Ragionare di violenza – di Mark Adin

Nella Storia non esistono i fatti, esistono i testimoni. Dunque esistono punti di vista. Non è una scienza esatta, la Storia. Chi la scrive lo sa e non può fare l’ipocrita.

Nella Storia esistono i morti, anzi sono loro a scrivere: di loro stessi. Ma, a volte, spariscono anche quelli, nelle foibe, negli oceani, nelle fosse comuni, passano per i camini, si sciolgono nell’acido. E allora tacciono.

Una cosa è certa: qualcuno è responsabile di quei morti. Qualcuno ha usato un’arma conosciuta dal tempo dell’uomo, che ha un nome che la Storia conosce bene: violenza.

E anche noi la conosciamo, nessuno escluso, magari nella sua espressione minima, molecolare, forse uno schiaffo ricevuto. Chi non ha provato su di sé la violenza non può dire di conoscerla davvero. La violenza bisogna provarla, ma bisogna anche somministrarla, sentire sulla propria palma di mano il bruciore dello schiaffo  tirato, e guardare negli occhi chi lo ha ricevuto, vedere nel suo sguardo quel misto di dolore, di risentito sgomento, che può prendere due strade, l’una ad abbassarlo del tutto e l’altra a reagire, a sua volta, con rabbia.

Ho provato entrambe, ho assaggiato colpi sulle labbra e sul naso, ho sentito il sapore del mio sangue, e ho provato l’urto del pugno che finisce sul viso di un amico, la mano dolente e gonfia. Esperienze minime, che tutti sarebbe bene facessero quando sono ancora relativamente innocue, da ragazzini, rotolandosi nella polvere di una strada, senza nessun adulto che intervenga per  separare, affinché possa compiersi fino in fondo  l’esperienza che ne discende, ovvero avvertire il senso di potenza oppure di sconfitta, entrambi devastanti, percepiti prima del successivo esaurirsi.

Un padre guardava suo figlio smanettare  un videogioco splatter dove i morti si accatastavano, squartati e annegati in fiumi di sangue. Lo colpiva la sua lontananza, il suo distacco. Era preoccupato. Un giorno il figlio venne aggredito, in compagnia di amici, da una gang di ragazzini che cercavano di rapinarli. L’inevitabile preoccupazione lasciò presto il posto al sollievo. Come padre sapeva che era importante, per suo figlio, vaccinarsi. Non si preoccupò più, pensando che andava bene così. Quel padre non era impazzito.

La violenza c’è. E’ linguaggio della natura,  a volte persino leva del mondo, maieuta, levatrice. Esiste, e spesso fa da motore. Si dissolve nell’orrore di Kurtz, nella sua allucinazione prelusiva alla morte, nella evocazione del grande mistero. Esiste, ineliminabile.

La non violenza è su Marte.

Ciò che discrimina, meglio dire qualifica, la violenza è unicamente come la si utilizza. Per questo siamo uomini: per distinguerci dalle fiere. Non sempre ci si riesce. Anche se, collettivamente, può capitare che sia proprio la Storia, a richiederlo.

Mark Adin

 

 

Redazione
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7 commenti

  • Apprezzo molto la mancanza di moralismo di questo post…

  • Tale ragionamento, mi sembra una puerile giustificazione della violenza, che
    nel corso dei secoli ha distrutto la vita dei figli e delle madri e non è approdato a nulla di buono, altrimenti non ci sarebbero nel mondo tante guerre.
    Non ci bastano i disastri per la furia della natura? Non possiamo ognuno di noi
    portarci più rispetto l’un laltro, senza azzanarci come cani?
    Per fortuna non vivrò a lungo per assistere al totale disfacimento di valori, mi spiace solo per i parenti e gli amici che lascerò.
    *****
    “Poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini,
    è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace”-
    Costituzione dell’UNESCO, 1945, preambolo”.
    Ognuno ha i suoi canoni di comportamento e io non posso fare a meno di essere coerente con me stessa, anche se sono l’ultima cimice della terra!
    Grazie
    M. Teresa

  • M. Teresa, scusa se ti faccio un appunto, o meglio, una precisazione.
    E’ vero che le guerre nascono nelle menti degli uomini, occorrerebbe aggiungere però che nascono nelle menti degli uomini quotati in borsa,
    non nelle menti di chi non ha futuro e subisce l’orrenda violenza del potere sulla propria pelle tutti i giorni e non ha voce. Qui il rispetto non c’entra nulla, il potere non ha rispetto per nessuno.
    La resistenza è un valore

  • Alle riserve del tipo che M.Teresa avanza è sempre difficile rispondere. La voglia di pace, concordia e fratellanza è tale che ci si sente smuovere nelle fondamenta. L’unica è ripercorrere la strada proposta da Ginodicostanzo. Stare con i piedi ben piantati in terra. Dire del pane che è pane e del vino che è vino, senza timore di incorrere in scomuniche o nei rinproveri densi e pericolosi delle autoscomuniche (gli oscuri sensi di colpi che tutti ci portiamo dietro).
    D’altronde riconoscere la realtà dell’uomo, la presenza della violenza nel nostro intimo (della violenza e della sopraffazione: negli uomini e nelle donne) non vuol dire ammetterla. Al contrario rappresenta l’unica possibilità che abbiamo per contenerla e in prospettiva QUASI del tutto abolirla. Se il ripudio è vero, frutto di una maturazione esistenziale, non mero ideale la strada è questa.
    Guardare in faccia le verità sgradevoli è un altro valore.

  • Gentili Ginodicostanzo e Miglieruolo, penso che per molti sia più facile distruggere le cose del bene comune, o azzerare la netta identità di talune persone di cui non condividiamo le scelte..
    La giustizia sociale è divenuta una mera utopia e il profitto assoluto in ogni tipo di categoria regna sovrano, spesso solo per ottenere il superfluo,
    Nessuno ha voglia di ridemensionarsi e di limitare la propria avidità.
    La colpa quindi è estesa e diffusa, non è solo di tecnocrati della finanza, ma di ogni piccolo furbastro che tende a fregare il proprio vicino, pur di far soldi alla svelta.. La buona economia di un paese dovrebbe paragonarsi a quella di una famiglia, dove una madre assennata, non fa mai il passo più lungo della gamba, ma livella il suo bilancio secondo le proprie possibilità e considera persino le spese impreviste.
    Ognuno di voi avrà avuto una madre che si è levata il pane di bocca affinché il figlio potesse studiare o intraprendere una vita migliore. Ciascuno di noi, poveri, diversi emarginati, ha subito una carrettata di umiliazioni e continua a subirle, si indigna e si dispera invano. Potrei parlare in proprio, paralizzata con una ridicola pensione statale, il mutuo da pagare, con tre figli che ho mantenuto e fatto studiare etcc.
    A mio parere, se vogliamo arginare la crisi, come urgenza culturale e sociale, come punto fermo, bisogna rimettere al centro del nostro universo, la famiglia e la persona. Infatti anche la più umile donna può insegnarci qualcosa e ha delle doti da potenziare e valorizzare, a favore della comunità.
    Spesso nei caseggiati nemmeno ci si saluta, La vita è un soffio, cerchiamo di essere almeno più solidali con le persone sole e bisognose.
    Il momento è grave e ci sono delle priorità generali da affrontare alla svelta per il futuro dei giovani e nostro.Tenendo però presente, che alcuni doveri e valori basilari, non possono essere negoziabili per la dignità umana.
    Inutile dire, che rispetto il Vostro punto di vista e ringrazio per questa civile discussione e per la cortesia di averla intavolata con me.
    M. Teresa

  • Personalmente non vedo nel post di Mark Adin una giustificazione della violenza. Riconoscerla in sé stessi è il primo passo.Come genitore, poi, come faccio a vietare a mio figlio di conoscerla? Non devo forse augurarmi che cresca sviluppando una propria coscienza non perché io gli ho nascosto o vietato delle cose ma perché l’ho accompagnato?
    Sabato, anche se non ero a Roma, mi pare che i manifestanti, nella stragrande maggioranza, non fossero nonviolenti ma pacifici, pacifici significa che sto tranquillo fino a quando non ritengo di essere autorizzato ad utilizzare la violenza. Una violenza che magari non voglio sporcarmi ad utilizzare e, quindi, delego. La delego ai soldati impegnati nei vari scenari di guerre colonialiste in cui siamo impegnati per garantirci il nostro livello di vita. La delego alle FFOO perché carichino i violenti. Magari come Di Pietro, da pacifico, auspico che la polizia possa ammazzarli lì dove sono quei violenti.
    In TV sabato ho visto un gruppo di persone interporsi tra i giovani riottanti e le FFOO, ne hanno ricevuto una scarica di lacrimogeni e un po’ di manganellate ma non si sono tirati indietro e non hanno mutato atteggiamento. Al contrario ho sentito di spezzoni di corteo che si sono fermati per favorire le cariche della polizia.
    Nella narrazione (visto che il termine piace lo uso) del movimento degli indignati di altri Paesi i media di regime, ops, mainstream (da Repubblica ai vari TG) hanno evangelizzato la pacificità di quei movimenti. In questa affabulazione si dimenticano di dire che le prime comparse non sono state “pacifiche” ma, anche in Spagna, sono state bruciate auto e infrante vetrine.
    Il clima cambia se le persone che manifestano hanno l’opportunità di fermarsi, di fermare il tempo attorno a loro (come accamparsi per settimane non tornando a casa) e confrontarsi realmente, dal basso, senza profeti e senza stipendiati. La situazione cambia quando le decisioni non vengono più assunte da professionisti della politica e dei movimenti ma condivisi da chi vi partecipa.
    Spero tanto che i ragazzi che erano a Roma trovino la capacità di non farsi prendere dal delirio sulla violenza dei manifestanti ma, invece, maturino insieme una nuova consapevolezza non facendosi intimidire e piantando davvero le tende in giro per l’Italia. Una consapevolezza che non può nascere da sentimenti di esclusione ma solo di accoglienza.

  • Caro Mark, uno dei tuoi post più corti ha scatenato un vespaio tra i più verbosi. Hai toccato due argomenti che solleticano l’intervento: La Storia e la Violenza. I precedenti commenti hanno ben approfondito la concreta, attuale realtà. Io però vorrei dire la mia come la civetta di Minerva.
    Sono d’accordo con te che la Storia è un punto di vista, quello dei vincitori o delle maggioranze, quasi mai dalle minoranze o dei perdenti. Occorre prendere atto che la Storia troppo spesso non è verità oggettiva, così come non lo è l’immagine di ciascuno di noi nella società: spesso noi non siamo ciò che pensiamo di essere, ma siamo quello che il nostro prossimo pensa di noi, giusto o sbagliato che sia. Noi e la Storia siamo solo un punto di vista.
    La Violenza dei grandi massacri delle guerre e dei genocidi, si cala in forma più moderata a nostra compagna di tutti i giorni, condimento imprescindibile e spesso inconsapevole di moltissime nostre azioni: la guida aggressiva, il sacrosanto sberlone educativo somministrato al figlio bocciato, l’acquisto delle due fettine di manzo al supermercato (siamo complici della cattività e dell’uccisione di detto manzo), il nostro collega a cui abbiamo “fatto le scarpe”, l’umana tendenza al benessere e alla ricchezza, che inevitabilmente la si ottiene a scapito di qualcun altro, sfruttato, che se ne deve privare in qualche misura (il lavoro precario o “nero”, o più in grande, il travaso di ricchezza tra Occidente e Terzo Mondo). Noi umani, che vogliamo distinguerci dalle fiere, siamo gli unici animali (esclusi forse il gatto e il furetto, che comunque sono frutto di ibridazione umana) che esercitano la violenza anche per divertimento. Dà fastidio pensarlo, ma la violenza purtroppo fa parte della nostra natura. C’è solo da sperare che l’evoluzione un giorno ce ne privi, ma sarà, se sarà, un giorno molto lontano. E come cantavano i Nomadi, noi non ci saremo.

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