Ravenna Enichem: l’appello di Aea contro…

la sentenza che manda tutti (o quasi) assolti per decine di morti: 35 casi di mesotelioma e 5 di tumore polmonare 

di VITO TOTIRE (*)

La AEA – associazione esposti amianto e rischi per la salute – ieri ha presentato appello, tramite memoria dell’avvocato Guglielmo Giuliano, contro la sentenza per l’Enichem di Ravenna. Non si tratta di “semplice dissenso”. La sentenza fa affidamento su tesi anzitutto non fondate e disconosciute dalla comunità scientifica ma soprattutto pericolose. Pensiamo alla tesi della “innocuità” delle esposizioni ad amianto successive alla “prima”. Torna, sotto mentite spoglie, la tesi della “singola fibra killer”. Cosa dovremmo dire al lavoratore che oggi comincia finalmente a proteggersi adeguatamente nel fare lavori di bonifica e che potrebbe essere già stato esposto in passato (eventualmente perché è un immigrato che proviene da un Paese dove l’amianto è ancora in uso)? Dovremmo dirgli “se sei stato già esposto importa poco proteggerti”?

Le difese di certi imputati per portare a casa assoluzioni cercano di accreditare tesi pericolose e infondate. Noi rispondiamo con la trasparenza e con la oggettività delle evidenze scientifiche. Questa non è la sede per una disamina completa delle motivazioni dell’appello ma per rispetto delle vittime dobbiamo fare il massimo di chiarezza e opporre la più strenua resistenza democratica contro sentenze che riteniamo infondate.

Per questo diffondiamo, sia pure schematicamente, le motivazioni che difenderemo davanti alla corte d’appello di Bologna.Le motivazioni per le quali riteniamo la sentenza infondata e da respingere.

  1. grande confusione tra induzione/iniziazione e processo oncogeno complessivo; si è scambiata la fase di induzione col tutto sostenendo che “non sappiamo quando dura la induzione”
  2. in verità le successive fasi di progressione non sono incluse nel fenomeno di induzione e DURANO ENORMEMENTE DI PIU’ DELLA FASE DI INDUZIONE;
  3. noi non abbiamo mai sostenuto che le esposizioni successive alla prima accelerano la malattia; su questo l’orientamento degli epidemiologi non è unanime, anzi è probabilmente maggioritario nel dire che non c’è evidenza di accelerazione;
  4. ABBIAMO DETTO E DIMOSTRATO (in primis CON IWATSUBO E CON LA TOTALITA’ DELLE OSSERVAZIONI EPIDEMIOLOGICHE ) CHE CON LA CRESCITA DELLA DOSE , CON LA CONTINUITA’ DELLA ESPOSIZIONE, CON LA DURATA COMPLESSIVA DELLA STESSA, IL RISCHIO E IL DANNO CRESCONO;
  5. abbiamo dimostrato che le esposizioni successive alla prima non accelerano ma determinano tout court la comparsa della malattia;
  6. la sentenza alla fine aderisce, sotto mentite spoglie, alla teoria della “fibra killer” che è la prima inalata; teoria falsa e pericolosa, sostiene di fatto che non esistono mesoteliomi di tipo professionale in quanto chiunque prima di entrare in fabbrica può aver inalato una fibra nel suo quartiere o nel suo asilo;
  7. Iwatsubo argomenta e dimostra che una esposizione superiore a 20 anni fa crescere la OR da 1.7 (per esposizioni da 1 a 7 anni) a 2 (per esposizioni da 8 a 19 anni), a 5.4 per esposizioni a più di venti anni; vale a dire che dopo 20 anni l’incidenza è quasi quintupla rispetto a chi è stato esposto 1-7 anni; QUESTO DOCUMENTO DI IWATSUBO E’ STATO CONSEGNATO INTERO E ALLEGATO ALLA RELAZIONE;
  8. alcuni elementi introdotti dalla difesa sono “divagazioni: a) gli studi di Metintas sulla erionite; anzitutto riguardano l’erionite e non l’amianto (ma in effetti può essere un elemento secondario); b) porterebbero a conclusioni che sono comunque disconosciute nella comunità scientifica; c) non sono pertinenti perché riguardano piccole comunità locali che hanno vissuto FIN DALLA NASCITA, ANZI GIA’ DALLA VITA INTRAUTERINA in grotte e strutture abitative con presenza di materiali amiantiferi con quello che ciò significa per il sistema immunitario dei neonati;
  9. anche le ipotesi di più breve latenza dei mesoteliomi ambientali «non occupazionali» non sono pertinenti; per due motivi: a) la vera latenza si calcola dall’inizio effettivo della esposizione e se questo comporta a volte difficoltà nei casi occupazionali (pur esistendo spesso curricula ufficiali) è ben più difficile per le esposizioni ambientali per le quali sono frequentissime esposizioni precedenti a quelle ricostruite e riconosciute; b) sono ipotesi che ci riportano al problema della riduzione della latenza causata da esposizioni successive alla prima, tema ININFLUENTE nel presente procedimento in cui abbiamo asserito che L’EFFETTO DELLE “ESPOSIZIONI SUCCESSIVE ALLA PRIMA” NON E’ LA ANTICIPAZIONE DELLA PATOLOGIA MA LA COMPARSA STESSA DELLA PATOLOGIA IN TERMINI DI INCIDENZA, ENORMEMENTE AUMENTATA NELLA COORTE DEGLI ESPO;STI
  10. l’uso dei dati del professor Attenoos, consulente degli imputati, per disconfermare la causa professionale dei tumori polmonari è SORPRENDENTE; pur essendo evidente che le persone prese in esame hanno accumulato centinaia di migliaia di fibre è stata disconosciuta l’origine professionale nonostante che: 1) la conferenza di Helsinki e tutti gli esperti dicono che il modo di valutare la esposizione è la storia lavorativa e non il carico di fibre che peraltro non ha significato se preso in considerazione per l’amianto crisotilo; 2) ciò nonostante, a volte a decenni dalla uscita dal petrolchimico, si sono evidenziate quantità enormi di fibre, se consideriamo che quello individuato è amianto anfibolo e che nelle attività dei nostri lavoratori l’anfibolo è stato il 5% (o quote simili) del totale; 3) la coorte di lavoratori con cui Attenoos ha confrontato i dati è una coorte di asbestosici; 4) abbiamo consegnato un documento dell’ISS (Paoletti ed altri) scritto in italiano da cui su desume che il rang tipico dei tumori polmonari da amianto è contraddistinto da una quantità di fibre che va da 100.000 a 1 milione, dunque tutti i casi monitorati dai consulenti delle difese rientrano nelle patologie correlabili a esposizioni occupazionali ad asbesto;
  11. la bpco (brocopneumopatia cronico-ostruttiva) e l’amianto delle saldature; particolarmente CONFUSI i passaggi su questo tema; si è ipotizzato che l’amianto possa causare bpco se in commistione con i fumi di saldatura; la situazione è un’altra; amianto e fumi di saldatura agiscono sinergicamente nell’indurre bpco; l’amianto, anche da “solo” induce bpco; se nella persona affetta da bpco non sono presenti sintomi anche di tipo restrittivo vuol dire che il livello di esposizione non è stato così alto da essere asbestosigeno; rimane una questione elusa: per quale motivo l’amianto dovrebbe essere innocuo per gli organi e siti bersaglio che invece possono sviluppare bpco se colpiti da fumo di sigaretta o di saldatura? L’amianto causa danni restrittivi ad alte dosi, causa bpco a dosi più basse e tanto più se agisce in sinergia con il fumo di sigaretta o con altri fattori (polveri, fumi di saldatura, ecc.) come nel caso dei nostri lavoratori;
  12. è stato evocata l’esistenza di un livello di esposizione ad amianto talmente bassa da non agire neppure come concausa rispetto al fumo di sigaretta; è un doppio “salto mortale” in quanto se non esiste una dose di amianto innocua che possiamo definire sicuramente non cancerogena (da sola) ancora meno può esistere una dose ancora più bassa da non essere neppure in grado di agire come concausa o di contribuire comunque ad una di quelle fasi di progressione (avanzamento stazione per stazione) del processo oncogenetico descritto da Pitot.
  13. INFINE LA CONDANNA PER LE LESIONI CAUSATE AL “LAVORATORE A.”; se è possibile che un lavoratore (benché coibentatore per tre anni, quindi con una esposizione per quei tre anni superiore alla media di altri colleghi comunque ammalatisi di altre patologie) abbia contratto una asbestosi parenchimale, considerate le condizioni di promiscuità e contiguità dei coibentatori (interni ed esterni, cioè dipendenti anche di altri datori di lavoro) con gli altri colleghi di lavoro e considerato che i coibentatori non operavano “sotto una campana di vetro” la condanna (giusta) per il caso A. inficia la assoluzione per gli altri casi in quanto la asbestosi parenchimale riconosciuta per A. testimonia la esistenza di una condizione fortemente morbigena per tanti altri lavoratori, considerato che il livello di esposizione che può indurre un tumore polmonare laringeo o ancora di più un mesotelioma pleurico è enormemente più basso del livello asbestosigeno.

(*) Vito Totire è medico del lavoro e presidente di AEA, Associazione esposti amianto e rischi per la salute

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