Rigaglie: io e il randagio

di Andrea Appetito (*)

Il mio giardino è una vasca di terra ricoperta di erbe selvatiche, visitata ogni giorno dai merli e dai gatti randagi. C’è soprattutto un via vai di gatti. Ogni tanto si avvicinano curiosi alla finestra e guardano dentro. Dentro ci sono io, quella cosa che chiamo io e nei miei occhi c’è la luce del giardino. Il randagio mi osserva con attenzione. Credo che si trovi a suo agio nel mio giardino perché è incolto. È una vasca che accoglie i semi che il vento disperde. Qui crescono la cicoria, la rucola, l’erba cipollina e molte altre erbe di cui non conosco il nome. Un tempo questa piccola terra era un orto e prima ancora un bosco. Non diventerà mai un prato inglese. Ho fatto un paio di tentativi ma è una materia irriducibile a qualsiasi addomesticamento. Osservo il randagio mentre studia i merli e prepara i suoi agguati tra i fiori di tarassaco e le margherite. È un lavoro difficile, ci vuole pazienza, quasi sempre finisce a stomaco vuoto. Ogni tanto incrociamo gli sguardi e non vedo differenze tra di noi. Dopo il fallimento dell’ennesima imboscata il randagio si allontana, perché non mi appartiene. Amo la solitudine, perché nella solitudine tutto è presente. Non è il baluardo di una frontiera in attesa ma un fuoco che chiama tutto a raccolta.

(*) Dal 9 gennaio ogni domenica – alle 14 – in “bottega” trovate «Rigaglie» ovvero recensioni molto velate e riflessioni stimolate da una citazione iniziale… per onorare la fonte dell’ispirazione. Qui le ultime quattro: Rigaglie: messaggeri nella neve, Rigaglie: paura e desiderio, Rigaglie: l’ultima macchia di calore e Rigaglie: l’ Eden in una pietraia

 

Redazione
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