Prospettive del conflitto israelo-palestinese

LECTIO MAGISTRALIS DI GIDEON LEVY

di Monica Macchi (*)

GideonLevy

«Israele è come certi maestosi alberi del New England in Usa, che sembrano solidissimi e forti, ma crollano all’improvviso, perché sono marci dal di dentro.

Ecco la società israeliana è ormai persa, ma dalle vostre società civili può arrivare una scossa, attraverso il boicottaggio e altre iniziative» – Gideon Levy

Il 9 dicembre alla Casa della Cultura di Milano, organizzata dall’associazione «Oltre il mare» e senza patrocini istituzionali, la conferenza stampa del pomeriggio è andata deserta ma all’incontro serale con Gideon Levy la sala era strapiena per ascoltare una versione lontana dal pensiero unico mainstream…eccola anche a voi.

Figlio di rifugiati europei, giornalista di Ha’aretz e di Internazionale, Gideon Levy si autodefinisce come il tipico prodotto del sistema socio-educativo israeliano: convinto dello status di vittima obbligata a una difesa permanente, non ha mai sentito parlare della Nakba fino agli anni ‘80 quando, durante la Prima Intifada, va in Cisgiordania come inviato e scopre «il dramma nel cortile dietro casa», dramma che pochi giornalisti documentano. E proprio per questo ha iniziato e continua a denunciare i crimini commessi ai danni dei palestinesi: «ci sarà un giorno in cui ci verrà chiesto conto di tutto questo. Ed è giusto che ne resti memoria. Gli israeliani non sono consapevoli e non sono informati, ma non potranno dire “io non sapevo”».

Il filo conduttore di questo intervento è la domanda di apertura che Levy fa al pubblico e a se stesso: «Perché un popolo generoso come gli israeliani che danno spesso aiuti nelle calamità internazionali (come è successo recentemente dopo il terremoto in Nepal e con i rifugiati siriani ospitati nelle sinagoghe di diversi Paesi) non ha dubbi morali e non protesta per il dramma e i crimini che sta compiendo contro i palestinesi?».

La risposta parte dalla constatazione che Israele è l’unico Stato al mondo con 3 regimi al suo interno: una democrazia liberale per gli ebrei (seppur resa debole e fragile da una legislazione anti-democratica); un regime discriminatorio per la minoranza palestinese (20% della popolazione) che partecipa solo formalmente; un regime totalitario e di apartheid nei Territori Occupati Militarmente. Dunque la prima cosa da fare è sfatare il mito di «Israele unica democrazia del Medio Oriente»: una democrazia non può essere “a metà” solo per un gruppo privilegiato di cittadini; o c’è uguaglianza o non c’è democrazia. E la seconda immagine iconica da abbattere è «l’eccezionalismo»: dall’unicità della Shoah per cui gli ebrei sono le uniche vittime della Storia… e anzi sono vittime anche degli occupati che impongono loro l’occupazione (Golda Meir è arrivata a dire «non perdoneremo mai i palestinesi per averci obbligato a uccidere i loro figli») fino alla convinzione di essere il «popolo eletto» per cui le norme del diritto internazionale valgono solo per gli altri popoli e non si applicano agli ebrei che hanno invece un diritto di origine divina la cui fonte è direttamente nella Bibbia. Parallelamente si sta assistendo anche da parte dei media a una deumanizzazione e criminalizzazione dei Palestinesi rappresentati come sub-umani (quindi obtorto collo non si possono neppure applicare i diritti umani a “loro”); sono «intrinsecamente cattivi», «nati per uccidere» e la recente «Intifada dei coltelli» viene raccontata come se accoltellare ebrei fosse il nuovo hobby degli adolescenti palestinesi… esattamente come altri adolescenti collezionano farfalle, figurine o francobolli.

Gideon Levy non vede quindi una possibilità di cambiamento endogena nella società israeliana, che negli anni è diventata sempre più nazionalista, razzista e militarista e delegittima voci coraggiose e impegnate come quella di «Breaking the silence», un’associazione che raccoglie e diffonde testimonianze di soldati sui crimini dell’occupazione. Ripone invece speranze in variabili esogene: non tanto nell’Europa troppo paralizzata dal suo passato e dalla sua storia né negli Stati Uniti che danno un supporto cieco e automatico a Israele al punto tale che Gideon Levy chiede provocatoriamente: «chi è il burattino e chi la super-potenza?»; ma ripone speranze nel Sud-Africa… o meglio nel modello del Sud-Africa. Infatti dopo un viaggio a Johannesburg, si è reso conto che l’apartheid è stato sconfitto dal boicottaggio e dal fatto che i responsabili siano stati chiamati a render conto dei loro comportamenti: solo la giustizia può disinnescare l’odio. E ha cambiato idea sull’ipotesi dei 2 Stati, di cui fu a lungo sostenitore. Visto che dal 1967 esiste un unico Stato ma il problema è il regime, propone di applicare il principio «una testa, un voto» perché «Israele non avrà altra scelta che accettare o essere costretta ad ammettere di praticare l’apartheid. E chi è disposto ad accettarlo nel 2015?».

(*) ripreso da «Associazione per i Diritti Umani»

 

 

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