Relazioni strette fra l’Isis e la Turchia

di Murat Cinar (*)

Via libera a larga maggioranza del Parlamento turco alla mozione del governo che apre all’invio di truppe in Iraq e Siria per

fronteggiare lo Stato islamico e «ogni formazione terrorista». Questo significa anche un maggior coinvolgimento di Ankara nelle operazioni della coalizione internazionale guidata dagli Usa. «Una lotta efficace contro l’Isis o altre organizzazioni terroristiche sarà la nostra priorità» ha detto il presidente della Repubblica Erdogan. Nel documento presentato al Parlamento sono stati elencati i nomi di 70 organizzazioni armate che minacciano la sicurezza nazionale della Repubblica turca e della zona in Iraq e in Siria. Nel comunicato si legge anche la richiesta di aprire il territorio nazionale alle manovre militari dei soldati appartenenti agli eserciti di altri Paesi.

La posizione del governo turco, guidato precedentemente da Erdogan e adesso da Davutoglu, rispetto alla situazione in Siria non è stata chiara sin dall’inizio del conflitto, così come è stato ambiguo l’atteggiamento nei confronti dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Isis). «In Siria esiste un regime che uccide il suo popolo e contro questo dobbiamo unire le forze. Mi auguro che a vincere saranno i veri figli della Siria». Queste le parole pronunciate nel 2012 da Erdogan, ex primo ministro, a Londra in occasione dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici, durante la preghiera del venerdì. Quei giorni segnano l’inizio di un caos che trascinerà la Siria in una vera guerra civile: le prime manifestazioni pacifiche per richiedere un reale cambiamento sono soppresse con la violenza. Esiste l’Esercito Libero Siriano (Els) che teoricamente lotta contro il governo rappresentato da Beshar Assad. Presto gli attori sul campo si moltiplicano e nascono una serie di organizzazioni armate. Le notizie provenienti da quest’area sono, spesso e volentieri, poco chiare e limitate. Tuttavia una cosa è certa: ormai in Siria, mescolati a coloro che combattono contro l’esercito dello Stato, ci sono gruppi terroristici che perpetrano atrocità disumane massacrando chiunque non dia appoggio politico, religioso e militare. Da quel momento in poi non passerà giorno senza sentir parlare del rapporto di solidarietà e collaborazione fra le opposizioni in Siria e il partito turco al governo Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Alcune testimonianze e indagini giornalistiche lo confermano. Nel 2012 il giornalista Isa Eren visita il campo profughi costruito nel villaggio Apaydin, a 3 chilometri dalla Siria. Eren riesce a parlare con i militanti di un’organizzazione armata, mossa da ideali religiosi. Secondo queste persone quello è il periodo in cui queste organizzazioni si stanno pian piano staccando dall’ELS per agire indipendentemente. Uno dei jihadisti afferma: «Sappiamo che i nostri combattenti feriti vengono curati negli ospedali turchi vicino al confine. Noi non sapevamo come usare certe armi così ci hanno raggiunti dei combattenti dalla Libia attraverso la Turchia».

Mentre nel novembre 2012 diverse autorità internazionali (fra le quali figura anche l’Italia) riconoscono la Coalizione Nazionale Siriana come unica forza atta a rappresentare il popolo siriano, nella città di Aleppo una trentina di persone proclamano la fondazione dello Stato Islamico (Isis) con un video messaggio. Secondo «Al Jazeera», pochi mesi dopo, Al Kaeda, con un comunicato, definisce questa nuova organizzazione indipendente al proprio gruppo e parla di El Nusra come il solo a rappresentare l’organizzazione in Siria, ma successivamente sarà colpito fortemente dall’Isis, perdendo quasi totalmente forza e controllo.

Un anno dopo, nel novembre 2013, nei pressi della città di Konya viene fermato un furgone pieno di mine antiuomo. L’autista, interrogato, spiega di aver già trasportato armi verso la località di Reyhanli, al confine con la Siria, consegnando il tutto alla gendarmeria di Reyhanli. Secondo la relazione presentata pochi giorni dopo dall’ex ministro della Sicurezza Nazionale, Ismet Yilmaz, in merito all’accaduto, in Siria vengono vendute armi esclusivamente «per fini sportivi».

Nel gennaio 2014, in due località diverse, Adana e Hatay, sono fermati dei tir insieme a qualche auto. Durante i controlli si scopre che a dirigere il viaggio dei tir, diretti in Siria, ci sono agenti dei servizi segreti insieme a rappresentanti di un’organizzazione non governativa (Ihh). I mezzi stanno trasportando armi. Contemporaneamente inizia a sentirsi sempre più parlare delle azioni cruente dell’Isis. In poco tempo vengono attaccate prima le zone settentrionali della Siria (la località di Rojava, autoproclamatasi autonoma) e poi l’Iraq. Nel luglio scorso il quotidiano nazionale «Milliyet» in un articolo sottolinea che, secondo alcune fonti, in Turchia ci sono gruppi criminali che forniscono anche auto rubate all’Isis e si parla di circa mille mezzi solo nel 2013.

Secondo Salih Muslim, co-presidente del Pyd (Partito dell’Unione Democratica) del governo federale di Rojava, il governo turco sostiene direttamente o indirettamente l’Isis. Muslim riferisce che in diversi scontri sono stati trovati documenti addosso ai jihadisti uccisi che dimostravano il periodo trascorso in Turchia. Egli inoltre specifica – nell’intervista rilasciata all’Agenzia Firat e al portale di notizie T24 – che, a detta di diversi testimoni, il transito dei jihadisti fra la Turchia e la Siria, sia per portare delle armi sia per farsi curare negli ospedali, passa spesso inosservato. Muslim ha anche invitato il governo a sedersi intorno allo stesso tavolo con il Pyd per sapere se ha intenzioni sincere di lottare contro il terrorismo dell’Isis. Questo invito tutt’ora non ha ricevuto nessun riscontro positivo.

Con il passare del tempo i media sono riusciti a far conoscere all’opinione pubblica diverse prove che dimostrerebbero le attività organizzative dell’Isis in Turchia. Secondo il portale di notizie online HaberTurk, a Gungoren, a Istanbul, uno dei quartieri roccaforte dei voti per i partiti conservatori, un’associazione non governativa (Hisader) che reca il simbolo dell’ISIS nel suo logo raccoglie aiuti “umanitari”. Lo scorso giugno, il giornalista Soler Dagistanli ha intervistato a Istanbul due famiglie i cui i figli hanno deciso di partire per la Siria e unirsi ai terroristi dell’Isis. Sempre nello stesso periodo il quotidiano nazionale «Yurt» ha fotografato un negozio in zona Bagcilar a Istanbul che vende abbigliamento con i simboli dell’Isis. Secondo il giornalista Nevzat Cicek le adesioni all’organizzazione dalla Turchia sono alte, e più particolarmente nelle città di Adıyaman, Bingöl, Mardin, Diyarbakır, Kırşehir, Konya, Ankara e İstanbul.

In questo periodo, per la prima volta, una figura istituzionale di alto livello ammette l’esistenza di relazioni strette fra l’Isis e la Turchia. L’ex vice primo ministro Bulent Arinç, durante l’inaugurazione della nuova sede dell’ong Ardev, comunica che in Turchia, attraverso associazioni e fondazioni, l’organizzazione trova nuovi adepti. Ma pochi giorni dopo, l’ex ministro degli Affari Esteri e l’attuale primo ministro Ahmet Davutoglu (durante un incontro avvenuto a Istanbul con il suo collega tedesco) rifiuta ogni tipo di accusa sull’eventuale relazione fra Turchia e Isis.

Ma l’Isis avanza sul territorio iracheno e le adesioni all’organizzazione continuano. Nel mese di agosto Isis entra violentemente in Iraq, nella località di Shengal e massacra migliaia di persone di etnia-religione ezida. Altre migliaia di persone si rifugiano sulla montagna Sincar, parecchie muoiono per mancanza di viveri, altre vengono salvate dalle Forze dell’Unità di Difesa Popolare (Ypg) di Rojava-Siria giunte sul posto quasi immediatamente. In quel periodo l’ex ministro Davutoglu si presenta di nuovo davanti ai microfoni e afferma: «L’Isis sembra un’organizzazione radicale e terroristica però nasce dal malcontento e dalla rabbia». Il giornalista Ilkay Celen si reca in località Dilovasi nella città di Kocaeli e parla con la famiglia di Ahmet, anche lui aderente all’Isis insieme a 8 amici. Secondo il padre di Ahmet, poco distante da Karamursel c’è anche un campo di addestramento dove si trovano istruttori provenienti dalla Bosnia. Le persone intervistatate da Celen dicono che ad aderire all’Isis sono per la maggior parte ragazzi giovani e di famiglie povere.

Sakir Altas, governatore del villaggio di Candir, al confine con la Siria, legato alla città di Hatay, afferma che è la gendarmeria ad agevolare il passaggio delle milizie dell’Isis verso la Siria e viceversa. In merito ai passaggi agevolati il quotidiano nazionale britannico «Daily Mail» sostiene che basta pagare 10 dollari e i jihadisti provenienti da diverse parti del mondo attraversano il confine fra Turchia e Siria. In merito alle attività dell’Isis nelle città confinanti, il vice presidente dell’Associazione dei Legali di Antep, Bektas Sarkli, cerca di informarsi presso la questura di questa città per scoprire se l’Isis abbia un’identità associativa attiva. Risposta che non arriverà, in quanto «per una serie di motivi di sicurezza questa informazione è un segreto di Stato». In un servizio di Ralph Sina, del canale televisivo statale tedesco Ard, nella città di Istanbul, nel quartiere Fatih, l’Isis ha un ufficio che pare occuparsi dei jihadisti provenienti dall’Europa. Nel mese di settembre 2014 il giornalista Zafer Samanci intervista il padre di un altro giovane che ha aderito all’Isis e ritiene che siano circa 300 i giovani partiti per la Siria dalla sola città di Konya. Secondo il giornalista Thomas Seibert del «The Daily Beast» ormai si può tranquillamente parlare di un canale di commercio non ufficiale tra le zone irachene e siriane controllate dall’Isis e la Turchia. Seibert ritiene che si tratti di un canale importante per finanziare le attività dell’organizzazione. Il quotidiano «Taraf» sostiene che le cure mediche dei jihadisti dell’Isis vengano effettuate negli ospedali della città di Mersin. Una delle notizie pubblicate dal quotidiano nazionale «Bild» riferisce di una relazione di 100 pagine presentata dai servizi segreti al governo nella quale si notifica la presenza di sette arsenali dell’Isis in Turchia.

Il partito politico parlamentare Dbp (Partito delle Aree Democratiche) denuncia che nella città di Amed ci sono circa 400 associazioni che lavorano per l’Isis. Secondo il capo militare del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Murat Karayilan, i cittadini turchi presi in ostaggio nel consolato della Repubblica di Turchia a Musul (in Iraq) e rilasciati dopo 101 giorni sono stati utilizzati come una scusa da parte del governo per permettere all’Isis di avanzare senza ostacoli verso la località Kobane di Rojava in Siria dove sono tuttora in atto scontri duri.

Mentre esistono tutte queste prove – oltre alle ipotesi – il governo turco nega un rapporto con l’Isis. Eppure, secondo il sondaggio effettuato dal Centro di Ricerche Sociali e Strategiche MetroPOLL in Turchia in 28 città il 52% delle persone intervistate crede che l’Isis si organizzi in Turchia per realizzare le sue atrocità in Siria e Iraq.

(*) ripreso da BabelMedItalia.

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