Quando il nemico si avvicina – 3

DESCRIZIONE SESTA

Alcuni sorgono improvvisamente dalle viscere della terra biascicando anatemi. Rigurgitano a milioni, in colonne interminabili, come formiche. Sono un esercito di locuste zoppe, avide dei nostri beni; sono una Piedigrotta funebre permanente,

la crudele menopausa precoce di una aspirante primipara. Sono la valanga di sventure che annuncia l’Apocalisse. La cancellazione definitiva dell’intelligenza, loro vocazione, dall’Orbe Terracqueo. Vi si applicano con la puntigliosa meticolosità dei licenziati delle Scuole Commerciali.
Nessuno conosce il loro vero aspetto. Alcuni sostengono si nascondano dietro vecchi giallognoli venditori di cravatte in quel di Cinatown, manovratori di tram extraurbani, o divoratori di spaghetti (e pannicolo) con pance rovesciate sopra cinghie di cuoio incartapecorito di Little Italy. Altri li rappresenta nella veste di piccoli sgraziati ex-WASP decaduti in seguito a secolari indegne turpitudini alimentari. Secondo l’Enciclopedia Britannica invece discendono da un gruppo di Bolscevichi sfuggiti alle fucilazioni in massa del ‘33, là nella vecchia e mortale Siberia; e avrebbero aspetti diversi a fini bellici, e necessità logistiche, provocati da interventi genetici sui cromosomi n. 47 e n. 48. C’è anche chi sostiene che si tratti di mostri ributtanti raccattati dal Demonio tra i sottoprodotti dei deliri lisergici di viaggiatori di commercio recidivi, arenati sul binario morto della dose uppercut. Saprebbero di orina e muffa come accade in certi cortili di palazzi popolari umbertini. Avrebbero tentacoli o chele, al posto delle mani. I patiti della parapsicologia affermano infine che siano incarnazione cinetiche di anime dannate estromesse dal Limbo per le mene di un medium anarchico convinto.
La verità è che gli Invasori si strutturano diligentemente sulla base delle forme che possiamo concepire. Essi siamo noi tramite le nostre invenzioni e l’opposizione di forze da queste ultime causate. Probabilmente rappresentano l’accozzaglia eterogenea che l’Universo, stanco dei tanti piccoli perfidi supercazzi del Bronx e della Magliana, avide pecorelle in cerca del bastone di Maresciallo, ha raccolto per inibire l’Umanità dall’esistenza.

DESCRIZIONE SETTIMA

Sono abilissimi sul piano della propaganda. Le guerre oggi si vincono organizzando raffinate campagne di public relations, a furia di primi piani e sorrisi e zinne gentili di donzelle imbesuite dalla disperazione catodica.
Bavosi signori cinquantenni in contemplazione darmica su poltrone Yoga Made in Italy ottengono orgasmi intellettuali favolosi e inavvertiti. Circuiti sempre più perfetti trasmettono stringhe volts baud byte paradisiaci di natiche senza smagliature e favole varie sulla pelle al femminile. I bavosi si rimpinzano di Coca-Cola e grandi fette di prosciutto Parma che bidoni in forma di donna predispongono sussiegose in fondo a tovaglioli girocollo e su tavolini estensibili. Sullo schermo lampeggia uno schianto al lamé piumato, circonfuso di luci. Lo schianto sculetta e fa intravedere la fica. Un fichino tenero e pulito da Cherubino. Vi fa piangere di tenerezza (il cinquantenne sussulta). Poi suggerisce di fare questo e quello, soprattutto comprare, e tutti fanno questo e quello, e si tira avanti con l’equivoco, la decadenza, e l’illusione d’autonomia diventano costume di vita.
Ad esempio. C’è una tipa con una faccia da libidine antica che sembra ebete per i troppi orgasmi. Parla continuamente dei paradisi nelle concimaie collaborazioniste e dei successi conseguiti nella lotta all’indigenza. Tutto vero. Sono sufficientemente abili per non mentire sui particolari. Promettono e mantengono. Soltanto che non è tutto. Sono stato nelle chiaviche che osano chiamare città (le poche che si sono salvate dalla distruzione cosmica). Ho trovato i vecchi tuguri di Napoli puliti come il culo di un adolescente al suo primo appuntamento, Elvetian-way-of-live. Mangiare costa due soldi e dovunque vada non ti imbrogliano sul prezzo. Ho visto zitelle eterne sorridere con denti di nicotina al toscano verde e la gente illusa fraternizzare invece di fissarsi in cagnesco. Dietro la facciata però c’è il resto, quello che conta; le menzogne del vecchio Ulianov, furbo e maligno; c’è l’oro tedesco e tutta quella roba che sapete. Ci sono anche donne in vestaglia, mascherate da fatine, che ti sventolano sotto il naso libretti di citazioni tratte dai loro programmi educativi, TV e Radio, costringendoti ad ascoltarle per ore (uno strazio indicibile) e a dire di sì, sì, va bene; e devi sembrare convinto, altrimenti ricominciano. Sono caratteriali mai viste, Fasolt e Fafnir della persuasione palese, docili all’apparenza, dentro nascondono una carica di aggressività prodigiosa. Lo si comprende dal modo in cui vi perquisiscono; dalla maligna avidità con cui cercano pubblicazioni porno, cartoncini dimessi a diecimila la dozzina; o dalle irrisioni che si concedono ogni volta che vi trovano in possesso di bustine di hashish con l’emblema della svastica, merce acquistata nel corso delle orge ribassiste dei lunedì neri. In quel caso incattiviscono sul serio e blaterano:
– Se fai il maschiaccio te lo tagliamo…
e sarebbero capaci (ci si accingono quasi), e sghignazzano come iene del deserto, e si compiacciono, si scompisciano, fan l’occhiolino l’un l’altra, felici per la mera circostanza di averlo detto. Son proprio tremende da guardare….
Fannulloni barbuti carichi di bidoni e bidoni colmi di proteine scientifiche (che distribuiscono gratuitamente alla popolazione) dan loro man forte. Aspettano che le fatine completino il loro lavoro e si spargono nei quartieri ficcanasando quanto più possono. Chiedono conto di tutto, esibendo l’arroganza di Brenno e la petulanza d’una suocera frustrata. Ai Datori di Lavoro chiedono in pagamento la giornata (assurdo!) in ragione di $20 l’ora. E bisogna pagare, altrimenti organizzano un sit-in in loco e denunciano il proprietario alla Milizia.
Dopodiché quello ha chiuso.

DESCRIZIONE OTTAVA

Questi tipacci di San Babila, il demonio li abbia in gloria, si scambiano alcune occhiate e decidono di avere i ceci bollenti al culo. Si tratta di dinoccolati karatechi da strapazzo saturi di streppa da scoppiare. Solo che respirino un po’ forte e la gente vicino entra in orbita gridando “Oh! Calcutta!” oppure “ci ho una voglia che mi farei anche la strega di Biancaneve!”. Vanno al Bar Sport, dove incontri strambi di tutti i generi, rompiteste accaniti come poche pochi, meridionali pazzi per le castagne lesse, sfaccendati delle borgate che darebbero via il culo per una fiutata, puttanelle in pelliccia che sbavano alla semplice vista di giacche di velluto e arie da Nembo Kid, et similia. Salutano gli amici. Giorno, ragazzi. Vado a fare il culo a pollastre in succhio dalle parti del Tibet, incazzate nere come Giovedì grasso di servizio, e con la mania dell’acqua e sapone. Cinesine. Indiane. Puttanelle musulmane. Intellettuali sfegatate che infilarglielo dentro è una spasso. Strillano come galline spennate vive, ma hanno solo bisogno dell’uomo che sappia farglielo sentire. Un bel posto Aldebaran, ve l’assicuro, vecchio; un posto per chi sa godersi la vita, per i forti, non per la gente qualunque, i pavidi, gli ammalati cronici e gli scarti genetici; la vita è fatta per coloro che hanno rotto le barriere, caro, per quelli che sono fuori, out, sì porcodiundio, me la sento nelle ossa la voglia di sfasciare il grugno agli imbecilli, mettermi sotto una manza in attesa del maschio giusto… e via che è un piacere ascoltarli, entusiasti e audaci, sembra d’essere tornati ai bei vecchi tempi, all’olio e alle manganellate.
Si imbarcano, dicevo. L’aereo in breve si trasforma in un cesso. Cicche, bottiglie vuote, barattoli e siringhe a profusione. Donne scosciate occhieggiano da superfici plastificate, iridescenti per triste libidine d’accatto. Loro non ci fanno caso, dicono “me ne frego!” e bevono birra a litri in grandi boccali di schiuma bianca ruscellante. Stanno da dio.
Lo sceicco però prende d’aceto e fa togliere tutto. Le donne devono essere rispettate, afferma. Stacca le 33×29 di lussuria industriale liquidando i proprietari in ragione di lire tremila la copia (quegli zozzi venderebbero la Vergine Maria, figuriamoci le foto hard delle amichette) e al loro posto sulle pareti transuraniche pone poster di Ingrés e Goya.
L’astronave continua ad avere l’aspetto di un cesso. Non importa. Ne hanno per poco. In un baleno (sonno ipnotico, dilatazione temporale, stasi, effetto doppler, ibernazione calda ecc.) arrivano sul bersaglio, caricano il desso, come sapete, e si defilano dalle parti di Proxima. Lì ricevono ordine di trasferirsi a Tokio. Il prigioniero sta bene, canta insieme a loro sguaiate filastrocche goliardiche e beve birra olandese divertendosi un mondo a sparare teorie incredibili sull’origine del Cosmo e a sturare lattine su lattine. Sembra un Guru avvinazzato. Parla in continuazione e pretende di cacciare a tutti il malocchio. Camminando rutta bestialmente, e scoreggia. Se ne fanno di risate! Una settimana da nave dei folli, iddio li perdoni. Sul più bello, hanno appena agganciato una puledrina rossa di pelo, una specie di drago che sputava fuoco dalle narici, arriva il rompiballe dell’ONU, e rovina tutto (buon per lui che porta la grana). Ma quello ha anche una borsa tipo medico condotto, ghigna adeguatamente, pone sul tavolo alcune mazzette, fogli freschi fruscianti, money della migliore, e dice:
– Bel lavoro ragazzi, ben fatto.
Poi fa una iniezione al mattoide deutch (una specie di antidoto, si è saputo in seguito) e mentre rimette l’ago nella borsa rompe una fialetta di gas nervino concentrata al mille per uno. Non dico altro.
Immaginatevi la scena.

COME DEBELLARE IL NEMICO

a) Normalizzazione (Geremiadi)
b) Risalire alle cause (Descrizioni)

Antichi e moderni sudaticci guardoni dell’esistenza, all’er-ta. Siamo nell’emergenza totale dell’estrema unzione, momenti della verità che somigliano a paradisi artificiali Baudelairiani; siamo sulla linea del non ritorno, alla pauperizzazione definitiva del nostro patrimonio genetico-ideale. Siamo all’ultima dilazione amministrativa, alle acquiescenze della viltà, nell’oblio dei doveri, e sopra Scale Sante che ci scorticheranno il portafoglio senza assicurarci mai allo 0,8% di adeguamento forfettario al tasso d’inflazione programmato. Siamo negli inferni dissipatori dell’avarizia, nell’assoluto della tragedia.
All’erta, amici. Alzatevi dalle rive dei fiumi melmosi delle vostre illusioni, in attesa di farcite limacce in sembianza di nemici personali, androidi gonfi di vermi rosicchiatori di Mein Kampf nuova maniera e liriche D’Annunziane sul sesso e la natura: entità sature di particelle subatomiche irradiate con veleno H che passano a miglior vita rendendo grazie. Il nemico fa piovere sui prati di girasole, sulle piazzole d’emergenza, sulle corsie di sorpasso, acqua pesante e pensieri di corruzione. Armi che bruciano il DNA, riserva vitale di inchiostro per la Bibbia del nostro futuro. Sono le armi della morte lenta, armi che torturano le anime col puro progresso dell’Inferno in Terra: Prosperosi Androidi Femmina, assetate di sangue, dilaniatrici di prepuzi maleodoranti di smegma, si aggirano per continenti infestati da fantasmi; raggi paralizzanti bloccano le funzioni neurovegetative; Robot a cavallo rapiscono bambini e li infilano sopra lame al duralluminio esponendone i corpi come trofei sportivi; donne sguaiate corrono per la strada manifestando a gran voce la loro incondizionata disponibilità. Il silenzio e la desolazione.
Ovunque cataste di cadaveri. Esseri semiputrefatti, ciechi e sordi, camminano tra file sterminate di superbuilding con facciate di rubino, zombie teconologici dell’ultimo secolo il cui fetore si confonde con le emanazioni pestifere di Porto Marghera, Londra ed Entre Rios. Mucchi di immondizie agli angoli delle strade avvisano dell’inizio della decadenza, Gotterdammerung di contabili e traffichini ad altissimo livello. Intorno alle immondizie torme di poltergeist d’epoca danzano gighe gioiose, mentre donne in pelliccia vengono sbeffeggiate ovunque.
Questa è la cultura cancerogena, e colerica, e luetica, dissipativa, che avete coltivato nelle vostre teste, imbelli succubi di suocere pubblicistiche, ingoiatori instancabili di bistecche calibrate e formaggi marca cose buone dal mondo; questa è l’anatema della pace, grandine pestifera dei giorni di festa. Questa è l’eredità dispersa a danno dei pronipoti, i quali bussano una volta sì e una no alle soglie dei vostri sacchi spermatici ricordandovi che aspettano il loro turno, che s’aspettano qualcosa, sì, proprio da voi, sepolti vivi in incubi cartacei e in tombe dell’amor proprio, eretici estimatori di tramonti impolverati, mai visti e conosciuti.

(segue)

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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