Qualcosa si muove in Nicaragua?

Ben 222 prigionieri politici sono stati privati della nazionalità nicaraguense, imbarcati su un aereo e fatti atterrare a Washington. Tra loro Dora María Téllez, Víctor Hugo Tinoco ed Edgar Parrales, tutti ministri o viceministri nel governo sandinista degli anni Ottanta.

di Bái Qiú’ēn

Qualcosa si muove in Nicaragua?

di Bái Qiú’ēn

«Qui in Nicaragua non ci sono prigionieri politici», ha ribadito in svariate occasioni e da tempo il buon Daniel Ortega. Poi, però, appena l’Asamblea Nacional approva con procedura d’urgenza una modifica all’art. 21 della Costituzione, stabilendo che i traditori della Patria perdono la nazionalità nicaraguense, la stessa mattina del 9 febbraio la magistratura ordina la deportazione immediata di ben 222 (duecentoventidue) carcerati. Tra i quali spiccano i nomi di Dora María Téllez, Víctor Hugo Tinoco, Edgar Parrales (tutti ministri o viceministri nel governo sandinista degli anni Ottanta), oltre a vari Chamorro, a partire da Cristiana e i più noti oppositori di varie tendenze. Tutti 222 trasportati con vari bus all’aeroporto e poco dopo le 6 del mattino imbarcati su un volo charter della Omni Air International (con sede a Tulsa, Oklahoma): è una delle poche compagnie aeree disposte a cooperare con l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) in deportazioni controverse. È logico ritenere che questo Boeing 767-300 sia arrivato all’aeroporto di Managua la sera precedente. Il che non fa tornare i conti sulla tempistica e, oltretutto, secondo i dati delle associazioni per i diritti umani, comunque, i prigionieri politici sarebbero 245. Per cui non tutti sono stati deportati.

È infatti logico pensare che la decisione sia stata assunta ai più alti livelli ancora prima del voto dell’Asamblea Nacional e della “sentenza” della magistratura, che hanno assunto le loro decisioni quando l’aereo era già in volo verso l’aeroporto Dulles di Washington.

In base alla normativa vigente, però, una riforma costituzionale deve essere approvata in un anno e confermata nell’anno successivo, ossia nel prossimo 2024. Il che significa che, legalmente, questa modifica non è ancora in vigore e la deportazione è un puro atto illegale (ma le leggi in Nicaragua sono un optional).

Ciò che appare evidente è che debba esserci stato un accordo tra il governo nicaraguense e quello statunitense (immediatamente disposto a dare ai deportati lo status di rifugiati politici), come inizio di una trattativa a più ampio raggio. Per quanto Biden neghi qualsiasi trattativa e, tanto meno, una sorta di ristabilimento delle normali relazioni tra i due Paesi e un portavoce della Casa Bianca abbia affermato che si è trattato di una decisione unilaterale, non è azzardato ipotizzare che il probabile mediatore sia stato Humberto Ortega, che solo poche settimane fa si è incontrato con il fratello tentando di fargli mutare la linea intransigente (e ottusa) nei confronti dell’opposizione, che ormai non rappresenta alcun pericolo per le «magnifiche sorti e progressive» della più che teorica seconda fase della Rivoluzione.

C’è chi sostiene che il Potere abbia paura che qualcun altro, dopo il comandante Hugo Torres, possa morire praticamente in carcere e innescare una nuova protesta di massa, oggi meno gestibile rispetto al 2018. Per cui preferisce condannare all’esilio i carcerati, piuttosto che affrontare una nuova sollevazione, ben sapendo di non avere più alcuna influenza egemonica sulla maggioranza della popolazione. E non poter più contare sull’azione paramilitare dei vecchi combattenti storici.

Tutte le ipotesi sono credibili, persino che questa “mossa” rientri nella lotta interna tra lo stesso Daniel e la moglie Rosario, con relativi supporter al seguito e ormai di dominio pubblico.

Vista dal Nicaragua, dà quasi l’impressione che l’aria stia cambiando e Daniel stia recuperando un po’ del senno perduto (chissà se il fratello Humberto ha assunto il ruolo di Astolfo e sia andato sulla luna per riportare sulla terra il senno di Orlando-Daniel?). Purtroppo non si sa in quale direzione vada questa aria.

I più pessimisti parlano di una “mossa astuta” per non avere più la questione dei prigionieri politici sulle spalle e, forse, ottenere pure un alleggerimento delle sanzioni ad personam degli USA e della UE.

***

Nel tardo pomeriggio, a reti unificate, un soporifero Daniel ha intrattenuto il colto e l’inclita sugli straordinari eventi del mattino. Esordendo con l’affermazione netta e recisa che non c’è stato alcun accordo e che la decisione è stata unilaterale, un atto di sovranità. Come spesso accade nei suoi discorsi, però, dopo aver ricordato che l’elenco originario conteneva 228 nomi, ma alcuni si sono rifiutati di imbarcarsi, si è palesemente contraddetto affermando che l’accordo con l’ambasciata (ovviamente quella gringa) prevedeva di non imbarcare con la forza chi non voleva e altri non sono stati accettati perché colpevoli di reati comuni. Dal che se ne deduce che in aeroporto erano presenti funzionari dell’ambasciata gringa e che a loro spettava l’ultima parola su chi imbarcare e chi no.

Dal canto suo il segretario di Stato USA Antony Blinken ha affermato: «Questa decisione del governo del Nicaragua segna un passo costruttivo per affrontare le violazioni dei diritti umani nel Paese e apre la porta a un maggiore dialogo tra gli Stati Uniti e il Nicaragua su questioni che destano preoccupazione».

Fin dal mattino, sui social era iniziato il bombardamento dei messaggi: «dopo il discorso del comandante e della compañera, mettete a tutto volume la canzone Soberanía». Gironzolando per le strade del quartiere, un barrio storicamente sandinista, non abbiamo sentito da nessuna parte le note di questa canzone.

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