Report, le fonti giornalistiche e la magistratura

di Gianluca Cicinelli (*)

La prima cosa da dire, – al di là delle leggi vigenti – sulle perquisizioni nella redazione di Report e a casa dell’inviato Paolo Mondani è che ogni giornalista avrebbe dovuto comportarsi come hanno fatto Mondani e la redazione di Report di fronte a notizie così importanti per l’opinione pubblica, su fatti gravissimi che le inchieste giudiziarie ancora non sono riuscite a chiarire a decenni di distanza dai fatti.

L’inchiesta giornalistica è cosa molto diversa da quella della magistratura e per quanto riguarda le fonti è tutelata dalla legge che istituì l’Ordine dei giornalisti. Quella legge prevede l’obbligo del giornalista a rivelare le fonti soltanto nel caso in cui con il proprio silenzio venga consentita la reiterazione di un reato o che un altro venga compiuto. E siccome qui parliamo di fatti relativi a circa trent’anni fa non è assolutamente questo il caso.

Come ricorda l’Associazione Stampa Romana “Più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito che gli effetti di ingerenze di questo tipo nell’attività di chi fa informazione equivalgono ad un attacco al diritto dei cittadini ad essere informati, ma in Italia sembra che questo monito nessuno voglia ascoltarlo”. E’ urgente quindi approvare norme più efficaci a tutela delle fonti e del segreto professionale dei giornalisti. Quello che ha fatto la magistratura è inaccettabile e molto pericoloso per la democrazia. I toni concilianti con cui il procuratore di Caltanissetta ha voluto spiegare le perquisizioni non devono ingannare. E’ vero che il collega Mondani non è sotto inchiesta, ma è difficile che in un Paese democratico una Procura abbia il diritto di “verificare la genuinità delle fonti” di un giornalista senza aprire la porta a ingerenze e controlli polizieschi che connotano regimi di altra natura. Soprattutto quando sia la redazione che Mondani avevano già dichiarato la propria disponibilità a collaborare con gli inquirenti.

A chi è esterno all’ambiente giornalistico può probabilmente sfuggire cosa comporti l’acquisizione di copie dei dati presenti su computer e telefoni dei giornalisti, un patrimonio di contatti e informazioni riservate che difficilmente esclude anche informazioni non inerenti l’inchiesta oggetto della trasmissione di lunedì scorso. E’ difficile dopo questo episodio non ricordare che soltanto pochi giorni fa l’Italia è precipitata nelle classifiche mondiali sulla libertà di stampa dal quarantunesimo al cinquantasettesimo posto.

C’è infine un problema che non va aggirato: la fuga di notizie dalle Procure. Sarebbe grave se un giornalista s’intrufolasse nelle Procure per rubare materiale. Accade invece che qualcuno nelle Procure lavora ad avere accesso e a far uscire quel materiale. La Procura di Caltanissetta ha aperto un procedimento penale per la fuga avvenuta all’interno delle sua e di altre procure? Il punto è questo: è più facile per la magistratura colpire il giornalista che indagare su se stessa. Se poi le elaborazioni con cui Report ha presentato i fatti siano credibili o meno sta agli spettatori giudicarlo. Ognuno deve fare la sua parte.

(*) articolo in origine pubblicato su  https://diogeneonline.info/le-fonti-giornalistiche-e-la-magistratura/

 

ciuoti

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