Reddito di cittadinanza: un altro modo per dire “deprimiti e non ribellarti”

Diciottesimo appuntamento con l’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Anni fa a Marsiglia ho incontrato un ragazzo anarchico che prendeva il reddito minimo di sussistenza (RMI, oggi si chiama RSA, Reddito di solidarietà attiva): 400 euro al mese. Mi spostai a Toulouse per poche settimane. Nella piazzetta dove abitavo c’era un gruppo di ragazzi e ragazze che stazionavano quasi tutto il giorno lì: qualcuno aveva spesso bottiglie di birra e di vino, forse qualche spinello e forse droghe pesanti. Però quello che mi colpiva era che avevano un aspetto “lucido”: non sembravano né barboni né tossici ma semplicemente persone che avevano la possibilità di scegliere quello che facevano senza preoccuparsi più di tanto, cioè non chiedevano l’elemosina, perché avevano un reddito minimo che permetteva di sopravvivere. Come il ragazzo anarchico di Marsiglia, il quale definiva quel reddito “anti-emoute” cioè anti rivolta, anti sommossa, una specie di sonnifero e di ricatto che lo Stato ti propone: io ti dò i soldi per sopravvivere, e quindi tu non ti devi lamentare né ribellare.

Vediamo quali sono le conseguenze profonde di tutto ciò. Due mie amiche italiane e aspiranti teatranti, in quel periodo vivevano in Francia (una ci vive ancora, l’altra è tornata in Italia). Entrambe negli ultimi anni non hanno prodotto quasi niente a livello di elaborazione artistica, sempre molto poco rispetto alle loro potenzialità. Una di loro mi ha detto che per percepire l’RMI (ora RSA) doveva andare in un Pole Emploi (Centro per l’Impiego) e fare una trafila, spesso aspettare lì per ore insieme ad altre persone in condizioni visibilmente degradate, nell’abbigliamento o nell’aspetto; e questo comporta farsi condizionati nell’umore, sentirsi degradati: provate a immaginarlo.

A me viene un esempio similare: dopo la laurea ho rifiutato qualcunque tipo di concorso e di trafila che degradasse la mia dignità e la mia autonomia, ma siccome ero tornato nel mio paese in Sicilia ho dovuto attenermi – per pochissime volte (e quasi sempre sono scappato) – a situazioni di attesa in cui molte persone aspettano, per esempio, per fare una specie di domanda o concorso per lavorare con i progetti di Sviluppo Locale finanziati dalla Comunità Europea. Una volta in quell’attesa, in un ufficio del Centro Storico di Caltanissetta, sono scappato letteralmente: non sopportavo questa sensazione di “bestie da soma che aspettano il loro turno per andare al macello”. Ovviamente quel concorso (e altri come quello) era già “truccato”: si sapeva chi lo avrebbe vinto e comunque non è che ti dessero un lavoro dignitoso e duraturo. Di questo passo mi rifiutai di fare il Concorsone per insegnare nelle scuole (un pò più “dignitoso” rispetto a quello del GAL Sviluppo Locale Leader II). Tempo dopo incontrai una ragazza a Bruxelles che mi illustrò, esplicitandomelo, quello che avevo “fiutato” osservando le mie amiche italiane in Francia. Lei si chiama Laure, è di origine spagnola. Mi disse che percepisce uno Statut d’Artiste di 800 euro al mese, cioè uno stipendio per gli artisti. Per averlo devi dimostrare di aver realizzato un tot di spettacoli pagati (e fiscalizzati) ogni anno e devi fare carte false; la stessa cosa per avere il sussidio di disoccupazione e quello per pagarti l’affitto: me lo spiegò un ragazzo di Bruxelles anche lui libertario. Laure mi disse che si sentiva depressa (e poi me lo dimostrò) per questo motivo: mi danno i soldi però io non riesco a fare spettacoli per vivere, per il semplice fatto che già ho uno stipendio e quindi non mi stimola a produrre. Infatti Laure se ne andò una settimana al mare con una sua collega per “lavorare” su uno spettacolo che stava scrivendo, un conte cioè un racconto teatrale; quello che io per scriverlo ci metto poche settimane, materialmente e poi comincio a proporlo, perché ho l’urgenza e la necessità di vivere con i miei spettacoli. Laure stava lavorando da sei mesi a quello spettacolo, come la ragazza italiana che stava a Marsiglia faceva “residenze” teatrali in Italia con i colleghi ma non quagliava, se non dopo molto tempo. E ovviamente non vive dei suoi spettacoli: accumula frustrazione che spesso sfocia nello schiacciamento dell’autonomia e della creatività.

Ultimo esempio illuminante e liberatorio: nel 2011 a Bruxelles incontrai Marcelo, un musicista brasiliano che stava per ottenere il famoso “statut d’artiste”. Mi invitò a fare domanda: “ci sono artisti italiani e spagnoli che lo fanno, ti trovi un domicilio finto in Belgio e lo chiedi”. Tornai a Bruxelles nel 2015 e rividi Marcelo. Mi disse che aveva ottenuto lo stipendio d’artista (1200 o 1400 euro al mese, non ricordoi preciso: mica cotiche, era anche sposato con due figli piccoli) però sorprendentemente mi raccontò che da poco lo aveva fatto decadere, cioè lo aveva rifiutato. Cose da pazzi! Quando gli chiesi il perché mi rispose così: «Anziché spendere tempo e le mie energie a farmi prendere in giro dai sindacati belgi e dagli impiegati degli Uffici del lavoro che ti fanno aspettare ore e ore e poi dopo che sei tornato due o tre volte ti dicono di tornare l’indomani perché non trovano il tuo dossier o perché il tuo dossier lo sta curando ‘un altro impiegato’ che adesso non c’è, ecco, ho preferito riprendermi quelle ore di tempo ‘passivizzato mortificato’ e lavorare un pò di più».

Da ciò deduco che:

– le burocrazie di certi Paesi del Nord Europa non sono più avanzate e veloci (e poco corrotte) rispetto a quelle del Sud Europa, come ci piace spesso ripetere.

– bisogna rivedere un pò di luoghi comuni al riguardo.

Senza scomodare Ivan Illich e la disoccupazione creativa, «lavorare meno per lavorare tutti», «lavorare a tempo scelto» ecc è chiaro che a Di Maio (o a Beppe Grillo e company) nulla importa di questi discorsi, ma interessa solo lucrare sulla disperazione di milioni di persone, farne carne da macello perché diventino sempre più depressi e dipendenti, quindi sudditi di un sistema che svuota sempre di più la dignità e l’autonomia degli individui (quindi aumenta il potere di Di Maio e compagnia bella). La cosa più interessante è che la tendenza al reddito di cittadinanza come panacea di tutti i mali è vecchia come il cucco. E anche putrida, come si è visto dagli esempi francesi e belgi. Paradossalmente lo “spirito italico” è forse in Europa è il più libero da depressioni e addormentamenti provocati da leggi governative di questo tipo. Niente di nuovo sotto il sole, ma solo orrore sempre più camuffato e «perdita di autonomia e creatività che si ingenera quando la dipendenza da Istituzioni supera una certa soglia». Le ultime parole virgolettate sono prese dal libro «Disoccupazione creativa» di Ivan Illich. Che torna ancora attuale, per chi se lo ricorda o lo vuole scoprire. Un amico di Illich che ho conosciuto personalmente, Jean Robert, ha scritto un testo che doveva essere inserito nel libro di Mahid Ranhema, «La puissance des pauvres», uscito nel 2008 in Francia ma non fu pubblicato perché secondo la casa editrice era “scomodo”. Diceva in modo più approfondito e articolato quello che ho accennato qui sulla perdita di autonomia e creatività degli “amici” francesi e belgi.

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, riletture, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

Redazione
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5 commenti

  • prescindo da qualunque giudizio sul reddito di cittadinanza che sarà adottato da questo governo (non so quali saranno le priorità e i vincoli, e le dichiarazioni mi lasciano molto perplessa; solo una riflessione. le storie raccontate riguardano perlopiù giovani, spesso artisti e comunque creativi. Ma non dimentichiamo che fra i “poveri” candidati al reddito di cittadinanza ci sono centinaia di migliaia di persone anziane lontane dalla pensione, molti giovani disorientati, molte persone di media età che perdono il posto di lavoro (sempre più spesso e periodicamente); come la mettiamo con loro? lasciamo tutto alla caritas? E anche sui giovani talenti che sono stati descritti e che si sono sentiti depressi da una cifra fissa (beati loro!), mi sento di chiedere: da parte loro, non si potrebbe prendere quella del reddito di cittadinanza come possibilità temporanea che gli consenta di definire i propri progetti e di organizzarsi nelle tappe necessarie ad autoamministrarsi la propria creatività e talento?

    • angelo maddalena

      grazie per il commento Pinella, sono d’accordo con te che la Caritas ha un dominio dell’assistenza che comunque è una forma di potere, ma questo succede a livello generale con cooperative laiche e con datori di lavoro di molti tipi, però non è che aggiungendo “gestori” di realtà come la Caritas (questo sarebbero i Centri per l’impiego che gestirebbero il reddito di cittadinanza) si risolve il problema, anzi lo si aggrava: bisogna potenziare il più possibile la creatività e l’autonomia psicologica e autoproduttiva, o comunque ridurre al minimo la dipendenza dalle istituzioni, perché da lì poi vengono gli altri “mali”: la perdita dell’autonomia e della creatività

  • Non mi piace questa critica al minimo per vivere. Viene da uno che ha molta coscienza di sè, che si sente sicuro delle sue capacità. Pe molti il minimo per vivere è l’unica possibilità di continuare a vivere e solo se si continua a vivere si può fare – non dico la rivoluzione, che non è più all’ordine del giorno – , ma qualcosa per cambiare in meglio.

    • angelo maddalena

      grazie per la tua risposta Paolo, hai colto nel segno: io ho molta cosicenza di me e mi sento sicuro delle mie capacità, ma al tempo stesso vivo quotidianamente nell’ansia di vivere, di poter realizzarmi con le mie forze e le mie risorse, ed è quello che ho imparato a fare allenandomi per anni e anni, con tentativi ed errori, per conquistare la padronanza individuale che la povertà è anche libertà, come dice Ivan Illich: imparare a gestire le ansie interiori è un sapere antico che non dobbiamo perdere, anche se da molte direzioni siamo tentati di perdere questo e altri saperi antichi profondi. Se si continua a vivere, dici, ma essere assistiti e sempre più dipendenti non è una vita, ma una sopravvivenza che ti relega in un limbo, come osservavo e accennavo nel testo che tu hai commentato, osservando realtà come la Francia e il Belgio

      • raffaele mantegazza

        La sobrietà è libertà perché è frutto di una scelta. La povertà è solo un orrore. Starei attento a non confondere le parole, perché i poveri che ho visto nella mia vita erano ridotti al di qua della possibilità di scegliere, un Lumpenproletariat che non aveva letteralmente le forze per crearsi una coscienza

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