Primo maggio 2021: vivere a rischio

di Vito Totire (*)

Un grazie per l’invito – delle lavoratrici e dei lavoratori USB – alla manifestazione e un saluto a compagne e compagni che festeggiano il primo maggio con l’auspicio che sia primo maggio tutti i giorni dell’anno.

L’orizzonte a livello nazionale e mondiale è fosco. Piccole isole di lavoro gestito in condizioni soddisfacenti sono circondate da un mare di precarietà, sfruttamento e anche di vero schiavismo (dalla logistica all’agricoltura con rapida diffusione dal Mezzogiorno al Piemonte e oltre). Le stragi nei posti di lavoro si ripetono con frequenza impressionante. […] Pochi giorni fa a Bologna, in poche ore, si sono verificati tre morti sul lavoro: le istituzioni non hanno battuto ciglio. Ultima grande strage sul lavoro, quasi sconosciuta, nell’area mediterranea (senza dimenticare quelle in mare!) è stata a Tangeri l’8 febbrai con la morte di 19 operaie e 9 operai, affogati nello scantinato di un laboratorio tessile: uno scenario ottocentesco, verrebbe da pensare, ma Tangeri non è distante da Bologna anche perché i committenti del lavoro simil-schiavistico in quel comparto produttivo hanno supermercati anche nella nostra città (**) per esempio a Castenaso. Il modo di produzione capitalistico è un sistema di vasi comunicanti, anche la strage di Tangeri ci riguarda direttamente.

La parola chiave per la difesa della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro era e resta PREVENZIONE.

E rimane insostituibile la prassi ideata e realizzata negli anni 60-70 del secolo scorso: valorizzazione della soggettività operaia, non delega, validazione consensuale nel rapporto fra lavoratori e tecnici di loro fiducia, al fine di garantire ambienti salubri nei quali il lavoro non sia fonte di sfruttamento, di rischio, di malattia o di morte ma occasione di reddito e di soddisfazione personale.

L’elemento decisivo a favore o sfavore della prevenzione rimangono i rapporti di forza tra lavoratori e padroni; e spostare questo equilibrio rimane l’obiettivo principale.

Negli ultimi decenni i rapporti sono evoluti in maniera molto sfavorevole costringendoci ad arretrare dalla prevenzione a una strenua battaglia sui risarcimenti per i danni subiti: un arretramento tattico invitabile considerato che il capitale, al netto delle ipocrite dichiarazioni di principio, “sente” solo i costi economici.

Né possiamo nascondere il fatto che se i padroni non hanno interesse a fare prevenzione riescono molto spesso anche a non pagare, sia sul piano delle responsabilità civile che di quella penale, persino per le stragi compiute. Per molte stragi sul lavoro degli ultimi decenni la magistratura ha dichiarato incredibilmente che «il fatto non sussiste» oppure ha usato la formula secondo cui «il fatto non costituisce reato». Ma come dice una canzone di Fabrizio De Andrè «anche se siete stati assolti siete per sempre coinvolti».

In questo quadro va sottolineata la “questione Inail”; non citarla come grave problema per i lavoratori risponderebbe a una rimozione politica se non a quella strategia masochistica che certi vertici sindacali vorrebbero imporre ai loro iscritti.

Si consolida sempre più una condotta Inail utile solo a tutelare le imprese e non i lavoratori. Le valutazioni dell’Inail, anche per le malattie professionali più gravi, sono troppo spesso connotate da validazione acritica (fatta in fotocopia) delle dichiarazioni aziendali.

Inail rigetta e disconosce persino mesoteliomi e tumori da amianto con una prassi che, a questo punto, dobbiamo considerare condivisa dai vertici di Cgil-Cisl-Uil ma di certo non condivisa dai loro scritti che, se chiamati a un referendum, avallerebbero sicuramente la proposta che da decenni avanziamo: esautorare l’Inail dalle valutazioni sulle cause delle malattie professionali.

Agli antichi rischi professionali – disconosciuti e colpevolmente non monitorati – se ne aggiungono nuovi come dimostra il Covid: una epidemia dichiarata “calamità naturale” dalla procura della repubblica di Bologna che ha garantito preventivamente la chiusura di una ventina di fascicoli appena aperti; quasi che aprissero e chiudessero fascicoli per cambiare l’aria…

In verità l’epidemia ha assunto la dimensione tragica che conosciamo anche per l’ assoluta inconsistenza della barriera protettiva che invece una rigorosa ed efficace politica di valutazione del rischio nei luoghi di lavoro avrebbe potuto garantire.

Più si analizzano i dati Inail – pur diffusi col contagocce e non scorporati per comparti – e più si evidenzia il peso della componente occupazionale. Nel 2020, per fare un esempio, i morti da covid fra il personale viaggiante delle ferrovie hanno rappresentato la metà degli infortuni mortali dell’intera coorte. All’inizio degli eventi l’Inail ha garantito la copertura infortunistica senza aggravi per le imprese; ora garantirà alle imprese anche la copertura assicurativa degli eventi mortali, senza agire azioni di rivalsa, anche per chi si è ammalato a causa dell’omissione di misure di prevenzione?

La prevenzione non verrà dai padroni né dalle istituzioni (che pure devono essere richiamate a svolgere rigorosamente le loro funzioni), né dalla mobilitazione dell’arma degli alpini. La prevenzione dipende soprattutto da noi e anche dalla nostra capacità di prevedere l’impatto delle nuove formule e proposte organizzative (smart-working, “intelligenza artificiale” , industria 4.0) che i padroni propongono solo e sempre per aumentare i profitti.

Possiamo e dobbiamo costruire una RETE PER LA PREVENZIONE. Dobbiamo costruire e condizioni per INTERVENIRE IL GIORNO PRIMA con una meticolosa individuazione delle situazioni a rischio a partire dalle condizioni dichiaratamente schiavistiche, insalubri, costrittive e mobbizzanti, con la capacità di mettere in discussione prassi (e documenti) di valutazione del rischio lacunose e inaccettabili.

COSTRUIAMO UNA RETE PER LA PREVENZIONE PER INTERVENIRE IL GIORNO PRIMA .

(*) Vito Totire, portavoce Rete per l’ecologia sociale

(**) fonte «Internazionale» numero 1404 del 9-15 aprile 2021

Tutte le vignette – scelte dalla “bottega”  sono di Vauro.

 

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