Questo ci fa la paura – di Mark Adin

E’ stata la Sacra Corona Unita, è stato il terrorismo. Nel mistero della prima ipotesi si contemplano la prossimità degli ultimi arresti di mafiosi, la contiguità del passaggio in loco della carovana di don Ciotti, il nome stesso della scuola colpita; nella seconda ipotesi il ritorno della strategia della tensione. In un primo tempo sono state scartate le congetture riguardanti singoli individui con volontà criminogena: chissà perché, da noi, i Breivik non sono previsti, da noi solo colpe collettive. Trovo strano che nessuno abbia chiamato in causa gli anarchici, forse si sono accorti di averli ormai spesi in ogni depistaggio.

Poi hanno aiutato le telecamere di sorveglianza, che pare abbiano ripreso l’attentatore, solo, nel far esplodere l’ordigno con ausilio di telecomando. Per fortuna esistono le telecamere e le intercettazioni, senza le quali la maggior parte delle indagini non arriverebbe a nulla. La vecchia investigazione deduttiva è caduta in disgrazia, senza tecnologia la polizia “brancola nel buio”.

Altri alludono, vellicano ipotesi legate alla sinistra contemporaneità con la chiusura di una strana campagna elettorale; strana perché marginale, amministrativa, però importante in quanto test. Saremmo a una svolta importante, nella quale i sondaggi danno come vittoriosa la compagine grillina: nel bene e nel male quella più lontana dal sistema politico attuale, quella già definita “eversiva”. Vedremo presto.

Grillo stesso, dopo essersi scontrato dialetticamente col suo omologo Gene Gnocchi nella piazza che più rappresenta lo scontro tra vecchio e nuovo, Parma, davanti a questo nuovo spaventoso dramma insinua un’ipotesi, ponendo una domanda sensata: “A chi servirà questa bomba?”.

La domanda è pertinente. La separazione tra causa ed effetto ha una sua utilità: proviamo a prenderla in considerazione.

La logica del cui prodest, evidentemente, non basta a se stessa, ma è pur sempre una strada per tentare di comprendere un fatto, di fronte alla barbarie del quale ognuno libera i sentimenti di difesa più diretti, più di pancia: ciascuno vuole giustizia, che, tradotto, significa eliminazione del pericolo e punizione dell’autore. E si confonde l’una con l’altro, perché la cosa più importante per l’emotività è  vedere punito, se possibile in modo cruento, il responsabile materiale.

Tornando a bomba (in tutti i sensi), è lecito chiedersi chi possa trarre vantaggio da un crimine tanto orrendo, il cui orrore è stato accresciuto, come al solito, da un giornalismo pezzente, che ha bisogno dei particolari più crudi per fare audience, amplificando la forza del crimine, lavorando a fianco dei killer e non delle vittime.

Non si confonda la dietrologia (chi c’è dietro un fatto, chi ne è l’autore?) con il cui prodest (a chi giova, chi ne trae beneficio?). Mi pare innegabile che, ogni qualvolta venga messo in atto un crimine che terrorizza (terrorismo, appunto) ci assalga la paura, che ci pone nel suo particolare stato d’animo emotivo. Sotto l’influenza del terrore, qualora si debba scegliere tra vecchio e nuovo si finisce per tenersi il vecchio, si mantiene ciò che si conosce, piuttosto che andare verso l’ignoto. Questo ci fa la paura. E chi trae vantaggio dalla paura? Risposta: la conservazione. Del resto, è un film già visto.

La paura seminata nella folla ne fa un’arma terribile, perché non c’è niente di più reazionario della folla terrorizzata. E paghiamo la nostra indole collettivamente. Berlusconi e il berlusconismo, Mussolini e il fascismo, e potrei continuare, sono state realtà rese possibili da questo modo viscerale di intendere le cose, da questo “essere folla”. E’ nella nostra natura. E’ un connotato della nostra psicologia di massa. Ricordiamo tutti, credo, la campagna elettorale delle destre incentrata sulla “sicurezza”.

Ho letto con grande interesse un articolo, a firma Gianni Genre, apparso sul settimanale “Riforma” del 18 maggio 2012, nel quale si offre un punto di vista, penso di poter dire, inconsueto. Parlando della strage commessa da Breivik, militante nazista e killer, nella quale furono uccisi settantasette             giovani studentesse e studenti, si fa notare che per l’assassino stragista sia prevista una pena massima di ventuno anni, che verranno probabilmente ridotti di un terzo dal tribunale norvegese, una pena che nel nostro Paese sarebbe giudicata assolutamente incongrua e insufficiente.

L’estensore dell’articolo risale, nello spiegare questa differenza tra due modi di intendere la giustizia, a un divario culturale profondo, a due diverse radici culturali.

“Il padre di uno dei ragazzi scannati ha detto che è estremamente doloroso ascoltare e vedere Breivik avere questi atteggiamenti, (di insopportabile irrisione dei genitori delle vittime, ndr) ma che vivere in democrazia significa ascoltare ciò che non vorremmo mai ascoltare”.

Di fronte al frequentatore nazista di Casa Pound, che ha sparso il sangue a Firenze con motivazioni simili al macellaio norvegese, ma per fortuna con molti meno morti ammazzati, il candido Sindaco margheritino Renzi  tenne a precisare, a caldo, che l’attentatore “non era di Firenze”.

Beh, una certa differenza sembra balzare agli occhi.

 

Mark Adin

 

Redazione
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Un commento

  • Marco Pacifici

    Grande Mark come sempre …condivido agiungendo una piccola cosa:tutti dicono quanto Melissa , la NOSTRA cucciol assassinata dall’ennesima “STRAGE DI STATO” fosse bella e solare e simpatica…ma se fosse stata brutta depressa e magari “extracomunitaria….

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