«Prostitute in rivolta»

La lotta per i diritti delle sex workers. La prefazione di Barbara Bonomi Romagnoli e Giulia Garofalo Geymonat al libro di Molly Smith e Juno Mac

E’ un libro importante «Prostitute in rivolta» e ne riparleremo presto qui in “bottega” . Anzi auspichiamo più interventi e/o un dibattito.

Nell’attesa – per concessione dell’editore (Tamu) – ecco la prefazione

Nel dibattito pubblico italiano risuona la parola di molte persone su prostituzione e sex work; dal mondo accademico e dell’attivismo a quello politico, quasi mai si tratta delle protagoniste.

Il libro che avete fra le mani non è un’autobiografia condita di dettagli piccanti ma è un testo politico basato su storie vere, scritto da chi vive l’esperienza del sex work. Non solo. Chi scrive fa parte di un movimento transnazionale, quello delle lavoratrici e lavoratori del sesso, che negli ultimi dieci anni ha acquisito maggiore visibilità e conosciuto una presa di parola da parte di chi pratica il lavoro sessuale, che lo pratichi «per scelta», «per forza» o, come preferiscono dire le attiviste, «per circostanze». Si tratta di esperienze differenti e tutte hanno contribuito alle elaborazioni di critica che le sex worker hanno offerto da lungo tempo ai movimenti sociali, soprattutto ai femminismi, a partire dagli anni ’70.

Questo libro è l’espressione piena di questo desiderio di parola e di questa onda di rivolta, come suggerisce il titolo, con l’intento di restituire tutta la complessità dell’esperienza, senza cadere nella trappola di dover «difendere» a priori il proprio lavoro, romanticizzare il lavoro sessuale o minimizzarne i problemi. Le autrici Juno Mac e Molly Smith, entrambe sex worker e femministe, hanno militato nel gruppo Swarm (Sex Worker Advocacy and Resistance Movement), di base nel Regno Unito, e sono molto risolute nel dire: «Non pensiamo che le sex worker non subiscano danni sul lavoro, o che questi danni siano minimi e debbano essere trascurati. Al contrario, i danni subìti esercitando il lavoro sessuale – sfruttamento, aggressioni, arresti, incarcerazioni, sfratti ed espulsioni – sono il fulcro di questo libro». Al tempo stesso, le autrici rappresentano tutte le realtà di vita e lavoro che esistono al di là degli stereotipi della «puttana felice» e della «donna vittima salvata dalla prostituzione», sottolineando che «le voci delle non prostitute e delle ex prostitute non possono prevalere su quelle di chi vende sesso attualmente».

Il volume, pubblicato per la prima volta nel 2018 da Verso, casa editrice britannica punto di riferimento del mondo progressista radicale, ha riscosso un tale successo da essere ristampato nel 2020 e oggi è finalmente tradotto in italiano, permettendoci di conoscere lo sguardo lucido e materialista di due sex worker che intendono il lavoro sessuale come forma di lavoro riproduttivo nel sistema capitalistico, patriarcale e coloniale. Nella loro ricognizione smontano pezzo per pezzo le politiche che, in modo diretto o indiretto, criminalizzano chi fa lavoro sessuale, anche sotto le mentite spoglie di chi proclama di voler proteggere i loro diritti o reprimere chi le sfrutta.

Il testo è una disamina attenta dei vari modelli legislativi esistenti che mira a svelarne i meccanismi di controllo e discriminazione: come nel caso di quello svedese, sostenuto anche da molte femministe, che accanto alla criminalizzazione dei clienti nella pratica utilizza gli apparati polizieschi a fini repressivi verso le persone che vendono sesso, aumentandone notevolmente l’esposizione all’abuso, alla stigmatizzazione e – quando si tratta di sex worker migranti – alla deportazione. Tra l’altro, questo tipo di retorica femminista di «eliminazione della domanda» attrae gli uomini femministi, nel loro desiderio di essere «bravi ragazzi», spesso senza che si rendano conto della sottesa mentalità maschilista delle politiche di controllo.

Juno Mac e Molly Smith discutono anche argomenti difficili e scomodi, come il «sesso di sopravvivenza», la violenza o il consumo di droga tra chi vende sesso; rivendicano il diritto, come altre lavoratrici e lavoratori, di criticare l’ambito nel quale lavorano e di organizzarsi per cambiarlo, mettendo in discussione anche il concetto di empowerment laddove diventi un modo per indorare la pillola. Ricordano a chi legge anche un aspetto dato a volte per scontato, ossia che a vendere sesso sono persone di ogni cultura, etnia e fede, di tutti i generi e orientamenti sessuali, ma, al tempo stesso, questa importante varietà non toglie che «l’industria del sesso sia definita dall’identità di genere: la maggioranza di chi vende sesso è composta da donne, e la schiacciante maggioranza di chi lo acquista sono uomini». Anche per questo motivo le autrici riflettono sulla curiosa domanda che femministe anti-prostituzione e personalità politiche spesso rivolgono

alle sex worker, ossia se sarebbero ugualmente disposte a fare sesso con i propri clienti senza essere pagate. Richiesta bizzarra, che non riguarda solo le sex worker nel momento in cui «il lavoro viene costantemente proposto come un qualcosa di così gratificante da suscitare nell’individuo il desiderio di svolgerlo gratis»: con amara ironia Mac e Smith ricordano che anche le organizzazioni anti-prostituzione, seppur ricche di fondi, non offrono alcun compenso per gli stage proposti dalle loro strutture. Si riflettono sull’industria del sesso molte delle dinamiche di potere presenti in tutti i tipi di lavoro, con la grande differenza che riguarda la mancanza di riconoscimento e di diritti minimi per chi svolge lavoro sessuale. Un volume prezioso e necessario, quello che vi accingete a leggere, che con lucidità e autorevolezza dice quanto sia necessario costruire movimenti sociali capaci di includere realmente anche le rivendicazioni delle sex worker, per un mondo più giusto per tuttə.

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