Ricordo mia madre, vent’anni dopo

  di Franco Manconi (nell’immagine il programma di matematica di Anita Pieroni, nel 1974)

Mamma aveva smesso di studiare per dedicarsi alla famiglia e ai figli. Aveva più di quarant’anni, quando un giorno le arrivò una comunicazione dell’Università. Gli esami sostenuti sarebbero stati prescritti, a meno che non ne avesse sostenuto almeno un altro, anche pro forma. A laurearsi non ci pensava più, ma le sembrava un peccato lasciar perdere. Si riscrisse, pensando magari di presentarsi a un esame abbordabile, perchè lei non voleva comunque presentarsi impreparata.

Seguì qualche lezione, e presto fu presa dalla Fisica, le cui lezioni erano allora tenute dal Prof. Frongia, tanto bravo quanto terribile ed esigente agli esami.

A casa, con noi cinque figli piuttosto impegnativi, e mille altre incombenze, non c’era proprio tempo per studiare. Si ritagliò i suoi spazi la notte, spesso tirando anche le 4. La mattina noi ragazzi vedevamo la tavola sparecchiata, il portacenere pieno e libri e fogli alla rinfusa, pieni di formule ed esercizi che a me, studente del Liceo Classico, erano solo vagamente familiari.

Perchè quella era Matematica.

In capo a un mese, quella che sembrava una burocratica formalità si era tramutata in un più che dignitoso diciannove, al primo colpo, degno degli sguardi stupiti di tanti ragazzotti che ci avevano penato sopra per mesi.

Mamma era entusiasta, e ci prese talmente gusto che non volle più fermarsi. Sull’onda del suo nuovo corso di studentessa divorava gli esami, sempre con i suoi infernali ritmi notturni. Noi ragazzi ci sentivamo in colpa, e non abbiamo mai osato lamentarci per i compiti o i carichi di lavoro di scuola, perchè mamma era l’esempio vivente del vero sacrificio.

1972, mia mamma è senza voce per aver portato la tesi, scritta a mano, in segreteria dopo un viaggio rocambolesco dietro il sellino di una moto, sotto una pioggia battente.

Poco dopo, la discussione in aula magna.

Mamma col suo vestito migliore e un’inconsueta permanente, sussurra come può i tratti salienti dell’ “Equazione Diofantea di Fermat”, sotto gli occhi di noi ragazzi schierati.

Non capii molto, anzi, non capii niente, diciamolo. Eravamo sicuri però che fosse andato tutto bene, mamma aveva cominciato a stringere mani e si era voltata verso di noi sollevando le mani giunte, come fanno i pugili sul ring. Un’immagine che rievocammo a lungo e mi rimane tutt’ora indelebile.

Poi, la trafila dell’insegnamento, l’abilitazione, la scuola. Sembrava quasi un passo naturale illustrare ai suoi alunni quei teoremi ed esercizi che fino a poco prima erano esclusiva di noi figli. Eravamo sicuri che l’infinita pazienza che le conoscevamo la riservasse anche ai suoi ragazzi.

Oggi, vent’anni dopo che mamma non c’è più, mi ritrovo nel Liceo che l’ha conosciuta insegnante entusiasta e giovane di spirito, respiro l’aria che lei ha respirato, percorro incerto i gradini che lei ha calpestato. E mi sento inadeguato, anche perché per me, al momento, Ingegnere come babbo, docente prestato alla matematica, l’equazione Diofantea resta ancora un mistero..

Redazione
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2 commenti

  • Ho molto amato questo racconto di Franco nel quale ha saputo raccontare la fatica, l’abnegazione e il coraggio di tante donne come sua madre. Una forza perlopiú ignorata.

  • Bellissimo ritratto di una donna speciale. …credo….molto belle le parole che scrivi.

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