Renzi, il vecchio che avanza
Con la scorta del manganello
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Di Mauro Antonio Miglieruolo
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Renzi scherza. Sorride, pontifica, insulta*… detto meglio: cazzeggia. No, ancora meglio: la spara grosse, ama atteggiarsi a bullo (probabilmente lo è), i colpi di scena e gli avversari inventati; e soprattutto assumere atteggiamenti duceschi, tipo “me ne frego!” e “a noi!” e altri cimeli di infausta memoria. Da una parte si stringe a coorte con la sua compagine governativa di ministri ossequienti e improvvisati; dall’altra crea avversari immaginari per poterli abbattere senza colpo ferire. Nel Novecento più di lui solo Stalin; ma Stalin è all’altro mondo, non ha più la possibilità di peggiorarsi. Renzi miracolosamente ci riesce, peggiorandosi giorno dopo giorno.
Tra le ultime, sono tante e tanto frequenti che non puoi mai dire quale sia l’ultima, contro chi difende i diritti dei lavoratori si è inventato l’argomento secondo il quale costoro sono pasta uguale a quella di chi, vere mummie, si illude di utilizzare il telefonino inserendo il gettone di vetusta memoria; e le macchine fotografiche per messo dei vecchi rullini. Non ho mai udito nessuno sostenere o praticare assurdità simili. Anche considerate come metafore siamo all’anno zero della logica e delle correttezza politica. Difendere i propri interessi o i diritti sanciti dalla costituzione è segno di vecchiume? Fare riferimento a valori differenti dai suoi anche questo è segno di ancoraggio al passato? Lui è cattolico, aderisce a una religione di duemila anni fa, come può, senza arrossire, dichiarare sorpassati valori e principi che si sono affermati solo nell’ultimo secolo? Voglio ricordare (a voi, non a lui, che è sordo e cieco e muto quando si tratta di ragionare) che risale a cinquecento anni prima di Cristo l’apologo di Menenio Agrippa, tradotto oggi dalla sua parte politica nel “siamo tutti sulla stessa barca”. Solo che sul ponte a banchettare ci stanno Renzi e i suoi mandanti; e sottocoperta a sudare e remare, cibo scarso e giù nerbate, tutti quanti noi.
La verità è che a Renzi e ai renziani la parola “diritti” è indigesta. Una parola di cui ambiscono disfarsi al più presto. Sanno bene che non è del passato, ma è loro aspirazione seppellirla, ancora viva, nel cimitero delle cose da dimenticare. La modernità di cui parlano è quella dell’Ottocento e di prima dell’Ottocento. Il nuovo come assenza di diritti. L’innovazione tecnica come tritatutto dei bisogni e della dignità del lavoro. Il progresso come regresso a una società dalla quale sono stati espunte tutte le conquiste che le classi subalterne, con grandi sacrifici e altrettante grande lotte, hanno saputo conquistarsi.
Il passato (non quello prossimo, quello remoto) appartiene a lui dunque. Lui è quello che disperatamente cerca di far funzionare il computer con la manovella. Lui a usare (sempre meno metaforicamente) olio di ricino e manganello, come fossero cose di oggi, quali strumenti di regolazione dei conflitti sociali. Lui a realizzare i sogni del Capitale, le aspirazioni profonde della borghesia italiana, una delle più reazionarie in Europa.
Ed è sempre lui a utilizzare (non più metaforicamente, ormai), contro chi non si rassegna a essere imprigionato nelle galere dell’oppressione e dello sfruttamento, della perdita di dignità, ruolo sociale e minimo tenore di vita; cospicue dosi del buon vecchio manganello. Che quello sì, quello non passa mai di moda!
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* Tra i quali primeggia il “vigliacchi” rivolto a chi nel partito si auto stroncava la carriera criticandolo; e l’ormai notissimo “gufi” a chi osava sollevare il ditino per obiettare che forse non tutto andava bene, Madama la Marchesa…