Progetti paralleli in Italia e in Nicaragua…
…il Ponte sullo Stretto di Messina e il Canale interoceanico.
di Bái Qiú’ēn
Era cambiato il consueto significato dei vocaboli. La sconsigliata audacia si chiamava coraggio, il cauto indugio timidezza, la moderazione viltà. Sicuro era considerato solo l’uomo violento, il sospetto circondava gli egregi cittadini (Tucidide, Storie, sec. V a.C.).
Il 15 aprile 1538 era un sabato, il «Sábado de Ramos» precedente la Pasqua cristiana. Un frate domenicano scese sul fondo del cratere Nindirí del vulcano Masaya (tuttora attivo), credendo che fosse pieno di oro e di argento allo stato liquido. In una mano reggeva una croce lignea come protezione dal demonio e nell’altra un martello per estrarre i preziosi e agognati minerali preziosi.
La sua vicenda fu narrata da Gonzalo Fernández de Oviedo con un evidente sarcasmo, soprattutto per l’idea strampalata che i bagliori provenienti dal fondo magmatico fossero appunto dovuti all’oro e all’argento, presenti in enormi quantità.
Blas del Castillo, queste erano le generalità del temerario e avido domenicano che si fece calare verso il fondo del cratere, l’«inferno di Masaya» secondo la definizione del suddetto Oviedo: «Parésçme quel atrevimiento é osadia deste frayle es el más temerario caso que he oydo, porque como he visto este infierno de Massaya é me acuerdo de su profundidad, me maravillo más de lo queste padre emprendió: è yo le tengo por más osado é codiçioso que sabio». Era tanta la voglia di arricchimento “facile e rapido” che compì varie discese, in alcune accompagnato da alcuni suoi sodali (in una occasione, il 30 aprile, furono in sette a scendere all’interno della cesta calata con corde trattenute da un buon numero di indios). Naturalmente estrassero numerose pietre laviche, importanti a livello geologico ma assolutamente senza alcun valore economico. Non riuscì ad arricchirsi e morì al ritorno di un viaggio in Spagna, ancora intenzionato a calarsi nella caldera ma, senza volerlo, divenne il primo vulcanologo del Nuovo Mondo.
La sua folle idea non scomparve con lui: nel 1551 un altro frate ormai utrasessantenne, Juan Álvarez de Toledo, tentò di organizzare duecento schiavi per raggiungere il fondo scavando un tunnel ed estrarre comodamente i minerali preziosi. Progetto del tutto irrealizzabile in base a qualunque ragionamento logico. Pure questo, infatti, finì nel nulla.
In ogni caso, la folle ricerca proseguì inutilmente con Juan Sánchez Portero, uno dei sodali di fray Blas, seguito dal carmelitano Alonso de Molina nel 1573 e da un tal Benito Morales nel 1586.
Morale della favola: occorse quasi mezzo secolo per convincere gli avidi conquistadores spagnoli che le ricchezze del vulcano Masaya erano una pura illusione.
Di sogni a occhi aperti continuano però a vivere altri personaggi sparsi un po’ dovunque sul nostro pianeta e non hanno alcuna volontà (o capacità) di mettere i piedi in terra, poiché credono fermamente nella possibilità di realizzare l’impossibile. Per cui, continuano a “vendere” le loro fantasie sul mercato della propaganda.
***
«Conto che entro dicembre 2024 venga approvato il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina». Matteo dixit.
«Sono sicuro che persino gli imprenditori nordamericani siano interessati al canale [del Nicaragua], perché fanno affari enormi e necessitano di un transito fluido attraverso le rotte marittime». Daniel dixit.
Le due dichiarazioni sopra riportate sono quasi contemporanee, rilasciate a pochi giorni di distanza nella seconda metà del novembre 2024.
Se esistessero le Olimpiadi dei progetti faraonici irrealizzabili e di chi la spara più grossa, la gara propagandistica tra il nostrano Matteo e l’immarcescibile Daniel potrebbe entusiasmare il mondo intero per vedere chi rinuncerà per primo a una idea folle e tecnicamente infattibile. In ogni caso, il banco riceve già le scommesse.
Si può tranquillamente tralasciare Matteo e il suo ponte, poiché tutti conosciamo ormai le problematiche che ne fanno rimandare di giorno in giorno l’avvio (qualcuno ricorda le famose calende greche?). per ciò che concerne l’altra folle illusione, dopo dieci anni di vera e propria agonia comatosa, nell’agosto 2024 il titanico progetto del canale interoceanico alternativo a quello di Panamá sembrava ormai morto e sepolto (o quanto meno annegato nel mare della propaganda): era annoverato come un classico cuento chino, ossia un racconto del tutto inventato. Ciò nonostante, alcuni credono fermamente che la sua realizzazione sia già a buon punto, persino all’estero.
Rispolverare il mito del Canale interoceanico ogni fine anno è infatti un “classico” della propaganda orteguista che tenta di galvanizzare i pochi fedeli rimasti con il miraggio del benessere per tutti i nicaraguensi. Coloro che credono nella propaganda hanno forse nutrito qualche dubbio sullo stato di avanzamento dell’opera proprio nel novembre 2024, quando Daniel ha presentato un nuovo progetto ancora più faraonico del precedente. La nuova idea geniale è un tracciato completamente diverso rispetto a quello originario, da realizzare più a Nord, di oltre 100 km più lungo e attraverso il Xolotlán (o Lago di Managua) invece che il Cocibolca. La proposta è stata fatta da Daniel direttamente a un buon numero di investitori cinesi al governo e indirettamente al governo di Pechino, che in teoria avrebbero la possibilità tecnica ed economica per realizzarlo. Se lo volessero e se davvero gli interessasse.
Gli scarni dati tecnici del nuovo tracciato (che dovrebbe andare da Bluefields sull’Atlantico all’attuale porto di Corinto sul Pacifico) sono: km 445 di lunghezza (poco meno della distanza tra Napoli e Bologna), tra i m 290 e i 540 di larghezza (come un’autostrada che varia da 70 a 135 corsie) con una profondità di m 27 (come un edificio di 9-10 piani). Dimensioni decisamente faraoniche, assai superiori all’esistente e operante canale di Panamá. Pechino avrà davvero la voglia di assumersi un rischio economico stratosferico? Oltre al nuovo tracciato, Daniel non ha proferito una sola parola sui dati tecnici ed economici per la realizzazione, né sulla tempistica. Ha soltanto accennato alla realizzazione in quattro “parti”, rispettivamente di km 70, km 55, km 252 e km 68 (non si sa se da realizzarsi in contemporanea o in tempi distinti). Con la necessaria costruzione di due chiuse (una a Est e una a Ovest) a causa del forte dislivello esistente tra i due oceani da collegare (circa m 30).
Inoltre, nessuno ha la minima idea se il nuovo tracciato corrisponda al precedente progetto ferroviario moderno e futurista annunciato nell’aprile 2024 (che dovrebbe realizzare sempre il gigante asiatico, nelle intenzioni orteguiste), visto che pure questo dovrebbe essere interoceanico, andando da Bluefields (con la costruzione di un nuovo porto) a Corinto su un tracciato di km 450 (km 5 più corto del canale). Pare un po’ utopistico realizzare entrambe queste opere megagalattiche quasi sullo stesso tracciato, esattamente come per il ponte sullo Stretto con tanto di binari per l’alta velocità. Ma basta insistere e ripetere, ripetere, ripetere… e l’utopia diverrà realtà (o resterà una semplice farsa alla quale nessuno ride).
Come realizzare i due segmenti da Bluefields al Xolotlán, in un territorio di selva tropicale senza vie di comunicazione adeguate, è un mistero. Oltretutto, distruggendo in buona parte la flora e la fauna ancora presente. Vero che la prima parte del tracciato di km 68 (da Bluefields verso Est) parrebbe corrispondere al corso del río Escondido (km 89), con tanto di realizzazione di un lago artificiale, ma la larghezza è decisamente inferiore alle dimensioni annunciate da Daniel (nei suoi punti più ampi al massimo m 20) e la profondità altrettanto (al massimo m 10).
Come evitare i rischi possibili causati dalla catena vulcanica ancora attiva che si distende al Nord del Xolotlán verso l’Honduras è un altro mistero (basti pensare al Cerro Negro che erutta cenere abbastanza di frequente – le ultime volte nel 1992, 1995 e 1999 -, ricoprendo il territorio da León al Pacifico a causa dei forti venti che soffiano in questa direzione).
Terso ma non ultimo mistero è dove prelevare l’acqua necessaria a riempire un canale delle dimensioni annunciate (a meno che non si pensi di “dirottarvi” tutta quella contenuta nel Xolotlán, peraltro contaminata fin dal 1929 e non sufficiente allo scopo).
È del tutto irrilevante che il nuovo tracciato presenti maggiori difficoltà di realizzazione rispetto al precedente e, di conseguenza, costi assai più elevati. Il che significa stratosferici rischi a livello economico, anche ammesso che sia davvero fattibile a livello tecnico. Finora nessuno ha avuto il piacere di vedere i progetti esecutivi di questa megaopera che, secondo il ministro dei trasporti Oscar Mujica avrebbe un costo di 64.500 milioni di dollari (con soli 4.409 milioni di entrate previste nella finanziaria del 2025). L’importante è “vendere” all’interno del Nicaragua un sogno che resterà tale e potrà essere propagandato all’infinito, anno dopo anno, con modifiche più o meno rilevanti.
Chissà se il nuovo tracciato è ritenuto una modifica “parziale” del precedente, come il mutamento della Costituzione? Inutile ragionare sopra questo vocabolo, trattandosi di Neolingua.
Qualcuno potrebbe suggerire a Daniel la lettura (con seguente meditazione) della commedia di Tito Maccio Plauto Miles gloriosus (tradotta dal latino in italiano con il titolo Il soldato fanfarone o Il soldato millantatore). Scritta tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., il personaggio principale, tal Pirgopolinice, pare vivere in un mondo fatto di narrazioni inventate e fantastiche (sempre spropositate e inverosimili), non in grado di mettersi in discussione e ritenendosi sempre nel giusto: «Badate, voi: il mio scudo deve sfolgorare più che i raggi del sole nel cielo più terso. Così che, se si presenta l’occasione, nel fuoco della battaglia, bruci gli occhi dei nemici. Io voglio consolarla, questa mia spada, che non si lamenti, poverina, e non si perda d’animo, poveraccia, poi che da troppo tempo la tengo in ozio mentre lei spasima dalla voglia di far polpette dei nemici». Sono numerose pure le edizioni in spagnolo di El soldado fanfarrón (la prima è forse quella pubblicata a Valencia nel 1816). Non a caso, parecchi secoli dopo, il francese Théophile Gautier riprese questo personaggio e lo trasformò nel più noto Capitan Fracassa (pubblicato in volume nel 1863).
Il pensiero logico non appartiene ai neuroni di Daniel, il quale ha affermato tra l’altro, parlando del vecchio tracciato attraverso il Cocibolca: «siempre existe el riesgo de un accidente en un lago de agua dulce». A parte il fatto che incidenti navali avvengono pure negli oceani (salati per definizione), forse crede possibile salare il Xolotlán (o, per lo meno, renderlo salmastro), per evitare i possibili incidenti? Forse il comandante fanfarone (o millantatore) crede possibile trasformare un lago di oltre 1.000 kmq in una grande piscina di acqua marina, come quella (decisamente più piccola) sul tetto dell’hotel Capri a La Habana?
Le difficoltà di realizzazione del nuovo tracciato sono gigantesche, come quelle per portare a termine il ponte sullo Stretto. Ma… avanti tutta con la propaganda! Qualche sardina che cade nella rete ci sarà sempre. E, «siempre la sardina se la come el tiburón» (Panchito Escombros, Carlos Mejía Godoy, 1973), sia esso Matteo o sia Daniel non fa molta differenza.
Per la cronaca, tra le modifiche “parziali” alla Costituzione, all’art. 102 del nuovo testo è stato inserito il comma: «Lo Stato può concedere concessioni per la costruzione e lo sfruttamento di un canale interoceanico. Le leggi in materia regoleranno le condizioni». Naturalmente, il «può» è pura Neolingua, avendo presentato il nuovo progetto nelle stesse ore della modifica al testo della Costituzione e le coincidenze non esistono.
Resta da analizzare, con le informazioni a disposizione, a cosa si deve il mutamento del tracciato del mega progetto? Di certo non alla maggiore fattibilità, al minore costo, al minore tempo per la realizzazione, come si è fin qui dimostrato.
Neppure la questione ambientale ha un peso nella decisione. All’orteguismo le valía verga che il vecchio tracciato passasse attraverso le riserve di biosfera al Sud del Paese e distruggesse la fauna acquatica del Cocibolca (compreso il mitico squalo di acqua dolce). Così come oggi le vale verga che la profondità media del Xolotlán non raggiunga i dieci metri (quella del canale di Panamá varia dai m 13 ai 14): resta un mistero come mantenere la profondità media di m 27 per consentire il passaggio di navi di grandi dimensioni. Abbassare il fondale di un lago e scavare un canale lungo centinaia di chilometri da Bluefields a Corinto significa togliere una quantità esorbitante di terra, roccia, sedimenti e quant’altro, per trasferirle chissà dove. Si tratta di tonnellate di materiale, ma è un problema insignificante e irrilevante per il governo orteguista (tanto ci penseranno i cinesi con la loro tecnologia e le loro capacità a trovare una soluzione fattibile).
A quanto pare, comunque, prima di fare questo annuncio sul nuovo tracciato, il Buon Governo di Daniel non ha assolutamente interpellato i governanti di Pechino. Per cui torna in mente un paragrafo di un articolo del giovane Gramsci: «C’è nella commedia popolare italiana una maschera (Arlecchino o Brighella, o un altro qualsiasi della bella schiera) che ottiene uno strepitoso successo ogni volta che ripete la sua particina cristallizzata nella formula: “Lo sai che mi sono fidanzato con la figlia del re del Perú? E il matrimonio è per metà concluso; capirai, manca l’assenso della ragazza, ma c’è già il mio…”». Che poi il Perù non avesse un re e di conseguenza non potesse esistere neppure una sua figlia, era del tutto secondario.
Il problema maggiore del vecchio tracciato era che, dopo aver espropriato con indennizzi irrisori numerose famiglie contadine nel Sud-Est del Paese, se proprio si voleva andare avanti con il vecchio progetto (in realtà mai avviato dopo la posa della “prima pietra” oltre dieci anni fa) occorreva espropriare alcuni proprietari di nazionalità statunitense. A causa dei rapporti sempre più tesi con Washington, pareva e pare infattibile poter trattare gli stranieri (in questo caso statunitensi) come i miserrimi nicaraguesi che non hanno alcun diritto di protestare: se lo fanno, rischiano non poco, come si è visto dal 2018 a oggi.
Secondo le stime ufficiali era necessario espropriare circa settemila famiglie nel Sud-Est del Paese, per un totale complessivo di circa trentamila individui. Non si sa con esattezza quanti siano tra costoro i proprietari terrieri statunitensi. Fossero anche soltanto trenta o addirittura tre gli statunitensi interessati all’esproprio, come si comporterebbe il governo di Washington? Di sicuro non starebbe a guardare e, di certo, è meglio non rischiare. Lo stesso Daniel ha ricordato che la storia dei “rapporti” tra il governo di Washington e il Nicaragua è strettamente connessa proprio alla questione del Canale interoceanico, fin dal XVIII secolo.
Il ridicolo della situazione è che, stando alle dichiarazioni ufficiali di vari esponenti cinesi di alto livello, al governo di Pechino già il tracciato originario non interessava: «è un affare privato» avevano dichiarato alcuni esponenti politici cinesi in varie occasioni. Ma il soggetto privato (Wang Jing) non era più in grado di rispettare gli impegni e nel maggio scorso il contratto con lui fu stracciato dal governo del Nicaragua, dopo aver preso in giro il popolo nicaraguense (e non solo) per oltre un decennio. Dal canto suo, il governo di Pechino è già più che “immanicato” con Panamá e con la Colombia per imbarcarsi in un’avventura economica di queste dimensioni e con l’arrivo di Trump avrà ben altre gatte da pelare con la minaccia di forti dazi sulle esportazioni dei prodotti negli Stati Uniti.
Come corollario, è assai probabile che Daniel e nessuno del “suo” governo non sia a conoscenza dei dati macro-economici del gigante cinese: come dovrebbe “investire” in un solo progetto faraonico oltre 60 miliardi di dollari (secondo le stime più ottimistiche necessarie per la realizzazione) quando il PIL del 2023 era poco meno di 18? Sarebbe il classico passo più lungo della gamba, altro che figlia del re del Perù.
La visione delle problematiche internazionali (soprattutto di tipo economico-commerciale) da parte di Daniel pare pertanto al livello rasoterra, ma occorre pur mettere qualche sogno sotto l’albero di Natale dei nicaraguensi condito con uno stantio antimperialismo parolaio, visto che festeggiare la nascita del bambinello di Nazaret con la classica gallina rellena non sarà possibile per tutti. Poco importa se, aprendo il pacco-regalo avvolto in carta color chicha con tanto di nastro rosso-nero (notevolmente sbiadito) per tenerlo ben chiuso, all’interno ci sarà la solita stantia aria fritta e rifritta.
Feliz Navidad, próspero año y felicidad.