Razzismo e discriminazioni: la vita agra delle afrolatinoamericane

Sfruttamento e povertà segnano la vita delle afrodiscendenti in tutto il continente latinoamericano

di David LifodiIn America latina e nel Caribe le donne afrolatinoamericane sono spesso vittime di una doppia discriminazione, di genere e di razza, nonostante in queste aree del pianeta vivano almeno 130 milioni di afrodiscendenti. Secondo la Comisión Económica para América latina y el Caribe (Cepal), sfruttamento e povertà segnano la vita di gran parte delle donne afroamericane, le cui problematiche sono spesso assenti dal dibattito pubblico, come afferma Dorotea Wilson, coordinatrice della Red de Mujeres Afrolatinoamericanas, Afrocaribeñas y de la Diáspora.

Razzismo ed esclusione economica e sociale accompagnano pesantemente la vita di queste donne. La muñeca negra, un progetto promosso nel municipio La Lisa, alla periferia ovest dell’Avana, che si caratterizza all’insegna dell’economia solidale, mira a far integrare donne altrimenti costrette solo ad occuparsi della casa o che hanno perso il lavoro. Tuttavia, il problema maggiore è quello legato alle radici nere e alla mancanza di risorse per lavorare, spiegano le attiviste del Movimiento de Mujeres Dominico-Haitianas (Mudha). Nel 2015, la Primera Cumbre de Lideresas Afrodescendientes de las Américas, che si tenne a Managua, aveva stilato una piattaforma di 17 domande e assi di lotta, poi noti come la dichiarazione politica di Managua, che non si limitava ad esigere il riconoscimento dei diritti, ma anche l’effettiva applicazione di tutti i trattati sanciti in occasione della conferenza mondiale contro il razzismo che si era tenuta a Durban nel 2001. La dichiarazione di Managua non intendeva rappresentare solo un documento di buone intenzioni, ma avrebbe dovuto configurarsi come una sorta di guida contro violenze, discriminazioni e negazione dei diritti più elementari. L’auspicio di Managua era quello di incidere sugli Stati, affinché definissero delle politiche pubbliche a favore delle donne e, in particolare della popolazione afrodiscendente.

Tuttavia, nonostante ci siano anche paesi dove neri e meticci rappresentano la maggioranza della popolazione, da Cuba al Brasile, le donne afrodiscendenti continuano ad essere vittime delle politiche escludenti degli Stati, come dimostra, ad esempio, la continua deportazione delle haitiane effettuate dalla polizia della Repubblica dominicana. Nel migliore dei casi, le donne provenienti da Haiti finiscono per vendere cibo o biancheria per le strade di quel paese soltanto in teoria fratello, ma nel peggiore sono costrette a lavorare come domestiche o prostitute. Ancora più complicata è la vita delle indocumentadas, che non possono né lavorare né studiare e, di conseguenza, finiscono per essere preda del lavoro informale, sottoposte a soprusi di ogni tipo. In generale, in tutta l’area latinoamericana e caraibica, prevale un mix di xenofobia, razzismo e discriminazione di genere. Secondo i dati di cui è in possesso l’Onu, gran parte delle donne afrolatinoamericane è continuamente sottomessa allo sfollamento forzato, alla criminalizzazione e agli abusi sessuali. Ad esempio, Vicenta Camusso, rappresentante delle donne afrodiscendenti dell’Uruguay, sottolinea che, aldilà dei progressi di facciata, le loro condizioni di vita non solo sono peggiorate, ma sono addirittura simili, a livello di esclusione e violenza, a quelle dei loro antenati. L’attesa della giustizia, dopo secoli di oppressione e disprezzo per il loro colore della pelle resta ben lontana dall’arrivare, mentre il riconoscimento del loro patrimonio culturale, il rispetto dai parte dei mezzi di comunicazione, il diritto alla giustizia e alla sicurezza restano pura utopia.

La década de lucha lanciata a Managua nel 2005 è stata sostituita dalla rassegnazione: le afrolatinoamericane sono stanche di dover fare i conti con razzismo e violenza, ma scontano anche l’inefficienza di Stati che non si sono mai adoperati per mettere fine ad una discriminazione storica.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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