Rastrellate gli zingari, «nemici della nazione»

Daniela Pia ricorda l’infamia del fascismo contro rom e sinti

L’11 settembre 1940 dal ministero degli Interni del Regno d’Italia fu emanato un telegramma che disponeva il rastrellamento e il concentramento degli «zingari»: «nemici della nazione» così furono definiti i rom e i sinti dal regime fascista e inclusi nel programma che li avrebbe poi condotti nei campi di concentramento. Dopo un mese, il 30 ottobre 1940, il Capo della polizia indirizzò ai prefetti del Regno e al questore di Roma la Circolare telegrafica 75265, dove si leggeva:

«Pregasi far tenere Ministero immancabilmente entro dieci novembre prossimo un prospetto concernente attuazione data circolare telegrafica 11 settembre ultimo n. 10.63469 [recte: 63462] distinguendo numericamente zingari concentrati stessi Comuni da cui sono originari da quelli concentrati in determinata diversa località et inoltre zingari sussidiati norma citata circolare da quelli che mantengonsi con loro lavoro punto

Dovrà infine essere indicato quali provvedimenti siansi adottati per minorenni specificando per ognuna delle categorie predette quanti siano minori anni 18 et come questi siano stati sistemati

Pel Ministro [Mussolini], Bocchini» (*).

Ma della politica repressiva contro gli “zingari” si hanno si hanno notizie fin dal 1922 e per tutta l’epoca fascista fi no alle leggi razziali del 1938: respingimenti, intimidazioni, allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano. Fra il 1938 e il 1940 furono emanati gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine e il loro confino in Sardegna. Dal 1940 al 1943 partirono gli arresti di tutti e la creazione di specifici campi di concentramento sul territorio italiano. Politiche che divennero via via più repressive, giustificate dai soliti stereotipi che individuava rom e sinti come un problema per la sicurezza pubblica. La persecuzione nei loro confronti fu comunque mascherata (in Italia come altrove) tanto che, anche molto tempo dopo la guerra, lo sterminio del popolo zingaro non venne riconosciuto come razzismo ma considerato come la conseguenza scontata di misure di prevenzione della criminalità. Erano definiti «asociali» e «irrecuperabili» per caratteristiche insite nella loro stirpe e condannati alla «soluzione finale».

La studiosa Miriam Novitch (che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo rom) riuscì a dimostrare che invece gli zingari furono vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro morirono nei lager, dopo esser stati imprigionati e torturati come tutti gli altri prigionieri.

In Italia le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo restano poche e contraddittorie. Si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi (tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione.

Da questi studi apprendiamo che in Italia i campi di concentramento furono diversi: Perdasdefogu, in Sardegna; il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso; e Tossicia, in provincia di Teramo.

Questa per esempio la conferma data da Rosa Raidic, una delle poche sopravvissute a raccontare l’internamento in un campo in Sardegna: «Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento».

Se i dati storici raccolti a oltre cinquant’anni dai fatti sono scarsi è perché oramai i ricordi degli zingari erano frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e da quella mancanza di tradizione scritta che caratterizza la loro cultura. Ma la questione principale è che la storiografia italiana non ha voluto indagare.

Il porrajmos – il «grande divoramento» – segnò il drammatico linguaggio della “soluzione finale” nei campi di sterminio: il triangolo marrone serviva a identificare i Brauner, quelli dalla pelle marrone, insieme alla lettera Z che precedeva il numero di matricola tatuato sul braccio.

Questa persecuzione infame viene oggi ricordata, oltre che in alcune commemorazioni ufficiali, con un monumento nel Parco della Memoria di Lanciano, realizzato dallo scultore Tonino Santeusanio: una statua che rappresenta una donna con il braccio il suo bambino che libera la gonna dal filo spinato e guarda al futuro, con al fianco una ruota, simbolo del viaggio e del cammino di un popolo.

(*) ACS, MI, DGPS, Divisione polizia amministrativa e sociale, Archivio generale, b. 865, fasc. Zingari. Affari generali

In “bottega” vedi Porrajmos e «giorno della memoria». Ma per trovare le radici storiche bisogna guardare più lontano … o più vicino: per esempio saltando da qui Rom al confino in Sardegna e un museo online a qui 30 luglio 1571: “fate schiavi gli zingari” perchè… e poi a qui Non sono razzista nè rom, sono Severgnini .

Le vignette sono di Mauro Biani.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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