Processo Marlane: 41 morti a rischio prescrizione

di Alexik

Ormai sappiamo tutto sulle indagini per il delitto di Brembate o sul processo per quello di Avetrana. Telegiornali e talk show ci hanno mostrato plastici, svelato ogni dettaglio insignificante, rilanciato la notizia anche quando non c’era nulla da dire. Peccato che quando l’assassino è il padrone, e non un tizio qualsiasi, questo non succeda mai, nemmeno se non si tratta di un singolo omicidio ma di strage.
E’ il caso del processo alla Marlane di Praia a mare che si sta svolgendo a Paola nel silenzio più assoluto, e che vede imputati per disastro ambientale doloso, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose nei confronti di più di 100 operai morti o malati, personaggi di grido come il conte Pietro Marzotto, il presidente del gruppo Marzotto (ex vicepresidente di Confindustria Veneto) Antonio Favrin, l’ex sindaco di Praia Carlo Lo Monaco oltre e altri 10 dirigenti della fabbrica. Di grido è anche il collegio difensivo che va da Ghedini fino a Di Noia e Calvi. Insomma, il gotha dell’avvocatura italiana contro le vedove degli operai.
I principi del foro hanno puntato da subito sulla prescrizione, contestando la competenza territoriale del Tribunale di Paola e ottenendo continui rinvii (ben 6 fra il 2011 e 2012), e forse in parte ce l’hanno fatta. E’ di questi giorni la richiesta della Procura della Repubblica di Paola di archiviare le posizioni di 41 lavoratori morti per tumore più di 15 anni fa. Il tempo trascorso, infatti, ha mandato in prescrizione per gli imputati nel procedimento il reato di omicidio colposo. Ora l’unica strada percorribile per scongiurarla e quella proposta dalle parti civili di riformulare i capi di imputazione in omicidio volontario . La decisione in merito spetta alla Procura paolana, sperando che la sentenza di appello ThyssenKrupp non si dimostri un pessimo precedente.
Come dicevo, il processo è completamente ignorato dai grandi media. Ne conosciamo le cronache grazie ai compagni dello Slai Cobas e di Medicina Democratica che vigilano sul suo svolgimento (visto che è un loro risultato dopo tanti anni di lotta) e ai blogs ambientalisti. Alcuni stralci delle udienze trasudano una particolare violenza: la violenza della chimica e della fabbrica, la violenza della malattia, la violenza del dolore per le vedove, la violenza dello scherno subito dagli operai e dai loro congiunti anche durante il processo.
“Venerdì 23 novembre è stata la volta di Farace Rosita, vedova dell’operaio Console Giuseppe. E’ una donna piccoletta, ma piena di energia e forza. Ha seduto , gentile e fragile, sul banco delle deposizioni e dopo aver timidamente ripetuto la formula del giuramento ha sfogato tutta la sua rabbia per quanto avvenuto a suo marito. Il racconto è terribile, commovente. Fa lacrimare gli occhi a molti presenti, non ai cinici avvocati della difesa padronale, che dalla loro trincea, cercano di contraddire la signora, ricordandole alcune dichiarazioni sue fatte nel 2002 a proposito dell’uso del latte nella fabbrica, come disintossicante. La signora Rosita, non ha paura nel dire le cose che ha detto. Un avvocato della trincea padronale ricorda cinicamente che anche suo figlio ha avuto un melanoma , per fortuna guarito, cercando di ammorbidirla, ma la signora risponde subito che “lei esuo figlio sono stati fortunati” . Console Giuseppe era entrato nella Marlane il 1° novembre del 1965 e vi ha lavorato per 28 anni, fino al 20 ottobre del 1992. Lavorava in un piccolo reparto di filatura proprio a ridosso della tintoria. Ne respirava le nebbie, i fumi, le polveri, tutto. La moglie ricorda, che quando ritornava a casa doveva togliersi la tuta fuori dall’abitazione e lei gliela lavava nel cortile per non portare le polveri in casa. Doveva farsi la doccia ogni giorno. La puzza che portava in casa era terribile. Il marito diceva tutto alla moglie di quanto avveniva in fabbrica. LE PARLAVA DI BIDONI AI QUALI TOGLIEVANO LE ETICHETTE DI PERICOLO. Di quando da uno di questi bidoni uscì un liquido che gli finì sulla gamba procurandogli delle bruciature. Delle continue lamentele fatte ai capi dell’azienda, essendo anche diventato un sindacalista della Cisl. Gli dicevano fatti i fatti tuoi. Poi nel 91 si è ammalato. La donna mostra commossa ed in lacrime la foto del marito. Aveva 43 anni quando morì, lasciando lei vedova ed un figlio di 12 Anni. Rosita, alza la voce, a questo punto, si vede che è molto arrabbiata con i padroni, vorrebbe gridare forse in quella triste sala del tribunale. Poi sviscera piano piano tutto il calvario del marito. L’enucleazione dell’occhio sinistro, i vari ricoveri fra l’ospedale del Cardarelli di Napoli e quello di Praia. Le umiliazioni avute nella fabbrica quando chiese di essere allontanato da quel reparto pieno di veleni e messo a sollevare con un carrello le merci di lavorazione. Console Giuseppe amava il figlio e non voleva farsi vedere in quelle condizioni di malato terminale. Quando per l’ultima volta venne ricoverato al Cardarelli di Napoli, non volle ritornare a casa. Non voleva che il figlio lo vedesse in quelle condizioni e nell’ospedale di Praia spirò. La signora Rosita quando esce dalla sala lascia un’aula raggelata dalle sue parole. C’è quasi difficoltà a riprendere le testimonianze ed il presidente da dieci minuti di sospensione quasi per riprendere fiato”.
Francesco Cirillo su http://scirocco.blog.tiscali.it/

“L’udienza del 21 dicembre 2012 è stata caratterizzata da momenti poco edificanti, ad iniziare dall’audizione del primo teste fresco d’intervento per la riduzione della massa tumorale. L’ex operaio già addetto all’impianto di depurazione è stato sottoposto al fuoco incrociato degli avvocati della difesa, senza riguardo alcuno per l’irreversibilità del male e per le condizioni di criticità, essendo questi alla seconda prova dato che la prima era abortita per palese impossibilità a proseguire.

La replica la si è avuta col secondo teste già tecnico addetto alla manutenzione degl’impianti e anche questo con patologia irreversibile. E’ stata una vera e propria tortura senza che alcuno spendesse una parola in sua difesa. Gli è stato chiesto insistentemente di descrivere il suo calvario, le caratteristiche del linfoma alla spina dorsale, i cicli di chemioterapia ai quali è stato sottoposto, la descrizione dell’ambiente di lavoro e il numero di sigarette fumate nonchè il numero di bicchieri di vino consumati a pranzo e a cena: la logica conclusione è stata un pianto dirotto, mentre tra gli avvocati serpeggiavano stupidi risolini di commiserazione. Il presidente, sempre pronto a commentare la scarsa conoscenza dell’ italiano, non si è sprecato nel difendere il decoro delle persone chiamate a deporre, non lo ha fatto il PM e neppure gli avvocati dell’accusa: e ciò è molto triste. Dei convocati ben cinque erano assenti giustificati perché deceduti”.

Comunicato stampa Slai Cobas Cosenza 23/12/2012

Al collegio difensivo dei padroni e dirigenti della Marzotto/Marlane e alla loro oscena ilarità dedico questa poesia di Edgar Lee Master.

JOHN M. CHURCH

Io ero il legale delle ferrovie “Q”
e della Indemnity Company che assicurava
i proprietari della miniera.
Ho influenzato giudici e giurie,
e le alte corti, per sconfiggere le rivendicazioni
degli infortunati, delle vedove e degli orfani,
e così mi sono fatto una fortuna.
L’associazione degli avvocati cantò le mie lodi
in un’altisonante delibera.
E numerose furono le corone funebri –
Ma i topi hanno divorato il mio cuore
e un serpente ha fatto il nido
dentro il mio cranio !

(Edgar Lee Master, Antologia di Spoon River)

BREVE NOTA

Questo post di Alexik è comparso , poi sparito e ora riappare in blog. Piccoli pasticci che ogni tanto succedono (anche perchè qui siamo in una dozzina a smanettare e tutte/i di fretta). Chiedo scusa a chi lo ha cercato. (db)

 

alexik

2 commenti

  • Questo post di Alexik è comparso , poi sparito e ora riappare in blog. Piccoli pasticci che ogni tanto succedono (anche perchè qui siamo in una dozzina a smanettare e tutte/i di fretta). Chiedo scusa a chi lo ha cercato. (db)

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