Quanto inquina «Repubblica»?

di Antonio Talia (*)

Biani-dirittoEspressione

Su «Il giornale» di ieri un lungo articolo di Stefano Filippi (disponibile qui http://ow.ly/K6ZZb ) racconta il caso dei plagi attribuiti a Federico Rampini: da mesi la brava @MarionSarah – traduttrice di razza per «Il Foglio» e «Rivista Studio» – conduce con l’hashtag ‪#‎Rampinomics‬ una campagna per dimostrare che buona parte della copiosa produzione del corrispondente a New York di «Repubblica» è in realtà frutto di un banale e scorretto copia-incolla dai media Usa, intervallato di tanto in tanto da qualche svolazzo dell’autore. Siccome nel pezzo vengo direttamente chiamato in causa per un altro caso simile che ha visto protagonista «Repubblica» ormai tre anni fa (questo: http://ow.ly/K70Bc), mi sembra una buona occasione per mettere in fila alcune questioni che non riguardano solo gli addetti ai lavori ma soprattutto chi si informa ogni giorno, quindi in pratica ognuno di noi.

La prima questione è che nonostante l’articolo del «Giornale» e l’attivismo di Sarah, oggi e nei prossimi giorni non succederà nulla.
Niente.
Zero.
«Repubblica» non ribatterà alle accuse, Federico Rampini non scriverà un pezzo nel quale illustra il suo metodo di ricerca e selezione delle fonti, Ezio Mauro non fornirà alcuna spiegazione ai lettori.
E l’Ordine dei Giornalisti, questo inutile organismo che dovrebbe (anche) vigilare su questioni deontologiche, si guarderà bene dall’intervenire.

I motivi del silenzio, a mio avviso, sono numerosi: le accuse provengono da un quotidiano, «Il Giornale», che ha più o meno l’autorevolezza del cugino Paperoga; «Repubblica» non ingaggia mai polemiche dirette (specialmente se l’interlocutore è più debole) ma preferisce sempre assumere strategicamente una posizione finto-distaccata; i lettori di «Repubblica» sono talmente coinvolti dalla visione del mondo promossa dal loro quotidiano preferito che chi sferra un attacco diventa – nel giro di, uhm, cinque secondi circa – un berlusconiano/grillino/antagonista dei centri sociali/ nemico di turno a scelta.
In breve: porre un dubbio sull’operato dei giornalisti di «Repubblica» significa automaticamente entrare in quella vorticosa girandola di sospetti nota come “dibattito pubblico italiano”, nella quale non conta la fondatezza di quello che stai argomentando ma la caccia alle tue eventuali affiliazioni.
Perché se poni un dubbio di questo genere lo stai facendo di sicuro per un tornaconto personale, sei mandato da qualcuno (magari la favolosa “Struttura Delta”) e in definitiva hai qualcosa da nascondere.
Il che, mutatis mutandis, equivale un po’ a dire che se un team di specialisti annuncia che il Metodo Stamina per curare il cancro è una pericolosa cazzata, invece di verificare e contestare il metodo scientifico che li ha condotti a quella conclusione si correrà tutti a indagare sui loro legami con le lobby internazionali del farmaco.

Questo atteggiamento, secondo me, rappresenta il principale fattore di inquinamento della vita pubblica italiana, ma siccome faccio il giornalista mi limiterò a elencare una serie di fatti che riguardano il metodo con cui «Repubblica» ha inquinato le notizie, lasciando a chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui la scelta di decidere se lo faccio perché ho a cuore un’informazione basata sulla competizione leale e un’opinione pubblica informata, o se invece sto a libro paga della Struttura Delta.

  1. Il Gruppo Repubblica- L’Espresso vanta come corrispondente dagli Usa e direttore di Radio Capital un personaggio come Vittorio Zucconi, che nel 1989 venne sbeffeggiato da «New York Times» e «Chicago Tribune» per aver raccontato una visita di Boris Eltsin alla quale non aveva partecipato, pur descrivendola con dovizia di particolari sul numero di bottiglie di vodka consumate dal leader russo (http://ow.ly/K7cgc). A quanto pare, invece di una dura reprimenda, questo e altri exploit gli hanno garantito una luminosa carriera.
  2. Tra gli inviati di punta di «Repubblica» c’è Paolo Berizzi, autore di audaci inchieste come quella sul pane tossico proveniente dalla Romania, cotto con legna riciclata dalle bare (http://ow.ly/K7cXp). Tuttavia, basta fermarsi un istante a riflettere per capire che il pane comune non viene cotto nei forni a legna e che questa pratica renderebbe molto più costosa, e quindi inutile, l’economia di scala stile Frankenstein ricavata dall’attività di profanatori di tombe (http://ow.ly/K7dDO). Anche Berizzi è protagonista di una luminosa carriera.
  3. Il vaticanista di «Repubblica», Marco Ansaldo, è stato al centro di una controversia con il Patriarca di Costantinopoli per un’intervista che, secondo il portavoce del Patriarca stesso, non si sarebbe mai svolta (http://ow.ly/K7e66 ). Resta il dubbio, legittimo, sul vantaggio che il portavoce potrebbe avere tratto dallo smentire un’intervista davvero realizzata.
  4. Sul fronte Vaticano, «Repubblica» non si fa davvero mancare nulla: il fondatore Eugenio Scalfari è stato smentito due volte dalla sala stampa papale in merito alle parole attribuite al pontefice (http://ow.ly/K7eVk) e ha dichiarato candidamente di avere scritto dei virgolettati “come se fossero usciti dalla bocca del Papa”, e di non avere né registrato né preso appunti. Come dire che, se c’è un metodo fissato dal Fondatore, allora non si vede per quale ragione i giornalisti non dovrebbero seguirne il solco. Non approfondisco la questione dell’interpretare le parole del Papa perché uscirei dal campo del metodo giornalistico per entrare in quello psicologico del narcisismo, che non mi compete.
  5. Mi tocca tornare su questioni personali: il 4 gennaio scorso Giampaolo Visetti ha pubblicato questa scusa http://ow.ly/K7gbi , scusandosi per aver attribuito una “frase sbagliata” al professore coreano Hyung-Gu Lynn in un articolo precedente. Il punto è che Giampaolo Visetti non ha mai intervistato Lynn né per mail né per telefono né di persona, come lo stesso professore ha dichiarato in una lettera inviata a Visetti, al capo degli Esteri e al direttore di «Repubblica» che allego qui come prova. Inutile dire che Visetti, autore di molte altre prodezze del genere (http://ow.ly/K7gRh), rimane indisturbato al suo posto per ragioni francamente inspiegabili.

La lista potrebbe continuare a lungo, ma se fossi un analista o un criminologo mi apparirebbe chiaro che siamo di fronte a un pattern, ovvero un percorso preciso e non casuale, dettato da ragioni tutte da indagare. Sono sicuro che questo pattern si possa applicare ad altre testate (perché la cialtroneria non ha confini) ma il punto centrale è che nessuna di esse è dotata della capacità di forgiare le opinioni quanto «Repubblica»: se da un grande potere derivano grandi responsabilità, direi che il senso di responsabilità di Largo Fochetti è pari a quello di un 15enne che continua a fare il deficiente in giro, perché tanto il papi rimedierà a tutto.

Se fossi un giornalista che adotta il metodo corrente in Italia potrei iniziare a trarre delle conclusioni senza indagare, magari immaginando che questo percorso venga dettato da un ambiente lavorativo poco interessato a verificare le notizie, nel quale a chi svolge il suo lavoro con scrupolo (e a «Repubblica» ce ne sono tanti, ma non fanno carriera) si preferisce chi pubblica storie adattate a “una certa idea del mondo” anziché la verità, perché queste storie sono esattamente quello che il pubblico si aspetta. E chi se ne frega se si tratta di disinformazione.

Se poi fossi il direttore di un giornale, adotterei lo stesso metodo adottato da «Repubblica» nelle famose “Dieci Domande”, e chiederei al direttore Ezio Mauro se è a conoscenza della situazione che vige nel suo giornale e se intende fare qualcosa per porre rimedio.

Ma siccome non esiste in Italia un giornale talmente autorevole da pubblicare le “Domande a Repubblica” – e se ci fosse il direttore non sarei io – non posso fare altro che scrivere un post come questo, lasciando a chi legge di valutare l’impatto negativo che questa situazione genera sull’opinione pubblica italiana.

E ora scusatemi: corro a incassare l’assegno della Struttura Delta.

(*) Io non sono su «Facebook» ma un’amica mi segnala questo intervento che mi sembra documentato e utile. Lo riprendo senza cambiare una virgola ma “rubando” una bella vignetta di Biani da «il manifesto». Anche io, da anni, provo a spiegare (qualcosa trovate persino su questa bottega-blog) in giro che «Repubblica» inquina. Chissà quanti arretrati mi deve la Struttura Delta; se la trovo… mi sentiranno (db).

 

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