Riflessioni sull’odierna cultura della sinistra e…
… e sulla necessità di costituire o rafforzare associazioni per contrastare il “pensiero unico” e ripartire dall’articolo 3 della Costituzione.
di Pietro Garbarino
- La cultura, di ogni genere e specie, nel nostro Paese nella seconda metà dello scorso secolo è stata caratterizzata da un evidente segno progressista, prestando attenzione alla Resistenza, ai movimenti politici di liberazione, al pacifismo e al superamento dei blocchi militari, ai movimenti di critica sociale, al cristianesimo evangelico. Ma, una volta tramontati i movimenti nati dal ’68, naufragato il compromesso storico e caduto il muro di Berlino, i progetti di trasformazione sociale hanno perso vigore e si sono trasformati in “opportunità” messe a disposizione dal libero mercato, ormai generalmente accettato dalla politica.
- Sulla scorta di tali vicende, la cultura si orienta verso il consumo, e cioè verso la ricerca della maggiore possibilità di vendite e di profitto. Si ripropone dunque in Europa la cultura liberale, che però in Italia continua a identificarsi solo con quella nazionalistica e anticomunista, a differenza di altri Paesi europei. Da qui prende piede la rivalutazione della cultura di destra: divengono oggetto di lucrose operazioni editoriali, di stampo revanscista, Prezzolini, D’Annunzio, alcuni storici “meridionalisti”, la letteratura nordica, la letteratura nostalgica degli anni 20-30, la letteratura dialettale, la psichiatria anti-freudiana, il revisionismo e la rivalutazione storica del ventennio (alla De Felice) o la letteratura di opposizione proveniente dai Paesi comunisti o ex comunisti.
- Tale processo è accompagnato dalla concentrazione finanziaria e da quella, correlata, dalle testate giornalistiche, che riducono sensibilmente lo spettro delle opinioni diffuse, dunque la critica dei fatti e della politica, standardizzando le opinioni su tematiche sempre più disimpegnate.
- Nel frattempo i partiti politici si trasformano; chiudono gli apparati e le organizzazioni collaterali, cessano di essere loro stessi portatori di cultura, e naturale riferimento della società nei confronti delle istituzioni; divengono solo strumenti elitari di potere e si trasformano in comitati elettorali. Spesso etero-diretti da interessi economici e finanziari.
- La sinistra, da quella moderata alla più estrema, non è stata impermeabile a tale trasformazione. Da una parte si è adeguata, e dall’altra ha perso mordente e attrattiva, in nome di princìpi e finalità sempre più astratti dalla realtà, non avendo più propri strumenti di elaborazione e riducendo di conseguenza i contatti con le persone e addirittura con il suo “elettorato”. Non si ha più un progetto politico-culturale complessivo di società e una strategia per conseguirlo. Si perdono molte basi teoriche per le proprie analisi, rispetto agli anni ‘70, e non si hanno più nemmeno gli strumenti di comunicazione di massa, per l’inarrestabile crisi delle testate politiche e di partito. Le analisi delle forze politiche sono generiche e non approfondiscono i mutamenti in atto. Sono prive di spiegazioni e indicazioni su rimedi e correttivi per orientare i processi diversamente. A sinistra c’è chi magari predica, con ingenua presunzione, intorno alle disastrose tendenze del capitalismo, come se fossero chiare a tutti, e in particolare ai ceti meno abbienti. Per cui le proposte si traducono in affermazioni di principio, magari condivisibili, ma che suonano astratte e non concretamente attuabili alle orecchie dei molti che combattono ogni giorno per la sopravvivenza.
Manca un raccordo culturale serio e diffuso con l’economia, la finanza e la società attuale, con i problemi di ogni giorno di chi lavora e non ha agganci col potere. Per di più, i pochi intellettuali rimasti coerenti con i princìpi del marxismo mancano di riferimenti politici e spesso anche di quelli editoriali.
Inoltre con le carenze della didattica scolastica (raro l’insegnamento di educazione civica e politica) e con il monopolio informativo in mano a gruppi controllati da banche e grande finanza, si è paurosamente impoverito il patrimonio culturale, in particolare nelle giovani generazioni, in termini di conoscenza della Costituzione e dei diritti-doveri dei cittadini, delle dinamiche istituzionali e di quelle economiche-finanziarie. Manca un solido orientamento scolastico in senso democratico e antifascista, sulla base dei dettami costituzionali, appannato in nome di una ipotetica “libertà di cultura”.
Perciò è assolutamente necessario costituire – o rafforzare – associazioni che si occupino di ricostruire una cultura (politica ed economica, ma anche letteraria e artistica) e una pubblicistica di sinistra, che sostenga l’attuazione del programma politico generale contenuto, lo diceva Stefano Rodotà, nell’articolo 3 della Costituzione: «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che limitano l’uguaglianza e i diritti dei cittadini».
Purtroppo, invece, l’analisi “di sinistra” della situazione sociale è spesso svolta sulla base di tesi precostituite, individuando genericamente il capitalismo come causa di discriminazioni e disuguaglianze, senza mai approfondire il risvolto pratico di tale “mantra”, e tanto meno delineando (o almeno ipotizzando) la via per il suo superamento.
Anzi, per certi aspetti, si verifica un inconsapevole rifiuto a vedere la realtà odierna come davvero è.
Tale poca chiarezza metodologica e di analisi fa sì che, volta per volta, si indichino e si individuino, come risolutive, le questioni più diverse, ma che spesso risultano poco incisive, indicando solo effimere strade per uscire dallo scarso e stagnante livello culturale generale. Ciò viene infatti accuratamente utilizzato ai fini consumistici (e dunque per il profitto di editori, opinionisti d’occasione e politici improvvisati) senza che determini mutamenti profondi nella vita sociale e politica.
Fin tanto che non si vorrà prendere atto di ciò che avviene e di quanto, tale situazione incida sulle vite di chi non dispone di mezzi e conoscenze altolocate, ma vive del proprio lavoro; e fintanto che non si perverrà alla consapevolezza di come si vuole orientare una modificazione dei rapporti economici e sociali partendo dalla situazione … non potrà avvenire che la società, nella sua parte intellettuale, possa influire a livello di massa sull’ opinione pubblica, riprendendo quel cammino che ha fatto dell’Italia, in anni passati, uno dei Paesi culturalmente più vivaci.
Per questo è urgente ricostituire uno o più centri di scambio e dibattito culturale, per la ricostruzione di una generale e condivisa cultura progressista, a livello sociale e politico, che contrasti il neoliberismo dilagante, fautore di disuguaglianze, ingiustizia e tendenze autoritarie, le quali sempre più sembrano prendere piede nella nostra vita.
Le due vignette – scelte dalla “bottega” – sono di Mauro Biani.
Condivido l’acuta riflessione di Pietro Garbarino, e soprattutto l’invito a ricostruire una cultura progressista contro il dilagante neoliberismo, a partire da quel ruolo pedagogico che l’istituzione della scuola dovrebbe svolgere ad ogni livello.Senonchè l’affermazione del partito leggero e i devastanti processi di de-politicizzazione e di de-sindacalizzazione rappresentano degli ostacoli potenti rispetto a quanto, giustamente, Garbarino auspica.