Repubblica dominicana: le vittime del trujillismo esigono giustizia
Dal Museo Memorial de la Resistencia Dominicana la proposta per la creazione di una Commisione per la verità che faccia luce sulle vittime della dittatura di Rafael Leonidas Trujillo
di David Lifodi
La Repubblica dominicana ha dovuto sopportare, per un lunghissimo periodo, la sanguinaria dittatura di Rafael Leonidas Trujillo, i cui misfatti sono stati raccontati dalla scrittrice Julia Alvarez in quel piccolo gioiellino che è Il tempo delle farfalle, romanzo che narra la storia delle sorelle Minerva, Patria e Maria Teresa Mirabal, ricordate nel continente latinoamericano come las mariposas, le farfalle: sfidarono il regime militare e furono assassinate il 25 novembre 1960. Le sorelle caddero in un’imboscata mentre si stavano recando a trovare i loro mariti, incarcerati da Trujillo. Non fu l’unico atto criminale commesso dal dittatore. La Commisione per la verità dominicana ha stimato che almeno cinquantamila persone scomparvero nel corso del lungo potentato trujillista.
Grazie all’impegno e alla tenacia del Museo Memorial de la Resistencia Dominicana (Mmrd), di recente si è tornati a ragionare sul ruolo dirompente che potrebbe avere la Commissione per la verità nell’ambito del Plan Nacional de Derechos Humanos 2015-2020, promosso dallo Stato, ma poi fatto cadere nel dimenticatoio. Le vittime e i familiari dei desaparecidos meriterebbero giustizia, ma non è facile ottenerla in un paese dove la riforma della polizia nazionale, solo per fare un esempio, non ha minimamente modificato una struttura che resta repressiva come all’epoca del regime militare. In un’intervista rilasciata al sito web Noticias Aliadas, Laura Pérez Díaz, direttrice aggiunta del Museo Memorial de la Resistencia Dominicana, sottolinea come molti torturatori e simpatizzanti della dittatura non solo non abbiano mai pagato per i crimini commessi, ma continuino a rivestire ruoli di primo piano nell’ambito del potere economico e militare. L’unico passo avanti è stato compiuto dal presidente Antonio Guzmán che, tra il 1978 e il 1982, costrinse ad abbandonare l’esercito, soprattutto per motivi di pensionamento, un buon numero di militari riciclatisi sotto la presidenza di Joaquín Balaguer, i cui metodi erano poco differenti da quelli di Trujillo, ma il paese non ha mai assistito ad un processo come quello avvenuto in Argentina all’epoca del kirchnerismo.
La Commissione nazionale per la verità avrebbe dovuto trarre impulso rapidamente dal Plan Nacional de Derechos Humanos poiché è evidente che, più trascorre il tempo, minori sono i testimoni dell’epoca ancora in vita. Per questo motivo i dominicani sono tornati a chiedere di nuovo verità e giustizia sia per i crimini commessi da Trujillo, al potere dal 1930 al 1961, e per quelli avallati da Balaguer, alla guida del paese per un totale di 12 anni, seppur intervallati. Non c’è dubbio che in Repubblica dominicana si possa parlare di terrorismo di Stato praticato per decenni nei confronti di una società civile orfana dei diritti umani e abituata all’impunità dei suoi governanti. A questo proposito, è esemplare il caso di Rodríguez Villeta, torturatore della prima ora con Trujillo e governatore nell’era Balaguer sempre rimasto in completa libertà. Ogni 30 agosto, nella giornata internazionale per i desaparecidos, in Repubblica dominicana vengono ricordate le vittime della dittatura.
Tuttavia, non è facile esigere giustizia. Il nipote del generalísimo, Ramfis Domínguez Trujillo, più volte ha dichiarato apertamente di non aver alcun motivo per chiedere scusa al paese per le nefandezze compiute dal nonno. Nel 2011, in occasione dei cinquanta anni della morte del dittatore, ucciso in un attentato il 30 maggio 1961, Ramfis Domínguez Trujillo ha dichiarato che quando il nonno giunse al potere, a seguito di un colpo di stato in qualità di capo dell’esercito, non poteva non utilizzare la mano dura, anche per uccidere circa 17mila haitiani, assassinati per suo ordine allo scopo di dominicanizzare la frontiera E poi il nipote ha proseguito con la solita storia già ascoltata più volte in queste circostanze: il generale non era a conoscenza delle torture perpetrate dall’intelligence e dall’esercito, l’ordine era necessario per evitare il contagio del castrismo, gli oppositori erano terroristi ecc… . El Jefe, così era soprannominato Rafael Leonidas Trujillo, aveva uno dei peggiori apparati di intelligence e sterminio di tutta l’America latina e godeva di una vera e propria fortuna a livello economico, prima che la sua famiglia cadesse in rovina e fosse sommersa dai debiti.
Dal 1962, poco dopo l’attentato che lo uccise, in Repubblica dominicana entrò in vigore la cosiddetta legge 5880, che vietava l’esaltazione di Rafael Leonidas Trujillo, ma la sua famiglia non ha mai smesso di battersi per farla cancellare, a partire dalla figlia Ángela, la quale ha cercato in ogni modo di far pubblicare in patria il suo libro Trujillo, mi padre en mis memorias. Per il paese caraibico il passo più difficile deve comunque essere ancora compiuto: restituire verità e giustizia ai familiari dei desaparecidos.