: quasi perfetta – antologia «Primo contatto», un MilleMondi Urania che trovate in edicola per tutta l’estate. Con 7,90 euri vi portate a casa 380 ricche pagine, tutte italiane e a dominanza femminile (8 racconti su 13 sorretti anche da «Le donne della fantascienza italiana» di Giulia Abbate, utilissimo excursus storico).

Ove ancora qualcuna/o avesse dubbi sulla qualità media della fantascienza targata “stivale” con questa antologia potrebbe mettersi il cuoricino in pace: 9 racconti su 13 sono praticamente perfetti per trama e scrittura. I 4 fiacchi (sia chiaro: secondo il modesto parere del bipede di turno a recensire) comunque non sono brutti ma un paio di gradini sotto l’eccellenza. Curiosamente il mio gradimento coincide con una curva così congegnata: vola in alto per le prime 6 storie (Romina Braggion, la citata Cerrino, Claudio Chillemi, Elena Di Fazio, Nicola Fantini ed Elisa Franco) poi si abbassa con i 4 racconti centrali (Nino Martino, Luca Masali, Furio LC Rex e Monica Serra) per salire di nuovo in altissimo con le ultime 3 storie (di Nicoletta Vallorani, Axa Lydia Vallotto ed Enrica Zunic’). L’ordine alfabetico causualmente mi ha portato sull’altalena: vertigini. Devo stare attento a non svenire quando “lena” mi fa volare più su oppure… «perdere i sensi, ora lo capì, era una profezia»?

Come d’abitudine non svelo le trame ma segnalo qualche passaggio cruciale. A esempio Di Fazio propone una variazione del quesito “se il nemico fossimo noi” sarebbe lecito tradire; mentre Vallorani costruisce una strana, affascinante storia d’amore intorno al “come si diventa ebrei… o donne… o cose” ma anche a presunti dèi che forse sono solamente (ma è un “solamente” gigantesco) «forme di vita assetate di conoscenza».

Tornando alla domanda se «siamo pronti» Romina Braggion ha ragione a dubitare (o sentenziare?) che «non esiste capire, esiste com-prendere». E potremmo ripetere sottovoce con Chillemi «noi umani siamo proprio stronzi»; senza sapere se sia meglio ridere o piangere.

Citabili? «Voi ci chiamate alberi» e «Come ci inchina al sole o alla spiaggia» ma dovrete arrivare rispettivamente a pagina 46 e 123 per capirne il senso. C’è una perfida Sherazade che si serve delle serie tv per… non ve lo posso dire ma tutto avviene intorno a due frasi che Elisa Franco ci mostra vecchie ma sempre nuove: «finalmente arrivano» e «resta ancora un po’ con noi». Dove la vicenda sembra troppo semplice (a chi legge in fretta o comunque casca nelle trappole) potrebbe essere utile avere nello zaino mezzo chilo di sarcasmo.

Restando dalle parti dell’ingannevole “troppo semplice” chiunque scrive difficilmente si sottrae alla dittatura del luogo comune e in particolare dell’ “ognuno ha il suo ruolo”. Perciò se nella vicenda compare una «donna delle pulizie» non può evitare (checchè abbia scritto Marx al riguardo) il “valore d’uso” se è davvero un’addetta a pulire. Ma nel racconto che chiude l’antologia… stavo per dirvelo ma è arrivato il signor Spoiler a minacciarmi con un bastone (ovviamente nodoso).

Ho riservato un posticino nel neurone rimastomi per conservare due paradossi proposti negli ultimi due racconti: se chi è solo comunichi meglio e l’antica questione di dove sia meglio nascondere un albero (la soluzione appare ovvia ma…).

Nelle ultime righe dell’ultimo racconto stavo trattenendo il fiato per capire dove mi avrebbe scaraventato la sapienza di Enrica Zunic’ così mi sono precipitato (anche a voi ogni tanto succede?) a leggere … senza intendere il senso profondo. Sono tornato indietro di 8 righe e ho detto al mio fiato che si sentisse libero – pausa, pausa, ritmo lento – così ho ritrovato le tre frasi per me diventate indimenticabili: «versò l’acqua nella tazza insieme alla bustina», dunque l’atteso/temuto tragico finale; ma poi «una porta si stava aprendo» e tutto può cambiare; a questo punto mi sono trasformato in Dilnaz quando «vuotò la tazza sul terreno».

C’è anche un secondo saggio: «Il primo contatto a 35 mm» ovvero l’utile, dettagliato ripasso filmico di Michele Tetro, subito chiarendo che il “grande incontro” può essere subìto o invece cercato… Ma vale ricordare che, anche al cinema, di recente alcuni bipedi terrestri sembrano più pronti a «capire» (o «com-prendere») l’alieno invece che uno di quegli stronzi rappresentanti del nostro pianeta con i quali ci tocca passare circa 31.557.600 secondi ogni anno.

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Grazie! Sono molto contenta che sia stata compresa la lentezza finale che consente di avvisare e salvare. Stima a mille! Un abbraccio
    Enrica

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