Quelle dighe in Amazzonia: l’incontro…

di Alberto Autelitano ad Altamira con un vecchio indio

Leggendo in “bottega” l’inchiesta di David Lifodi sulle dighe, ho pensato che questi miei vecchi appunti di viaggio potessero interessarvi. [A. A.]

Maggio 2015, Altamira

L’aeroporto è stato riaperto da circa una settimana. Era bloccato per le manifestazioni delle popolazioni indigene. Gli indios dell’Amazzonia brasiliana stanno protestando contro la realizzazione della diga di Belomonte. Diventerà il terzo impianto mondiale di produzione di energia elettrica, dopo quello cinese delle Tre gole e quello brasiliano realizzato nell’Iguacu.

Le proteste stanno continuando con sbarramenti sulla strada che porta all’impianto in fase di costruzione. La situazione è complessa. Respirando l’aria del luogo si comprende che è molto più complicata di quel che si può leggere in rete.

Altamira è una città difficile, governata dai fazenderos – qui, nel 2005, fu assassinata “Irma Doroty” (*) – e con una microcriminalità fuori controllo; gli assalti sono a frequenza quotidiana.

Gli indios sono in una posizione delicata: vivevano in autosufficienza con i prodotti della loro terra ma sono stati sfrattati con rimborsi ridicoli.

Mario, un indio di circa 70 anni, mi ha raccontato in 2 ore di chiacchiere informali, di fronte a un cafezinho, come stanno le cose. Lui viveva in una casa con 5 fratelli e il rimborso ricevuto dopo lo sfratto non è sufficiente a comprare, in paese, una casa sufficiente per tutta la famiglia, senza considerare la perdita della terra coltivabile che gli consentiva l’autosufficienza.

La tensione in città nei confronti degli indios è alta, anche perché il governo brasiliano garantisce a ogni indigeno per legge un sussidio corrispondente al salario minimo. In una città dove il lavoro non è garantito certo non suscita simpatia chi riceve un salario senza dover lavorare.

In città c’è una casa degli indios, una specie di istituto di accoglienza dove diverse famiglie hanno trovato alloggio, non ho saputo a quali condizioni. L’istituto è presidiato a tempo pieno dalla polizia e quando ho tentato di entrare per dialogare un po’ mi hanno ovviamente rimandato all’ufficio competente per avere i permessi necessari. Purtroppo non mi è stato possibile, per mancanza di tempo, provarci.

Ma la chiacchierata con Mario mi ha appagato: con una calma invidiabile e cercando di parlare un portoghese lento e corretto mi ha raccontato quanto sia esplosa la loro rabbia dopo che hanno capito come la situazione fosse diversa rispetto al “racconto” delle autorità. La loro vita è stravolta, non solo per la situazione economica ma perché sono obbligati ad adattarsi a un tipo di vita, quella cittadina, non conforme ai loro costumi e tradizioni.

Una città come Altamira uccide qualsiasi fantasia. Chi vende bibite e patatine non apre le inferriate per passarti la bottiglia di acqua che hai comprato. Qui poco più di niente è già un capitale da difendere.

Alla fine della chiacchierata Mario mi ha ringraziato per la pazienza e attenzione: mi sono sentito una merda perché ero io che volevo ringraziare lui per avermi aperto una finestra sul suo mondo. Poi riflettendo ho pensato che c’era reciprocità: io con il mio interesse personale e lui che ha potuto raccontare la sua verità a uno straniero, un europeo che forse ne parlerà ad altri; e forse saranno meno soli e varrà quasi quanto uno dei fuochi di sbarramento sulla strada che va alla diga di Belomonte.

(*) A proposito di “Irmã Dorote” o Irma Doroty, cfr in “bottega” il post: Suor Dorothy Stang, martire della terra

LE IMMAGINI – trovate in rete e scelte dalla redazione della “bottega” – rimandano a maniìfestazioni solidali contro il saccheggio e la distruzione dell’Amazzonia. (db)

 

Redazione
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Un commento

  • Il reportage risale al 2015, ma sembra scritto ieri. Purtroppo la costruzione delle dighe prolifera in tutta l’America latina ed è divenuto un mezzo per estromettere e cacciare le comunità indigene, oltre che per far arricchire i soliti noti. Credo che anche i governi di centrosinistra dovrebbero opporsi con molta maggior decisione a grandi opere di questo tipo e invece, solo per rimanere in Brasile, anche le presidenze petiste hanno colpevolmente investito molto sulla costruzione delle centrali idroelettriche, aprendo così pericolosi legami con imprese tipo Odebrecht, Camargo Correa ecc…
    Grazie, Alberto, per il reportage e, se ne hai altri, inviali a Daniele per la pubblicazione in Bottega.

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