«Prisma» e il futuro della Triennale di Milano

Due post di Susanna Sinigaglia

Prisma

di

Alessandro Sciarroni e Masbedo

La performance – creata in occasione della fiera miart che si è svolta a Milano dal 13 al 15 aprile – era inserita in «Fog» (“nebbia” con un chiaro riferimento all’elemento un tempo caratteristico di Milano), nuova rassegna della Triennale Teatro dell’Arte che si aggiunge a sorpresa, completandola, a quella già prevista all’inizio della stagione 2017-2018.

Avevo visto due spettacoli di Sciarroni, «Folk-s» e «Chroma», nel dicembre scorso ed entrambi mi avevano incuriosito e coinvolto (*). Problematico mi è parso invece questo «Prisma», in collaborazione con i Masbedo: non mi ha convinto sia per l’uso dei linguaggi, poco integrati, sia per la sua conseguente scarsa intelligibilità.

La performance si struttura seguendo uno schema che si ripete tre volte e alterna a un gioco di manipolazione di specchi la proiezione di video sulla superficie degli specchi stessi e un balletto country. Questi tre momenti tuttavia appaiono scollegati e non basta a dar loro coerenza poetica le spiegazioni che se ne danno online nelle varie presentazioni dello spettacolo che, in parte, riprende uno dei primi lavori di Sciarroni, «Cowboys».

L’azione iniziale dei quattro performer, due ragazze e due ragazzi già presenti agli angoli della scena all’arrivo del pubblico, consiste nel creare immagini impossibili come avviene soprattutto in un certo settore di ricerca delle arti visive: nascondendo la testa dietro uno specchio quadrato – che ciascuno ha in dotazione – in modo da mostrare solo il corpo e le braccia (che diventano a volte tre in relazione a come viene tenuto lo specchio) i performer formano strane figure dando vita a bizzarri accostamenti.

Si esibiscono a turno in coppia; i loro corpi si avvicinano e si allontanano, a volte ce n’è uno che si stende a terra mentre il partner resta in piedi: sembrano contorsionisti acefali dell’immagine.

I video proiettati sugli specchi sistemati come se fossero schermi rappresentano paesaggi: si scorgono onde che s’infrangono su una spiaggia, rocce scure, altri scorci non ben identificati e infine il levarsi di nubi infuriate di fumo contro uno sfondo rosso fuoco che riporta immediatamente alla memoria la visione delle torri gemelle mentre s’infrangono al suolo inghiottite da se stesse.

Il “momento balletto” vede i performer che, tornati al loro posto ai lati della scena, trasformano il proprio abbigliamento: si tolgono le scarpe da tennis e calzano stivali, infilano un cinturone sui jeans, indossano un cappello da cowboy e iniziano a muovere passi di danza al ritmo di un motivetto country. Dopo qualche minuto smettono di ballare, anche la musica si ferma e, tornati al loro angolo, si tolgono gli “orpelli” indossando di nuovo gli indumenti con cui si sono presentati all’inizio sulla scena. Quindi, la sequenza ricomincia: gioco di manipolazione degli specchi, proiezioni video, balletto.

L’idea-ricerca di fondo è interessante: ruota intorno alla questione “identità” e la superficialità con cui la si stabilisce nell’era in cui l’immagine – di facciata – è (quasi) tutto quel che conta. Tuttavia molto, troppo, esemplificativa di tale idea è la terza sequenza della performance (il cappello, la cintura e gli stivali che servono subito ad attribuire l’identità “cowboy”) e, forse proprio per questo, non se ne coglie l’intenzione.

In merito invece alla sequenza-video, per quanto rappresentative o belle possano esserne le immagini, troppo poco immediato e forzoso – cervellotico quasi – sembra il loro legame con la prima sequenza (che si potrebbe giustificare avanzando varie ipotesi, tutte piuttosto gratuite) e irrisorio quello della terza con le altre due.

Mentre il gioco di manipolazione degli specchi potrebbe da solo reggere tutta la performance, gli altri due mi sono sembrati non solo incoerenti con il contesto ma soprattutto responsabili di “sporcare” un lavoro che andrebbe al contrario valorizzato per la sua originalità e intensa interpretazione.

http://www.triennale.org/teatro/alessandro-sciarroni-masbedo-prisma/

Alla Triennale di Milano, nuove nomine per un nuovo inizio

Il 20 aprile, Stefano Boeri – presidente della Fondazione Triennale dal 16 febbraio –insieme al sindaco Giuseppe Sala e ai membri del Cda ha presentato le linee guida di un progetto Triennale rinnovato e ambizioso affidate al nuovo direttore generale, Carlo Morfini, e a quattro curatori di altrettanti settori. Preposto a teatro, danza, performance e musica troviamo Umberto Angelini, che già dal 2017 è curatore della Triennale Teatro. Lorenza Baroncelli si occuperà di architettura, rigenerazione urbana, città, con delega al coordinamento artistico. Myriam Ben Salah ha l’incarico per i new media, la fotografia, il cinema e la televisione mentre Joseph Grima quello per design, moda e artigianato.

Inoltre, la Triennale estenderà la sua rete di collaboratori a livello internazionale. Fra questi Paola Antonelli, responsabile per l’architettura e il design al Museum of Modern Art di New York (Moma) che curerà la 22° edizione della Triennale nel marzo del prossimo anno dedicata alla natura e al paesaggio, tema su cui converge ormai l’interesse di tutto il mondo.

A questo proposito, sia il sindaco sia Stefano Boeri hanno sottolineato più volte come lo sguardo della Triennale debba rivolgersi a interlocutori internazionali, rafforzando in Milano la vocazione europea e sovranazionale ma recuperando allo stesso tempo la capacità progettuale diretta al territorio che caratterizzò i suoi primi venti-trent’anni, quelli di Giò Ponti, nonché la capacità di selezionare oggetti in base innanzitutto alla loro funzionalità e conferire perciò il posto che merita all’arte applicata.

Altro intento del nuovo progetto è il consolidamento del legame di collaborazione con il Teatro alla Scala, la Pinacoteca di Brera e il Piccolo Teatro, senza dimenticare il mondo della moda che ha in Milano uno dei suoi riferimenti chiave.

Si evince perciò da questa conferenza stampa la volontà di rendere la Triennale un’istituzione aperta a tutte le arti, alla ricerca della possibilità di aprire nuove strade verso un mondo più vivibile.

Il sindaco assicura che vuole raddoppiare gli sforzi per dare, nella città metropolitana, sempre più spazio al verde e a questo fine è attiva una collaborazione con il Politecnico. Ci auguriamo di vederne al più presto i risultati.

Per ulteriori informazioni, vedi al link

https://www.dropbox.com/sh/9ortgknuyoylny5/AADPQLXeLImKH1YWMn7G7POpa?dl=0

(*) cfr Due spettacoli di Alessandro Sciarroni…

 

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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