ricordo di Samih al Qasim
di Francesco Masala
Samih al Qasim si è spento ieri all’età di 74 anni dopo una lunga malattia.
Poeta e giornalista, fondatore in Galilea del settimanale palestinese Kol al Arab ed ex membro del Partito comunista, Samih al Qasim è noto come il poeta della «resistenza». Forse è più giusto definirlo il poeta della «esistenza», dell’affermazione dell’esistenza del popolo palestinese, come d’altronde lo è stato il suo grande amico e «poeta nazionale» Mahmoud Darwish scomparso qualche anno fa.
Samih al Qasim era un palestinese druso. La sua famiglia era originaria della città di Rameh in Alta Galilea e fu costretta ad abbandonare la sua casa per la Nakba, la «catastrofe» che colpì i palestinesi nel 1948 a seguito della fondazione dello Stato di Israele. «Ritengo che la data 1948 sia la mia data di nascita — ha spiegato una volta — perché le prime immagini che ricordo sono di quella guerra. Il mio pensiero e le immagini nascono dal numero 48». Fin da ragazzo mise in luce il suo talento di poeta e le sue poesie gli procurarono non pochi problemi le autorità israeliane che guardano sempre con sospetto ai cittadini arabi (ossia palestinesi) troppo nazionalisti. Al Qasim ha scritto 24 volumi di poesie e pubblicato varie raccolte. Come giornalista ha lavorato per i quotidiani al-Ittihad (comunista) e al Jadid, prima di dare vita al suo giornale. In Italia, a cura di W. Dahmash, è stata pubblicata una sua raccolta di poesie Versi in Galilea (Edizioni Q, Roma, 2005)
Fine della discussione col secondino
Dallo spioncino della più piccola delle celle
vedo alberi che mi sorridono,
tetti affollati della mia gente,
finestre che piangono pregano per me.
Dallo spioncino – è la più piccola cella –
vedo la tua, la più grande.
Palestina
Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
Può un uomo aver vissuto tutta la propria vita senza aver visto la propria terra libera?
A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada
A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino
A colui che di notte sfonda le finestre delle case
A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo
e poi canta sull’incendio.
A colui che scrive con il suo passo il lamento delle madri
orfane dei figli,
vigne spezzate.
A colui che condanna a morte la rondine della gioia
A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza
A colui che frantuma l’arcobaleno,
stanotte i bambini dalle radici tronche,
stanotte i bambini di Rafah proclamano:
noi non abbiamo tessuto coperte da treccia di capelli
noi non abbiamo sputato sul viso della vittima
(dopo averle estratto i denti d’oro)
Perché ci strappi la dolcezza
e ci dai bombe?
E perché rendi orfani i figli degli arabi?
Mille volte grazie.
Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile
e dobbiamo combattere.
Il sole sul pugnale di un conquistatore
era nudo corpo profanato
e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere,
intorno facce stravolte.
Urla il soldato della leggenda:
“Non parlerete?
Bene! Coprifuoco tra un’ora”
E dalla voce di Ala’uddin esplode
la nascita dei guastatori bambini:
io ho buttato una pietra sulla jeep
io ho distribuito volantini
io ho dato il segnale
io ho ricamato lo stemma
portando la sedia
da un quartiere…a una casa…a un muro
io ho radunato i bambini
e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi
di combattere
finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un
conquistatore.
(Ala’uddin non aveva ancora dieci anni)
Il nemico del Sole
Perderò, forse, lo stipendio,
come tu lo desideri;
sarò costretto a vendere abito e materasso;
farò, forse, il portatore di pietre;
il facchino,
lo zappino di strada
oppure l’operaio in una officina;
forse sarò anche costretto a cercare nei letami
per trovare un grano da mangiare;
o forse morirò nudo e affamato.
Ciò malgrado non mi rassegnerò mai a te,
o nemico del sole!
Ma resisterò fino all’ultima goccia
di suange nelle mie vene.
Tu mi potresti rubare l’ultimo palmo di suolo;
saresti capace di dare alle prigioni
la mia giovane età;
di privarmi dell’eredità di mio nonno:
degli arredamenti, degli utensili casalinghi
e dei recipienti.
Saresti pure capace di dare al fuoco
le mie poesie ed i libri miei
ed ai cani la mia carne.
Saresti – come è vero – un incubo
sul cuore del nostro villaggio,
o nemico del sole!
Ciò malgrado, non mi rassegnerò mai a te
e, fino all’ultima goccia
di sangue nelle mie vene
resisterò!…
Potresti spegnermi la luce che m’illumina la notte
e privarmi di un bacio di mia madre;
i ragazzi vostri sarebbero capaci di insultare
il mio popolo e mio padre;
qualche vigliacco di voi sarebbe capace di
falsificare pure la mia storia;
Tu stesso potresti privare i figli miei
di un abito di festa;
saresti capace di ingannare,
con falso volto,
gli amici miei,
crocifiggermi i giorni su una visione umiliante,
o nemico del sole!
Ciò malgrado, non mi rassegnerò mai a te
e, fino all’ultima goccia di sangue nelle mie vene
resisterò!…
O nemico del sole!
Nel porto vedo degli ornamenti,
dei segni di gioia;
sento delle voci allegre
e degli applausi entusiasti
che infuocano d’allegria la gola;
e nell’orizzonte vedo una vela
che sfida il vento e le onde
sormontando con fiducia i pericoli!
Questo è il ritorno di Ulisse
dal mare dello smarrimento.
Questo è il ritorno del sole
E dell’uomo espatriato!…
Per gli occhi di lui e della amata terra
giuro di non rassegnarmi mai a te
e fino all’ultima goccia di sangue nelle vene,
resisterò,
resisterò,
resisterò!…
La poesia può essere uno strumento di pace, Samih al Qasim ne è la prova, anche se certi israeliani, non furono e, non sono in grado di comprenderlo.
ANCHE QUI
(ripreso dalla bella newsletter di comune-info.net)
ADDIO AD AL-QASIM, IL POETA DEL 48
Se ne va un altro grande poeta della resistenza palestinese, Samih al-Qasim è morto, ucciso da un cancro. Era uno dei più grandi interpreti della letteratura araba contemporanea, capace di scrivere versi infuocati contro la tirannia oppure di una deliziosa ironia, come quel Biglietto di viaggio in cui rivolge una splendida preghiera al suo assassino. C’è perfino una poesia rap dedicata a Vittorio Arrigoni, recitata con un’appassionata performance alla Fiera del libro di Torino (trovate qui sotto i versi e il video). La vita di Samih al-Qasim comincia con la Nakba del ’48, il numero da cui nascono, secondo le sue stesse parole, il suo pensiero e le sue immagini. Lo porteranno a condurre un’esistenza di tenace e colta ribellione contro l’occupazione, a cominciare dal rifiuto di prestare servizio militare nell’esercito israeliano nel 1960, fino alla militanza comunista. La cieca e volgare persecuzione delle sue idee, per le quali è stato più volte incarcerato e allontanato dall’insegnamento, non ha mai indebolito la sua lotta per uno Stato laico, democratico e plurinazionale che potesse comprendere persone appartenenti a ogni credo religioso, oppure atee come lui…
L’ARTICOLO COMPLETO è su comune-info.net
Biglietto di viaggio
Quando sarò ucciso, uno di questi giorni,
l’assassino troverà nella mia tasca i biglietti di viaggio
uno verso la pace
uno per i campi di pioggia
uno
verso la conoscenza dell’umanità
(ti prego non sprecare i biglietti,
mio caro assassino,
ti prego di partire…)
Samih al Qasim
che biglietti straordinari…