Questioni sull’immigrazione: aldilà dei problemi e delle opportunità

Questi giorni con gli eventi di Ventimiglia, Roma e Treviso, torna la questione immigrazione sulla prima pagina dei giornali. Torna la sindrome dell’assedio. Torna lo scontro tra “buoni” e “cattivi”. Molti, anche tra i buoni, cominciano a pensarla con la Merkel: “non possiamo portarli tutti qui da noi.” Altri hanno già fatto il passo e hanno superato la barriera del “non siamo razzisti ma…” per andare verso un discorso e un atteggiamento apertamente razzisti, violenti, esclusivi, perché ormai tale discorso è sdoganato a alti esponenti delle istituzioni. Se il vice presidente del senato può dare della scimmia a una parlamentare nera, se un parlamentare europeo può dire che i Rom sono la feccia dell’umanità… senza subire conseguenze, allora perché non si potrebbero bruciare i campi Rom? Perché non si possono aggredire i profughi? Perché non si potrebbe esultare se muoiono in mare? Nel frattempo il paese va a frantumi e 80 mila giovani vanno a cercare futuro altrove.

naufragio. Foto: F. Bueno

L’uomo “nero” è sempre in agguato

In Italia, la paura “dell’uomo nero” torna ciclicamente poi scompare per un po’ poi torna di nuovo. Ci ricordiamo tutti la paura del romeno stupratore che ha preceduto la rielezione del governo Berlusconi nel 2008. Sembrava che dietro ogni albero si nascondesse un romeno in calore, pronto ad assalire la dolce ragazza o la brava massaia (italiane ovviamente) di passaggio. Il dibattito andò avanti per mesi. Vi partecipò tutta la stampa. E anche quella presunta di sinistra non si tirò indietro e lanciò la sua pietra sull’immigrato cattivo e ingrato come ad esempio nel dibattito avvelenato lanciato su La Repubblica dalla lettera intitolata: Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista.

Il razzismo si stava svelando un ottimo fondo di commercio elettorale e il Centro sinistra italiano voleva anche lui partecipare al banchetto. Poco dopo il governo Prodi adottava “Provvedimenti immediati e forti contro la violenza nelle strade delle città italiane” facilitando l’espulsione, perché è ovvio che la violenza sono gli stranieri. E Walter Veltroni allora in campagna elettorale per un nuovo mandato alla testa del Comune di Roma contro un Alemanno che era alla testa dei cori razzisti, dichiarò: «prima dell’ingresso della Romania nell’Unione europea, Roma era la città più sicura del mondo». Peccato per loro che ogni volta che la sinistra imita la destra, la gente preferisce votare l’originale invece che la fotocopia. E nonostante il loro discorso razzista persero entrambe quelle elezioni. Poi durante l’era Berlusconi, l’immigrato violento è scomparso dalle prime pagine. Il paese era di nuovo tornato ad essere il più tranquillo del mondo.

Oggi l’immigrazione torna in prima pagina. Perché ci sono aumenti drammatici dei numeri? Le statistiche non lo dimostrano. Anzi vedremo più avanti che è l’esatto contrario. Cosa succede allora? Cosa spinge la gente a uscire per le strade contro i Rom, contro i profughi, contro i migranti? C’è la crisi. Una crisi senza precedenti e alla quale la classe politica non è assolutamente in grado di dare risposte. Allora ci vuole il capro espiatorio, ci vogliono gli scontri di strada, lo spauracchio dell’estrema destra che sale, sale. E va a finire che l’estrema destra sale per davvero.

Invece di affrontare i problemi alla base ci si scontra sul destino di qualche migliaia di profughi: buttiamoli a mare, dice la destra; accogliamoli come fratelli, dice la chiesa; facciamone una risorsa, dice la sinistra.

Cos’è l’immigrato o il profugo che sbarca da un gommone a Lampesua o scende da un aereo o da un pullman a Roma o Milano? È un problema? Un occasione per fare opera di carità e meritarsi il paradiso? Oppure è una opportunità, una risorsa economica e culturale? Sono decenni che il dibattito sull’immigrazione non solo in Europa ma in tutti i paesi ricchi del mondo, si riassume in queste tre posizioni. Sono decenni che la politica sia livello locale, nazionale che mondiale rifiuta di guardare il problema alle sue radici. Rifiuta di superare la domanda: Cosa farne una volta arrivati ai confini del mondo ricco? Rifiuta di porsi la domanda: perché partono? E perché in condizioni sempre più disperate?

Ma perché partono?

Mi ricordo come oggi, quando verso fine anni 80, il Signor Michel Camdessus girava l’Africa per dettare le condizioni del Fondo monetario Internazionale riguardo ai debiti accumulati dai paesi del continente. La cortina di ferro era caduta e il pericolo di una adesione di massa dell’Africa al blocco socialista non c’era più. E allora le banche sono venute a chiedere il rimborso delle somme versate ai governi africani “amici”. Somme in realtà in larga parte ritornate nelle casse delle stesse banche ma sui conti personali dei dittatori e delle loro famiglie. La ricetta che proponeva il Sig. Camdessus era molto semplice: meno scuola, meno cultura, meno sanità pubblica, meno settore pubblico… privatizzare tutto. Nessuna riforma costituzionale, nessuna lotta alla corruzione, nessuna esigenza di trasparenza, nessuna riduzione degli sprechi dei governanti…

L’Africa emigrava già da un paio di secoli. Volontariamente o involontariamente, la mano d’opera africana era esportata verso il resto del mondo. Ma almeno dalla fine della tratta degli schiavi fino ad allora, la gente aveva migrato in condizioni dignitose. Chi se lo poteva permettere, prendeva l’aereo o la nave e si recava in Europa o in America per cercare un lavoro meglio retribuito. Chi restava in paese aveva riusciva a costruirsi una vita dignitosa.

All’inizio degli anni 90 comincia ad apparire il fenomeno dei “desperados” della migrazione. Giovani che dai paesi dell’Africa subsahariana partono a piedi o con mezzi di trasporto di fortuna, senza documenti e con pochi soldi in tasca: direzione Nord. Sono decine, poi centinaia poi migliaia. Mi ricordo che nel 1992 sono andato in vacanza a Tamanrasset, nell’estremo sud dell’Algeria. E già c’era un ghetto di migranti. Gente che sostava lì in una specie di bidonville indescrivibile, in attesa di trovare una occasione verso il mare. Si entrava da Bordj Bagi Mokhtar, la punta più a Sud del Maghreb, ma la destinazione era verso il Nord del Marocco o verso la Tunisia e la Libia, laddove le coste del Nord Africa e dell’Europa si sfiorano. Nonostante le condizioni disumane del viaggio, nonostante le aggressioni, le violenze, le umiliazioni e la morte in agguato, i numeri di candidati all’immigrazione a tutti i costi sono aumentati in modo costante.

È già a quella epoca che bisognava porsi la domanda. Non “perché arrivano da noi e cosa ne facciamo?” ma “perché partono?”

Problema o risorsa?

“L’immigrazione è una risorsa, non un problema.” ha sempre ribadito la sinistra italiana dall’adozione di quella prima legge sull’immigrazione firmata nel lontano 1990 dal socialista Claudio Martelli.

In effetti l’immigrazione è stata una risorsa economica ma a favore del padronato e delle mafie della falsa accoglienza e della vera reppressione. L’Italia doveva il suo miracolo economico a una formula che assomiglia a quella cinese di oggi: fare prodotti in concorrenza con quelli dei grandi paesi industriali ma con una mano d’opera che costava meno della metà. Negli anni 90 quella formula era ormai obsoleta. Da una parte, grazie alle lotte, l’operaio italiano aveva acquisito molti vantaggi e migliorato di molto la propria condizione. Dall’altra entravano in scena nuove potenze economiche i cui lavoratori guadagnavano 10 volte meno di quello italiano. Le leggi sull’immigrazione adottate in Italia furono fate su misura per fornire all’industria, all’edilizia e all’agricoltura italiana una nuova mano d’opera portatrice di meno diritti e pretese. L’arrivo di milioni di immigrati ha permesso ai padroni italiani di rimandare per qualche anno la delocalizzazione o la chiusura. Ma non ha fatto che rimandare i problemi a oggi.

Come al solito, invece di affrontare il problema alla base. Riformare, modernizzare il sistema produttivo, investire sulla ricerca e l’innovazione, incoraggiare la qualità… si è scelto un escamotage. Intanto c’era questa mana di dio che premeva alla porta e ogni anno confindustria faceva pressione sul governo per aumentare le quote di ingresso. Ma siccome si trattava anche di mantenere queste popolazioni nella precarietà e lo stato di forza lavoro usa e getta, bisognava lamentarsi in continuazione dei numeri troppo alti, dell’eterna emergenza immigrazione.

L’immigrato non è né un problema né una risorsa. É un essere umano. Un essere umano che come tutti gli altri è portatore di potenziale positivo e negativo. É spesso una persona forte, decisa e pronta a fare di tutto per farcela. Quello che farà dipende da quello che troverà nella società di arrivo. Se la società è onesta e laboriosa, l’immigrato si integrerà tramite il lavoro e il rispetto delle regole. Se è una società corrotta e criminogena allora l’integrazione si farà anche tramite le attività illegali, la violenza, la corruzione, la criminalità organizzata. L’immigrato è sempre l’ultimo arrivato, quello che ha diritto ai lavori meno pagati e più difficili, sporchi e pericolosi. E questo in tutti i settori dell’economia formale e informale. E se alcuni di questi settori sono lo spaccio di droga e la prostituzione (ad esempio) allora l’immigrato sarà la parte più esposta e più visibile di queste industrie: lo spacciatore e la prostituta di strada. e nei settori economici formali se basati sul lavoro nero (com’è buona parte dell’economia italiana) allora l’immigrato sarà il bracciante sudanese senza contratto, pagato 2 euro all’ora, che si accascia sotto il sole cocente del Gargano. Sarà il marocchino che pomperà i pesticidi senza protezioni sotto le serre a Imperia o a San Remo o il romeno che si arrampica senza adeguate protezioni sull’impalcatura di casa tua.

Ma se lo fanno è perché un sistema malato glielo impone, non perché a loro piace lavorare e vivere (o morire) in quelle condizioni.

Il problema è solo nostro?

L’emigrazione è un grande problema innanzitutto per i paesi di partenza più che per quelli di arrivo. Campagne abbandonate, economia svuotata, partenza dei giovani, dei talenti, dei potenziali, delle intelligenze, demotivazione, smembramento delle famiglie, bambini che crescono senza genitori…

Questo non vuol dire che dietro all’arrivo in massa di popolazioni diverse non ci siano problemi. I problemi ci sono e sono numerosi. E il ritmo e i quantitativi di popolazioni in spostamento negli ultimi decenni rendono questi problemi sempre più duri da risolvere, con tempi più stretti e sempre meno risorse. Ma vuol dire due cose in particolare:

1. il problema dell’immigrazione in un territorio si adegua alla gestione del territorio stesso. In un territorio gestito bene anche l’immigrazione porterà un suo contributo alla ricchezza generale. In un territorio mal gestito anche l’immigrazione porterà il suo contributo al disordine generale. Ed è certo che un governo razionale delle questioni legate all’immigrazione rende la convivenza più facile e i processi di interazione più benefici. Ma la questione della “governance” (come si dice in  certi ambienti bene) non può essere posta per la sola immigrazione.

2. la questione dei flussi è globale e riguarda quasi tutti i paesi del mondo. I paesi più colpiti con i flussi di migranti e di profughi non sono i paesi ricchi (Europa, Nord America, Giappone, Australia, Paesi del Golfo Persico..) anche se sono spesso quelli che si lamentano di più. Le masse più impressionanti di migranti e profughi sono nei paesi poveri. Quelli giusto un po’ meno poveri del paese vicino o quelli che stanno accanto a nazioni che subiscono una situazione di guerra o di calamità naturali. Basta pensare a paesi come il Libano o la Giordania che subiscono da anni la presenza di milioni di profughi palestinesi, iracheni e siriani, mentre l’Europa fa a botte per spartirsi quelle poche decine di migliaia che riescono ad arrivarci. Quindi le questioni dei flussi vanno affrontate a livello globale e alla base. Ed è questo problema globale che la politica rifiuta di guardare in faccia.

Che fare se non vuoi affrontare i tuoi problemi?

Oggi non solo la situazione del Sud del mondo è peggiorata ma i mali che lo colpiscono stanno arrivando alle porte dell’Europa. L’Africa è tutto un rogo. Guerre ovunque. La terra e le risorse sono sempre più monopolizzate dalle multinazionali senza nessuna ricaduta positiva sul territorio. Guerra e multinazionali sembra essere il destino di tutti i paesi in via di sviluppo e non solo. Ormai parte del Nord Africa e del Medio oriente si trova nella stessa situazione. Guerre e multinazionali che continuano a pompare ricchezze in mezzo alla confusione. Ma la brutta notizia è che quelli che hanno messo in moto la macchina infernale per il terzo mondo, oggi sono seduti al capezzale della Grecia, del Portogallo, della Spagna e dell’Italia. La Signora Lagarde ha sostituito il Signor Camdessus, ma la lista delle raccomandazioni del fondo monetario sono rimaste le stesse: meno scuola, meno sanità, meno cultura…

Non appena arrivate le politiche di austerità, i giovani del Sud Europa hanno ripreso la strada dell’emigrazione. In Italia per la prima volta da 20 anni i flussi in arrivo diminuiscono e aumenta il numero di residenti stranieri che lasciano l’Italia. Invece è notevole l’aumento di emigranti (anche se la parola è ormai scomparsa dal vocabolario sostituita da “italiani residenti all’estero”) italiani verso l’estero (vedere rapporti Istat e Aire del 2014).

Un giorno dopo la morte di Mohammed che raccoglieva pomodori nella pianura di Foggia, Ilario, un giovane italiano della provincia di Sondrio, cadeva in un canale di irrigazione e moriva annegato in una diga nei pressi della tenuta agricola australiana dove lavorava come bracciante. Ilario non è morto per le condizioni particolarmente dure del lavoro come Mohammad. Ma la sua morte mette in luce i circa 15.000 giovani italiani sfruttati nelle piantagioni australiane come braccia a basso costo. L’emergenza è quindi di emigrazione o di immigrazione? Di che cosa stiamo parlando tutti i giorni in Tv? Perché si affronta il problema immigrazione invece di guardare alle radici stesse della crisi? Perché la politica (e quindi anche la stampa a lei collegata) non ha risposte da dare. E quindi? E quindi, la formula è vecchia come il mondo: “sbatti il mostro in prima pagina!”

La Grecia insegna

L’esempio della Grecia ce lo racconta molto chiaramente come la questione immigrazione sia un fattore di distrazione dai problemi veri. All’inizio della crisi, in Grecia crescevano i pogrom contro gli immigrati. Alba dorata apparsa dal nulla era diventata il primo partito del paese. Ma quando una coalizione di sinistra ha preso le proprie responsabilità e tentato una narrazione della crisi che non è quella delle lobby e delle banche la speranza è rinata e la gente ha smesso di vedere nei migranti la fonte di tutti i loro mali. Questo almeno fino alla nuova impasse in cui è entrata la trattativa tra il governo greco e le istanze europee. Ora, se saranno solo i poveri a pagare la crisi, sicuramente i pogrom riprenderanno e Alba dorata ricomincerà a brillare.

In Italia, dall’Inizio della crisi, Salvini è in Tv tutti i giorni e a tutte le ore. La Lega che era quasi morta è resuscitata miracolosamente. E con lei sono risuscitati spettri di altri tempi che finora erano nascosti nelle catacombe della storia. Ce n’è bisogno. The show must go on!

É chiaro quindi che la questione immigrazione, pur non priva di problematicità, sembra la madre di tutti i problemi soltanto perché chi ne ha la capacità e i mezzi: politica e media, lo usa per togliere l’attenzione da quelli veri. Per continuare a gestire giorno dopo giorno un sistema che sta mandando il pianeta in frantumi. Per distogliere l’attenzione dal fatto che le risorse si stanno raccogliendo tra le mani di una fetta sempre più ridotta di persone e che le frontiere tra la povertà e la ricchezza si stanno muovendo velocemente. Il dibattito che si fa qui sugli africani, gli est-europei e i mediorientali, in svizzera si fa già sugli europei del sud. E il referendum dell’anno scorso per limitare le quote di immigrati non riguardavano quella extracomunitaria che era da sempre limitata ma quella europea. Nel mirino erano gli Italiani, Spagnoli e Portoghesi sempre più numerosi nelle città della Confederazione elvetica.

Insomma dire che non esiste il problema delle migrazioni o che l’immigrazione è solo un bene è una menzogna. Dire che esiste solo il problema dell’immigrazione è una truffa. Una truffa che per farci dimenticare il fatto che la casa ci sta crollando addosso concentra tutta l’attenzione sull’opportunità o meno di blindare le porte e le finestre.

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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