Primo maggio

di Mauro Antonio Miglieruolo

Perché non mi preoccupo più di tanto dei rozzi e insistiti tentativi di svuotare di significato le date, a cui teniamo tanto, del 25 Aprile e Primo Maggio? Non soltanto perché assuefatto dagli analoghi tentativi del passato (oggi con maggior successo di ieri); o perché sono parte minima di un più largo disegno restauratore che sta avendo per noi un disastroso compimento. Bisogna sapere e dare per scontato che finché avremo una sinistra inconsistente e una destra insolente, incudine siamo e incudine ci toccherà restare. I piedi ben piantati in terra, allora. Finché non ci saremo stancati di prenderle, sarà difficile che si possa risalire la china.

Quel che mi preoccupa invece è (appunto) lo stato di salute della vera sinistra, quella che dovrebbe risalire la china e tarda a farlo; quella sinistra diffusa e delusa, priva di speranza e anche di rappresentanza. Ingannata dalla vasta congerie di personaggi che si spacciano per “sinistra” e invece parlano, agiscono e spingono verso destra. Da coloro che si vergognano del loro passato comunista e sfacciatamente rinnegano, pur essendo stati iscritti a un partito che la parola comunista portava nel nome; e da chi ha fatto dell’inciucio l’unica prospettiva ammissibile per la carriera di uomo pubblico. Da chi si finge convinto che imponendo sacrifici crescente ai lavoratori, annullandone i diritti conquistati in due secoli di lotte, prepara un destino migliore a quegli stessi lavoratori; e da chi con espressione afflitta lamenta gli oltraggi che le masse subiscono e subito dopo averlo detto smette di occuparsene e passa a altro.

Quel che mi preoccupa è soprattutto l’incapacità di comprendere fino in fondo come questa sinistra, dalle molte teste e tanta, tanta intelligenza, si sia lasciata turlupinare per decenni da siffatti personaggi, dei quali vale occuparsi solo per metterli alla berlina. Un continuo di inganni e autoinganni (nel caso migliore) vestito di insipienza e un sacco di voglia di far la figura dei buoni bravi e meritevoli al servizio del capitale.

Quel che mi preoccupa dunque è il noi di tutti coloro che, scontando sconfitte e frustrazioni, delusioni e disorientamenti, continua a sperare e sognare. Continuano a mantenere integra la prospettiva di una vita migliore. Sono le carenze di costoro che pongo in gioco. La credulità, la pigrizia e la dabbenaggine (non lo crederete, ma è di me che sto parlando) di cui, in più della volontà di resistere, abbiamo dato prova.

Dabbenaggine… O dovrei dire stanchezza? Assenza di prospettive? Quel senso di vuoto che è entrato nelle coscienze in seguito ai molteplici voltafaccia che le organizzazioni di sinistra (allora sì di sinistra) hanno posto in essere per frenare l’onda lunga di lotte che aveva avuto inizio nel 1963?

La risposta che mi sento di offrire è che si tratta dell’una e l’altra cosa insieme. La stanchezza e la dabbenaggine. L’una trascinata dall’altra.

Ricordo il momento in cui ho avvertito l’inevitabilità della trasformazione del riflusso in aperta rotta politica. Durante la prima “estate romana”, subito dopo avere udito lo slogan elogiativo urlato dagli entusiasti partecipanti: Assessore assessore, rock and roll a tutte l’ore. È fatta, mi ero detto, Nicolini (personaggio tra l’altro non dei peggiori) è riuscito dove tutti gli altri hanno fallito. Era riuscito in quanto aveva colto la stanchezza per la superideologizzazione dello scontro all’interno della vera sinistra, per l’eccessiva frammentazione, per la superbia di un ceto politico che si era autodefinito avanguardia e, priva di presa effettiva nel mondo del lavoro, si preparava a sciogliersi come nebbia al sole degli allettamenti e delle futilità borghesi.

L’abbiamo avuto il nostro rock and roll, ma unito alle tossine con cui sempre questa società condisce ogni concessione, ogni beneficio. Tutto va avanti a pacchetti nel mondo dominato dall’industria e dalla finanza. Il cibo insieme ai veleni con cui lo si produce e conserva, l’energia elettrica con l’atomo e il petrolio, le automobili, i frigoriferi e i televisori con i bombardamenti e conseguenti stragi per il controllo delle materie prime.

Non si tratta qui di battersi il petto e di recitare i mea culpa. Si tratta di utilizzare le due date per una riflessione sulle carenze del passato per non doverle riprodurre nel presente. Si tratta di aprire gli occhi, di vedere, a parte gli inganni del nemico, come le nostre forze, pur intaccate, sono rimaste sostanzialmente intatte. Resistere non solo è possibile, ma anche possibile contrattaccare. Le recenti vicende della Fiat, con i referendum svolti sotto ricatto, dovrebbero dircene qualcosa. A patto però di imparare una volta per tutte che non solo i Greci portano doni (con fregature al seguito), ma li porta anche e in primo luogo sua Maestà il Capitale. E li portano i farisei falsi e bugiardi (e un pochino ladri) che lo rappresentano.

Imparando (attenzione) non per mero gusto di sapere come va il mondo, ma per tenerne debito conto.

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